Maurizio Perfetti da anni si occupa di Gioachino Belli. Ha scritto per Roma Felix un racconto biografico del poeta romanesco, che pubblicheremo in quattro parti, punteggiandolo con i sonetti e corredandolo di un’estesa e dettagliata bibliografia. La prima parte del racconto si trova qui. Mentre la seconda la potete leggere qui, e qui la terza.
IL FIGLIO CIRO – PIO IX PAPA – CRISTINA FERRETTI, NUORA
Nel frattempo il figlio Ciro, trascurando la “lontana” Matildina figlia di Cencia, ha messo gli occhi sulla romana Cristina, figlia maggiore di Jacopo Ferretti.
Tuttavia le preoccupazioni non abbandonano il Poeta: il figlio si ammala forse di risipola, un tumore dell’epidermide, a Porto d’Anzio, poi di rosolia. I mali troveranno la loro soluzione in tempi molto rapidi, misteri della medicina, dopo un soggiorno terapeutico a Frascati. Non si esclude che alla guarigione abbia contribuito il sì di Cristina al fidanzamento….
468 (468). LA SSCERTA
Sta accusì. La padrona cor padrone,
Volenno marità la padroncina
Je portonno davanti una matina,
Pe sscejje, du’ bbravissime perzone.
Un de li dua aveva una ventina
D’anni, e ddu’ spalle peggio de Sanzone;
E ll’antro lo disceveno un riccone,
Ma aveva un po’ la testa scennerina.
Subbito er giuvenotto de cuer paro
Se fesce avanti a ddì: “Sora Luscìa,
Chi vvolete de noi? parlate chiaro.”
“Pe ddilla, me piascete voi e llui,”
Rispose la zitella; “e ppijjerìa
Er ciscio vostro e li quadrini sui.”
Roma, 21 novembre 1832
Il 16 giugno 1846 è eletto Papa il marchigiano Giovanni Maria Mastai Ferretti che assume il nome di Pio IX. Egli darà una prima svolta alla politica ecclesiastica e statale, suscitando entusiasmi, come noto, tra i fautori dell’unità d’Italia.
Per Gioachino, legato all’atteggiamento conservatore del Papa precedente, Gregorio XVI, contro il quale era stato “feroce” critico in tutti i sonetti in vernacolo, è un periodo di gravi preoccupazioni, tanto più che Pio IX è costretto all’esilio di Gaeta e il 9 febbraio 1849 è proclamata la Repubblica Romana, dal triunvirato Mazzini, Armellini, Saffi.
Cose inaudite accadono in breve tempo in una Roma troppo adusa a una perenne sonnolenza culturale e civile per non allarmarsi a causa di assalti blasfemi nelle Chiese, violenze impreviste, incendio di panche e confessionali, persino nella vicina chiesa di San Carlo ai Catinari.
Gioachino, che non è mai stato un “cuor di leone”, anche per le vicende sopportate in gioventù, ne rimane assai turbato.
Le novità “strutturali” che deprimono il Poeta rischiano di avere risvolti pericolosi anche per l’adorato figlio Ciro, per il quale si tenteranno varie strade perché eviti il pericolo del servizio militare in un periodo tanto calamitoso. Alla fine la soluzione per ottenere l’agognato esonero sarà affrettare il matrimonio con Cristina Ferretti, e così gli sposi novelli potranno convivere tranquillamente e ospitare “nonno” Gioachino nella loro nuova casa di via dei Cesarini, via e casa oggi demolite, a pochi passi dalla Chiesa delle Stimmate, in Largo Argentina.
Nonostante tutto, il pessimismo, in particolare per lo stato di salute, non abbandona mai il nostro, come si legge chiaramente nell’ultimo sonetto del “Commedione”, in cui il Belli esprime, all’adorata nuora, la sua “depressione” per la salute che lo abbandona, ma nel quale non manca di sottintendere giudizi sull’attualità:
2279 (2245). SORA CRESTINA MIA, PE UN CASO RARO
Sora Crestina mia, pe un caso raro
Io povero cristiano bbattezzato
Senz’avecce né ccorpa né ppeccato
M’è vvienuto un ciamorro da somaro.
Aringrazziat’Iddio! l’ho ppropio a ccaro!
E mme lo godo tutto arinnicchiato
Su sto mi letto sporco e inciafrujjato,
Come un zan Giobbe immezzo ar monnezzaro.
Che cce volemo fà? ggnente pavura.
Tant’e ttanto le sorte sò ddua sole:
Drento o ffora; o in figura o in zepportura.
E a cche sserveno poi tante parole?
Pascenza o rrabbia sin ch’er freddo dura:
Staremo in cianche quanno scotta er zole.
21 febbraio 1849
Il rombo dei cannoni, che Gioachino, con Ciro e Cristina, sentirà tuonare da Porta San Pancrazio, cesserà presto: il 12 marzo 1850 giorno in cui, dopo la sconfitta di Garibaldi e la sua partenza da Roma il 2 luglio 1849, avverrà il ritorno dall’esilio di Gaeta di Papa Pio IX.
A Cencia, con la quale è sempre rimasta viva la corrispondenza, il nostro confida le sue tristezze e la mancanza di forze, tanto da affermare che il suo ultimo viaggio fuori porta sarà ormai a San Lorenzo al Verano. Per il resto non manca di compiere il suo nuovo lavoro di correttore di errori di stampa “censore” persino del Rigoletto :
“Sì vendetta tremenda vendetta/ di quest’alma il sol desio…”
diventerà
“Sì reo fato alma iniqua t’aspetta/ del mio petto ecco il desio…”
e correttore degli errori di stampa del “Giornale di Roma” che si potrebbe incorniciare in qualcuno degli ormai conclusi sonetti “Il Santo Padre ha sulle palle tutte le faccende dello Stato”, dove la mancanza di una “s” ormai è certamente un lapsus e non una ribelle irriverenza contro il Pontefice Pio IX.
CENSORE – IL CAPOLAVORO MANCATO – EPIGRAFE AL CIMITERO VERANO
Gli ultimi anni di Giuseppe Gioachino Belli vedono, per il nostro, un susseguirsi di eventi familiari e amicali luttuosi, mentre a Roma capitano alcuni avvenimenti minori e anche curiosi, almeno ai nostri occhi di oggi. Ad esempio viene scoperta una statua di Augusto nella tenuta di Prima Porta sotto i ruderi della villa di Livia; la famiglia Torlonia promuove la bonifica della Piana del Fucino; si ha un’irruzione di gendarmi nella Farmacia Pagliani di Ripetta dove alcuni avventori leggono il “Don Pirlone”
oppure alla farmacia Sinimberghi a via Frattina dove si vende un balsamo per la prostata o a Fontanella Borghese dove “spacciano” un profumatore per ambienti.
Non possiamo terminare queste note biografiche senza fare menzione di un possibile capolavoro romanesco mancato: la “traduzione” in dialetto del Vangelo Secondo Matteo.
La proposta autorevolmente avanzata dal principe Placido Gabrielli, che vede tra i possibili “sponsor” il Cardinale Luciano Luigi Bonaparte, che poteva ben immedesimarsi nella poetica belliana essendo personaggio assai umile e alieno da onori ecclesiastici tanto da voler vivere a stretto contatto con il popolo romano anche frequentando i poveri della malfamata Suburra, fu rifiutata dal nostro convinto che l’altissima materia non potesse essere trattata con un linguaggio “plebeo” come quello del popolino di Roma.
In realtà il rifiuto appare piuttosto come misera “scusa piuttosto ironica” ché, anzi, il Vangelo stesso avrebbe potuto trarre, da questa nuova “versione”, un forza popolaresca incomparabile.
La scusa di facciata nasconde la verità: Giochino non ha più energie fisiche e mentali sufficienti.
Il cantore della plebe di Roma si spegne, infatti, dopo poco: alle 8.30 di sera del 21 dicembre 1863 per colpo apoplettico.
Accorrono il figlio, il nipote, i nipotini, la cugina Orsola Mazio, gli amici Spada e Biagini, il parroco di Santa Maria in via Lata.
Alcune polemiche “politiche” sorgeranno dopo la prima sepoltura in un muro di cinta del Cimitero Verano: l’epigrafe dettata dall’estimatore e amico di sempre, Francesco Spada contiene l’aggettivo romanus, che inizialmente ai censori suona troppo “affine” all’omonima Repubblica di anni prima.
L’epitaffio dettato da Francesco Spada, sormontato dal monogramma di Cristo ☧:
HIC SITUS EST
JOSEPHUS JOACHIM BELLI
ROMANUS
QUI RELIGIONE MORIBUS INGENIO
EXEMPLAR INTEGER ACER
CARMINIBUS OMNIGENIS
DELECTANDO PARITERQUE MONENDO
LATE ENITUIT
NATUS DIE VII SEPT. A MCCXCI
VITA DECESSIT XI DECEMB.
MCCCLXIII
(In questo luogo è – Giuseppe Gioachino Belli – romano – che per fede costumi ingegno – esemplare, integro, acuto – brillò dovunque – con i suoi versi di ogni genere – divertendo e ammonendo contemporaneamente – nato il 7.9.1791, morto l’11.12.1863.)
Insieme a nonno Gioachino furono inumati, con il passare del tempo, il nipote Giacomo, il figlio Ciro e la moglie Cristina Ferretti. Solo agli inizi del ‘900, dopo la morte del nipote Giacomo, si poterono traslare i resti nella tomba di famiglia al Verano presso l’“Altopiano Pincetto”, reparto 49.
La scelta dei sonetti di seguito elencati e la loro suddivisione in alcune categorie è del tutto personale e “arbitraria”, dettata dal desiderio di accompagnare i lettori verso l’opera del grande autore romano, nell’auspicio che chi vuol possa avvicinarsi con qualche curiosità e familiarità alla lettura integrale di un capolavoro
I Sonetti Romaneschi scelti ed elencati in appendice, con gli opportuni “link”, sono raggruppati per semplicità (ma alquanto arbitrariamente) in alcuni elenchi, sotto vari titoli.
Potete accedervi qui.
(4/4)
Roma, 14 marzo 2017
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