Nella valle della Caffarella si specchia la storia di Roma, della città e della cultura, delle genti che l’hanno popolata e del territorio nel quale si sono insediate. Situata a ridosso delle Mura Aureliane e compresa fra due direttrici dell’antichità, la via Latina e la via Appia, la valle fu teatro di miti e leggende forse suggeriti dai morbidi rilievi che ne fanno un confine naturale, certo dalla presenza dell’Almone, piccolo affluente del Tevere, dai romani ritenuto fiume sacro sin dai primordi.
Parco pubblico dal 2000 grazie alle battaglie dal politico e ambientalista Antonio Cederna, costituisce l’accesso principale e privilegiato all’Appia Antica di cui è parte. E rappresenta l’elemento di coesione funzionale e visivo con il Parco dei Fori. Antico luogo di epoca romana, ricca di miti e leggende, il suo nome deriva dalla principale tenuta storica agricola che esisteva nella zona nel Cinquecento. Il suo valore naturalistico non è meno importante della sua rilevanza archeologica: nella valle, attraversata dall’Almone, fiume sacro ai romani, ricca di sorgenti d’acqua, i boschi di leccio e roverella si alternano fra insigni resti archeologici, ai campi coltivati, ai pascoli dando luogo al tipico paesaggio della Campagna romana. Costituisce un sistema unitario, sia dal punto di vista storico archeologico che ambientale-paesistico. A cerniera con il parco dei Fori e al confine con le aree urbanizzate, la valle rappresenta uno dei principali corridoi
biologici, che dalla campagna arriva fino al centro storico a beneficio del sistema ambientale della città, utile alla propagazione delle specie vegetali ed animali, alla regolazione del clima e alla mitigazione dell’inquinamento atmosferico. Stretta fra l’edificato, la Caffarella è ben caratterizzata dal punto di vista geomorfologico: presenti resti di vegetazione naturali e molte varietà di flora spontanea. È anche ricca di biodiversità, di flora spontanea e di fauna avicola e di insetti. Esiste una forte vocazione agricola della valle, che dall’età romana risulta particolarmente fertile, per la presenza di canali per irrigazione medievali e ottocenteschi. Oggi è utilizzata nelle parti private per coltivazioni e pascolo.
La storia del parco della valle coincide, nelle premesse, con quella del parco dell’Appia: nel 1953 il Comune di Roma adottava un piano particolareggiato che prevedeva la piena edificabilità della valle a partire dalla chiesa del Domine Quo Vadis, mentre già l’anno successivo, sospese le licenze e i lavori, il vincolo di tutela del piano regolatore del 1931 viene esteso al territorio della Caffarella. Il Piano Territoriale Paesistico per l’Appia Antica del 1955 va contro agli interessi dell’allora proprietario della valle, il figlio della marchesa Teresa Torlonia, il marchese Alessandro Gerini, ricco e potente uomo d’affari soprannominato «il costruttore di Dio» per la
propensione a mescolare un’abilità affaristica e la vocazione di benefattore. Costui si impegna affinché nella nuova versione del Piano del 1958 la valle della Caffarella risulti praticamente sparita. Ci vorranno ben 42 anni prima che tutta l’area si trasformi in proprietà pubblica. Fondamentali sono stati i fondi del Giubileo, con cui furono sistemati i primi 70 ettari della valle e restaurati i monumenti principali e grazie ai quali l’Ente Parco regionale dell’Appia Antica ha potuto acquisite in locazione il Casale del Dio Reticolo e realizzare il primo centro di educazione ambientale. Restaurati e ripuliti dai rifiuti e liberati dalle baracche e orti abusivi anche il ninfeo di Egeria, la torre Valca e il Colombario Costantiniano.
Altra storia per la chiesa di Sant’Urbano: purtroppo si trova all’interno di una proprietà privata ed è solitamente chiusa al pubblico. Essa costituisce uno dei monumenti meno conosciuti della Roma fuori le Mura, benché sia di grande valore per almeno due ordini di motivi: il primo è che è un vero e proprio tempio antico, eccezionalmente mantenutosi nella sua integrità grazie alla sua trasformazione in chiesa; il secondo è che conserva un ciclo pittorico che è un raro testimone dell’arte romana degli inizi dell’XI secolo, frutto e simbolo della particolare temperie politica, spirituale e culturale della Roma post-ottoniana. Nel II dopo Cristo l’area di nostro interesse – che prende nome dalla famiglia Caffarelli a cui appartiene il bel casale cinquecentesco su vicolo della Caffarella – faceva parte del Triopio, una vasta villa suburbana di proprietà di Erode Attico, che fu poi nel IV secolo inglobata nel grandioso complesso di Massenzio.
Uomo politico, retore, letterato, amante delle belle arti, Erode Attico era nato ad Atene intorno al 100. Venuto a Roma sotto Antonino Pio, ottenne il consolato nel 143 e sposò una nobile e ricca romana, Annia Regilla, che gli portò in dote, tra l’altro, i possedimenti della via Appia tra il II e il III miglio. La proprietà, che comprendeva campi di grano, boschi, vigne, oliveti, praterie, formava una specie di piccola borgata abitata dai lavoratori, schiavi per lo più, impiegati nella coltivazione dei campi. All’epoca di Erode Attico, l’area risulta antropizzata già da almeno quattro secoli: sulla collina che sorge tra il Circo di Massenzio e la Via Appia Pignatelli sono stati rinvenuti i resti di una villa d’età repubblicana, fine del II secolo avanti Cristo che aveva, come sostruzione verso l’Appia, un criptoportico a doppia galleria. Erode Attico dunque restaurò una villa più antica, e non trasformò un fondo agricolo in residenza, come talvolta si legge, arricchendola di architetture, statue, decorazioni pittoriche e rivestimenti marmorei.
Roma, 27 giugno 2019
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