Maurizio Perfetti da anni si occupa di Gioacchino Belli. Ha scritto per Roma Felix un racconto biografico del poeta romanesco, che pubblicheremo in quattro parti, punteggiandolo con i sonetti e corredandolo di un’estesa e dettagliata bibliografia. La prima parte del racconto si trova qui.
LA FORTUNA DEL MATRIMONIO CON MARIUCCIA. I PRIMI VIAGGI. CENCIA
Liberali e reazionari, letterati, scienziati, ecclesiastici compongono la varia umanità che
s’incontra nell’Accademia Tiberina e da qui avverrà una prima grande svolta positiva nella vita del nostro Poeta: l’incontro con la benestante Maria Conti, donna non bellissima, vedova maltrattata e tradita dal suo ex marito, lei già sui 35 anni (10 più di Gioachino), ma colta, sensibile e presto innamorata del nostro. Le biografie illustrano vari dettagli del rapporto tra i due, la ritrosia iniziale di lui, gli impacci di lei e gli ostacoli posti dalla sua famiglia che non ne vuole sapere di un nuovo matrimonio, stavolta con uno spiantato.
Alla fine prevale la realtà: superati ostacoli e dubbi personali e sociali, ottenute le varie dispense all’epoca necessarie, Maria e Gioachino il 12.9.1816 finalmente si sposano, di sera, davanti a testimoni “compiacenti”, nella Chiesa di Santa Maria in Via. I desideri della donna si compiono e il neo marito se ne fa una ragione, anche perché le sostanze portate in dote dalla sposa sono consistenti, comprese le proprietà terriere a Cesi (Terni), la lussuosa residenza, ora coniugale, a Palazzo Poli mentre, per di più, con i buoni uffici della famiglia Conti, il neo-marito ottiene un nuovo e più remunerativo impiego.
Le alterne vicende politiche dello Stato Pontificio continuano a destare preoccupazioni per l’alternarsi degli interessi in gioco ed il conseguente adattamento necessario nei rapporti con i personaggi influenti che decidono dei destini professionali e civili dei sudditi. Tuttavia Gioachino è personalmente tranquillo nella sua nuova condizione e può dedicarsi a viaggiare, anche assentandosi per mesi dall’ufficio, ora non più solo con la fantasia, perciò eccolo a Spoleto, poi Macerata, Pesaro, Terni (dove può curare interessi della famiglia di Mariuccia), sempre profondendosi in galanterie (e oltre) con tutte le donne degli amici via via incontrati.
Una vedova conoscente dei Conti, a sua volta viene a Roma dalle Marche, per sbrigare pratiche di successione e qui avviene un’altra svolta significativa nella vita di Gioachino il quale collabora a risolvere le pratiche e intanto conosce e di giorno fa da “guida turistica” presso i monumenti di Roma alla figlia della vedova, la contessina Vincenza Roberti di Morrovalle.
E’ l’inizio di un amore per la ragazza, subito ribattezzata “Cencia” che avrà decisiva “influenza” e conseguenze, non tanto per il rapporto con la paziente e dolce Mariuccia, quanto per il “decollo” che in breve tempo avverrà nella produzione poetica romanesca di Gioachino.
Nel frattempo il 12.4.1824 nasce Ciro, il figlio che costituirà l’affetto e l’interesse “educativo” di suo padre per tutti gli anni che seguiranno.
Bisognerà attendere il 1827 per vedere, dopo una continua produzione poetica in italiano e di abbondante corrispondenza epistolare con amici, familiari e colleghi (non esistevano, all’epoca, email, Facebook, WhatsApp e quant’altro…), l’inizio deciso “programmatico” e convinto dei sonetti in romanesco. Dobbiamo scoprire il come e il perché. Intanto si fa sempre più intenso il programma dei viaggi e delle mete (comprese le signore mogli e signorine figlie di amici e conoscenti): Loreto, Macerata, Tolentino, Camerino, Foligno, Perugia, Spoleto, Terni, poi Napoli e dintorni archeologici. Altri viaggi di più ampio respiro: a Venezia (1817), a Napoli (1822), a Firenze (1824) e a Milano (1827, 1828, 1829), gli permettono di stabilire contatti con ambienti culturali più avanzati di quelli romani del tempo e di scoprire alcuni testi fondamentali della letteratura sia illuministica che romantica.
MILANO E’ MEGLIO DI PARIGI. SALOTTI, TEATRI, CAMERINI.
Nel ’26 un colpo di fortuna “professionale”: ristrutturano i ruoli impiegatizi dello Stato Pontificio e Gioachino rientra nel novero dei “pensionati baby” ante litteram a 35 anni d’età. Questo frutterà al nostro uno slancio nuovo verso orizzonti diversi: andrà a Milano nell’estate 1827, accolto dall’amico Giacomo Moraglia, leggerà, entusiasta, il romanzo di Alessandro Manzoni “I Promessi Sposi”, che giudica un grande capolavoro e resterà ammirato dalla città, dai monumenti e soprattutto dal clima culturale e sociale, frequentando la Scala e altri luoghi prestigiosi, oltre ai dintorni della città stessa, tanto che potrà dire tornando a casa: Milano è meglio di Parigi. Teatri, occasioni sociali, amicizie interessanti, il tutto sovvenzionato dalla povera Mariuccia che si dibatte sempre più con l’accumularsi di debiti familiari e le pressioni dei creditori.
Gioachino visita anche Genova (sale al porto, sulla famosa Lanterna) e trova nuove occasioni per affinare il suo gusto estetico e culturale, trovandosi sempre più a disagio, una volta tornato a Roma, tra le piccole beghe, invidie, ristrettezze mentali di laici ed ecclesiastici nelle Accademie e non solo. Ciò che ha segnato profondamente la mentalità è stata la conoscenza (milanese) dell’opera del popolare poeta Carlo Porta (morto nel 1821) che con l’uso del dialetto – la lingua in cui spontaneamente si esprime il popolo – ha saputo rivelare idee non più legate a interessi (dei potenti) del momento o ideologie astratte, ma “fotografando” la realtà degli eventi, con i giudizi, la mentalità popolare e le conseguenti espressioni linguistiche.
Il nostro Accademico romano si convince, anche con le dimissioni dalla Tiberina (1827), di potersi affrancare dai vecchi modi formali e paludati di esprimersi, adottando con decisione il nuovo strumento della scrittura dialettale: dopo uno stentato e prudente avvio, essa presto esplode in una produzione fitta e continua. Ricordiamo che a Palazzo Poli era la residenza urbana della principessa Zenaide Wolkonski, dove si erano già conosciuti.
Dal 1831 succede a Papa Pio VIII il bellunese Mauro Cappellari che sarà alla guida della Chiesa Cattolica fino al 1846, con il nome di Gregorio XVI. Quindici anni “di transizione” per gli Stati Italiani e anche per lo Stato della Chiesa: tempi alquanto turbolenti nei rapporti con Francia, Spagna, Prussia, Russia (Gregorio XVI incontra – unico tra i Papi – uno Zar, Nicola I); poi verrà la “cesura” ideale provocata in qualche modo da Pio IX, il papa successore del “povero” Gregorio al quale, come noto, Belli indirizza – dando da par suo memorabile veste scritta – riportando critiche, battute e anche feroci insolenze che il popolo romano non risparmia a chi comanda.
Nel 1823 un avvenimento epocale aveva turbato Roma. Nella notte del 15 luglio, un incendio distruggeva rovinosamente il tetto della storica Basilica di San Paolo fuori le Mura, grandioso testimone unico, per le sue stratificazioni artistiche complesse, di epoche paleocristiane, bizantine, del Rinascimento e del Barocco.
La Basilica è poi ricostruita in modo identico, riutilizzando gli elementi risparmiati dal fuoco. Papa Gregorio XVI nel 1840 avrebbe riconsacrato l’augusto tempio con l’Altare della Confessione e il transetto il quale con il grandioso catino absidale mosaicato, il prezioso ciborio (1285, Arnolfo di Cambio) e il monumentale cero pasquale in pietra scolpita (1170, Vassalletto), si erano miracolosamente salvati dalla distruzione. La sistemazione definitiva delle reliquie con la Tomba dell’Apostolo, sotto il ciborio e l’altare centrale è avvenuta soltanto nel 2002.
Torniamo ora al nostro Gioachino, che troviamo a pranzo presso la principessa Wolkonski nel gennaio 1835, intento a leggere un suo famoso sonetto “d’occasione”:
Sor’Artezza Zzenavida Vorcoschi,
perché llei me vò espone a sti du’ rischi
o cche ggnisun cristiano me capischi
o mme capischi troppo e mme conoschi?
La mi’ Musa è de casa Miseroschi,
dunque come volete che ffinischi?
Io ggià lo vedo che ffinissce a ffischi
si la scampo dar zugo de li bboschi.
Artezza mia, nojantri romaneschi
nun zapemo addoprà ttermini truschi,
com’e llei per esempio e ’r zor Viaseschi.
Bbasta, coraggio! e nnaschi quer che nnaschi.
Sia che sse sia, s’abbuschi o nnun z’abbuschi,
finarmente poi semo ommini maschi.
Poi ne comporrà un altro a richiesta della stessa padrona di casa:
Quanno che ll’anno nostro è ggià sfornato,
avanti ch’in Moscovia s’arisforni
disce c’hanno da stà ddodisci ggiorni
per avello ppiù assciutto e bbiscottato.
Questa nun zapería sor don Miggnato,
s’è una carota pe ggabbà li ssciorni.
Però, ss’è vverità, ppare che ttorni
proprio stanotte cqui st’anno ssciancato.
Dunque io viengo a pportà li comprimenti
e l’ugúri dell’anno ccanido
a cquell’antro che ggià mmette li denti
E vvoi, sor Ricci, pe la bbocca mia
de tutt’e ddua gradìtene uno spido
come de tordi grassi, e accussì ssia.
Come in seguito farà in varie altre occasioni nei mesi dal clima più favorevole, quando il salotto Wolkonski, frequentato da intellettuali di mezza Europa, si trasferisce da Palazzo Poli nella splendida omonima villa nella zona di Porta San Giovanni.
Nell’autunno dello stesso anno il nostro assiste da spettatore ad un’esibizione teatrale per la quale ha occasione di entusiasmarsi per la magistrale interpretazione, sul palcoscenico del Teatro Valle, dell’attrice, diva da tutti ammiratissima, Amalia Bettini, alla quale si premura, da più che estimatore, di dedicare un sonetto:
Sì, è stata una commedia troppa corta,
ma è stata una commedia accusí bbella,
ch’io pe ssentilla ar Monno un’antra vorta
me sce farebbe strascinà in barella.
C’era una fijja d’una madre morta,
bbona e ggrazziosa, e sse chiamava Stella.
Poi sc’era un padre, una testaccia storta,
che strepitava: è cquella e nun è cquella.
La parte de sta fijja tanta cara,
senti, la rescitò ’na scerta Amalia,
un angelo de ddio, ’na cosa rara.
Che pparlate! che mmosse! tutte fatte
da intontí. Bbenedetta quela bbalia
che ll’ha infassciata e cche jj’ha ddato er latte!
La scelta dei sonetti di seguito elencati e la loro suddivisione in alcune categorie è del tutto personale e “arbitraria”, dettata dal desiderio di accompagnare i lettori verso l’opera del grande autore romano, nell’auspicio che chi vuol possa avvicinarsi con qualche curiosità e familiarità alla lettura integrale di un capolavoro
I Sonetti Romaneschi scelti ed elencati in appendice, con gli opportuni “link”, sono raggruppati per semplicità (ma alquanto arbitrariamente) in alcuni elenchi, sotto vari titoli.
Potete accedervi qui.
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