Sulla sinistra di Porta Tiburtina, il piccolo Parco Tiburtino e Villa Mercede sono i modesti avanzi della distesa di vigne e di ville preesistenti.
Poco lontano dalle mura alle quali, in epoca medievale, essa era collegata da un portico, sorge la basilica di San Lorenzo fuori le Mura, uno dei trenta edifici sacri intitolati a Roma al diacono Lorenzo. Di origine spagnola, fu martirizzato il 10 agosto dell’anno 258. Il martirio avvenne, secondo tradizione, sopra una graticola ardente, custodita nella basilica di San Lorenzo in Lucina, nel luogo dove oggi sorge la chiesa di San Lorenzo in Panisperna. Il corpo venne poi sepolto nell’antico ager Veranus, che si estendeva lungo la via Tiburtina.
L’imperatore Valeriano era a conoscenza del fatto che Lorenzo, tra i sette diaconi di Roma, fosse il depositario dei beni della Chiesa di Roma, privata di papa Sisto II e dei vescovi già messi a morte. Alla richiesta del prefetto dell’imperatore di consegnargli tale “tesoro”, Lorenzo fu costretto a mostrarglielo. Allora Lorenzo si presentò al suo cospetto con una folla di
poveri. «Ecco! Questo è il tesoro della Chiesa» disse. Un gesto, quello, che gli sarebbe costato la prigionia e poi il martirio.
Il luogo di sepoltura nell’Agro Vaticano, nel cimitero della matrona Ciriaca, divenne un luogo di culto. E “di Ciriaca” sono chiamate le catacombe che si sviluppano sotto la chiesa e sotto il cimitero monumentale del Verano.
Nel centro del piazzale antistante la basilica si alza una colonna collocata nel 1865, in sostituzione di un’altra precedente più piccola come monumento commemorativo della conclusione dei grandi lavori voluti da Pio IX, sepolto proprio in San Lorenzo fuori le Mura, per il generale restauro della basilica e per la sistemazione del piazzale stesso, in coincidenza della costruzione del cimitero. Essa sorregge una statua bronzea del diacono Lorenzo, opera di Stefano Galletti.
In un’aiuola laterale è stata invece sistemata la statua bronzea dedicata al papa Pio XII, realizzata grazie a una sottoscrizione, in ricordo della visita al quartiere ancora fumigante per il bombardamento dell’ultima guerra.
Il 19 luglio 1943 un pesante bombardamento americano sulla zona degli impianti ferroviari di Roma pose fine all’illusione della intoccabilità dell’Urbe, provocando migliaia di vittime e ingenti danni. Unico monumento della città ridotto in cenere fu proprio San Lorenzo. Anche i successivi bombardamenti che si ebbero sulla città fino al giugno del 1944, risparmiarono il patrimonio monumentale di Roma.
La basilica appartiene al novero delle sette chiese – basiliche giubilari, meta dei pellegrinaggi penitenziali degli anni santi e di tutti coloro che vogliono visitare una delle più importanti memorie cristiane.
Allo stato attuale delle scoperte archeologiche, sembra di poter affermare che l’imperatore Costantino creò un sacello sulla tomba del martire che si trovava sotto la collina del Pincetto. La collina era allora assai più avanzata e solamente in seguito venne tagliata. Contemporaneamente l’imperatore costruì una grande basilica di quasi 100 metri di lunghezza e 36 di larghezza, la stessa cosa fece a Sant’Agnese fuori le Mura, dove rimangono in parte i resti perimetrali della basilica.
Mentre tale basilica detta “maior” – che si trovava sul posto dell’attuale cimitero – è andata distrutta con il passare del tempo, secondo una sorte che è toccata a un insieme di oratori, di mausolei, di ospizi e di altri edifici che avevano finito per costituire una sorta di sacro sobborgo, sopra il sacello posto sulla tomba di San Lorenzo si sviluppò una chiesa che trovò pieno assetto con papa Pelagio II, 579-590.
Quella chiesa corrisponde al presbiterio dell’attuale basilica ed era orientata nel senso opposto. Successivamente Onorio III, 1216-1227, ne fece demolire l’abside e raccordare l’edificio a un’altra costruzione più grande costituita dalle tre navate della basilica di oggi.
Il complesso di San Lorenzo si avvale di un grandissimo fascino, a cominciare dall’esterno, la cui facciata con tre grandi finestre a centina è stata completamente ricostruita dopo il bombardamento e ha naturalmente perduto le decorazioni pittoriche ottocentesche. Il portico-nartece, anch’esso ricostruito, appartiene ai lavori di Onorio III. È retto da sei colonne che reggono un architrave sul quale corre un raffinato fregio
mosaicale, attribuibile alla scuola marmoraria del Vassalletto e simile a quello del chiostro lateranense. Nell’interno del portico sono collocati alcuni pregevoli sarcofaghi antichi, la stele commemorativa della visita di Pio XII alle rovine della basilica, il giorno stesso della sua distruzione, e la tomba di Alcide De Gasperi, il presidente della ricostruzione italiana dopo la guerra. L’opera di singolare efficacia è di Giacomo Manzù. Sempre nel portico si trovano alcuni affreschi della fine del secolo XIII.
L’interno della chiesa mostra subito il divario di forma architettonica fra le sue due parti. Le tre navate sono divise da colonne ioniche, sorreggenti un architrave, sono di spoglio, diverse fra loro, forse in parte provengono dalla precedente basilica costantiniana. Il pavimento cosmatesco di epoca onoriana, datato agli inizi del XIII secolo, è stato accuratamente ricomposto, salvo qualche parte perduta al centro. Il tetto è stato lasciato a capriate, sopprimendo i cassettoni quattrocenteschi. Sono andati perduti per la
massima parte i dipinti di Cesare Fracassini che erano stati eseguiti in occasione del restauro di metà ottocento sulle pareti della navata principale. Restano quelli dell’arcone trionfale e un grande pannello è stato collocato sopra la porta.
Nella navata centrale sono due magnifici amboni del trecento, fine opera dei marmorari. Accanto a quello di destra, si trova un candelabro pasquale tortile e decorato a mosaico.
Al termine della navata, dove un gradino bianco circolare segna l’andamento dell’abside della chiesa di papa Pelagio, un sistema di scale porta alla “confessione”, alla cripta e al presbiterio. La cripta corrisponde al livello originario della chiesa di papa Pelagio che era munita anche di un portico interno. All’epoca della sua trasformazione essa era stata colmata di materiale di riempimento che Virginio Vespignani, autore del restauro ottocentesco – il quale, fra l’altro, isolò la chiesa dalla collina che la avvolgeva su due lati, danneggiandola con l’umidità – eliminò, provvedendo a sorreggere il presbiterio con pilastri e colonnine. La zona
della confessione corrisponde al sepolcro di Lorenzo e di santo Stefano protomartire.
Sul retro, l’intero portico antico di ingresso è stato trasformato nella Tomba di Pio IX. Questa per volontà del papa che aveva presieduto ai restauri della chiesa avrebbe dovuto essere molto semplice. Assunse invece il ricchissimo aspetto attuale per un moto spontaneo di riparazione del mondo cattolico contro le offese recate alla memoria del papa. La sistemazione è opera dell’architetto Raffaele Cattaneo che concepì una decorazione neo-bizantina. I pannelli musivi sono del tedesco Ludovico Seitz.
Il presbiterio è artisticamente il punto di maggiore interesse della chiesa. Lo si raggiunge con due scalette ai lati della confessione. Quel che più colpisce sono le grandi colonne che emergono dal livello inferiore e che con bellissimi capitelli ionici sostengono una trabeazione costituita da un complesso di marmi decorati ad intaglio provenienti da diversi monumenti. Al di sopra si snodano gli archetti dell’antico matroneo, con belle colonnine, fra loro diverse. Ai lati del presbiterio, rettangolare, ci sono lunghi sedili marmorei e, in fondo, una sedia episcopale con un dossale in cui sono inseriti dischi di porfido e di serpentino; ai lati essa ha due meravigliosi plutei con riquadri anch’essi di serpentino e porfido e con colonnine tortili mosaicate. Si ritiene che tutto questo materiale, così sistemato nel 1254, provenga da una più antica schola cantorum, realizzata dai marmorari romani. A questi ultimi si deve anche il pavimento cosmatesco e il ciborio, composto di quattro colonnine di porfido che reggono una trabeazione sorreggente un secondo ordine ortogonale di colonnine, sovrastato a sua volta da una cuspide pure a colonnine. Si tratta del tipo di ciborio a gabbia che si ritrova in varie chiese romane e che qui è stato ricostruito dal restauro ottocentesco al posto di una cupoletta cinquecentesca. L’opera è firmata dai fratelli Pietro, Angelo e Sasso, marmorari figli di Paolo e datata
al 1148. Si tratta quindi di un lavoro precedente alla sistemazione di papa Onorio III e pertanto qui trasportato da precedente e diversa collocazione. Sotto il ciborio è custodito un altare ricomposto con antichi frammenti, fra cui una grande lastra di porfido.
Dal presbiterio si gode altresì il mirabile mosaico della fronte interna dell’arcone; essa, un tempo, introduceva al fulgore dei mosaici del catino dell’abside distrutta. Questo mosaico raffigura “Cristo tra Santi” e con papa Pelagio II che offre il modello della sua chiesa; è opera di transizione tra lo stile romano e il bizantino e vi appare nitida la mano di tre artisti diversi, di differente formazione culturale.
Il bombardamento ha spogliato la chiesa di molte sovrastrutture ornamentali, specie barocche. Restano alcuni sepolcri, fra i quali, importante, quello del cardinale Fieschi, morto nel 1256: riutilizza un bel sarcofago antico, riquadrato come un ciborio, che comprendeva anche un affresco oggi andato distrutto.
Alla fine della navata sinistra, un vano di due metri per due è decorato con affreschi dell’VIII secolo. Dal fondo della stessa navata, una scala, affiancata da due monumenti funebri di Pietro da Cortona con busti di Francesco Duquesnoy, porta alla sotterranea cappella di Santa Ciriaca che dà accesso alle catacombe. L’altare, sul quale avrebbe celebrato san Pietro, è arricchito da ex voto.
In un piazzaletto a destra della chiesa si leva il campanile romanico, che risale probabilmente alla metà del secolo XII. Ha cinque ordini di archetti divisi da pilastri e un aspetto severo.
Roma, 4 gennaio 2020
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