Il Quadraro è un quartiere di Roma, posto nel quadrante sud – est, che oggi sollecita sentimenti contrastanti: molti non sanno nemmeno identificarlo nel più ampio settore del Tuscolano e almeno altrettanti lo immaginano, senza forse esserci stati e solo sulla scorta del racconto, come desolato e pericoloso, abitato da cittadini se non violenti certamente un po’ fuori dal comune.
In realtà gran parte di questo immaginario è dovuto all’oblio in cui dal 10 aprile 1944 il quartiere è stato fatto più o meno consapevolmente cadere.
Una rimozione collettiva e si potrebbe dire storicizzata non solo del quartiere e della sua gente, ma anche dei relativi fatti che a quel 10 aprile portarono e che lasciarono un segno indelebile nel Quadraro.
Tutto il quadrante della città che si disponeva e si dispone intorno alla Casilina e che si estende fino alla Tuscolana, fu zona chiave durante l’occupazione nazista: la Casilina soprattutto era percorsa dai convogli tedeschi che potavano munizioni e rifornimenti alle truppe che stavano difendendo la Linea Gustav. Cassino, Monte Maio, Esperia, tutto il basso Lazio insomma e i territori confinanti potevano essere raggiunti da Roma percorrendo la Casilina.
La Resistenza romana fu particolarmente impegnata in questa parte della città. Non solo i partigiani del CLN, ma anche Bandiera Rossa operarono in questa parte della città, con operazioni di attacco alle forze tedesche, di assalto alle colonne dei convogli, con l’obiettivo certamente di impedire che i rifornimenti arrivassero verso la linea Gustav, in primis Monte Maio avamposto di difesa di Monte Cassino, ma con l’obiettivo anche di ridistribuire i viveri così sottratti alla popolazione ridotta alla fame.
La collaborazione tra partigiani e gente era perciò strettissima. In cambio la gente copriva la fuga dei partigiani, aiutava la lotta e sosteneva la resistenza e ospitava disertori che si sottraevano alla giustizia militare, non senza la collaborazione dei tanti parroci del territorio che non si tirarono in dietro.
Il tessuto sociale e la condivisione delle stesse istanze e degli stessi bisogni, insieme ad una conoscenza del territorio ed una sua particolare conformazione geologica fece si che presto questa parte della città diventasse un luogo dove più semplice era nascondersi.
«Vuoi sfuggire ai nazisti? Rifugiati in Vaticano o vai al Quadraro»: così si diceva a Roma nei mesi terribili dell’occupazione. La fama di questo spicchio a sud-est della città veniva addirittura paragonata all’extraterritorialità vaticana.
Il bisogno di ribellione, la necessità di tornare liberi, dei suoi cittadini stavano poi in tanti atti di opposizione al regime in cui i combattenti erano consapevoli di esporre la propria persona al rischio di morte.
Tra questi un episodio, mai completamente chiarito nella dinamica e che nel tempo ha assunto quasi la connotazione del mito, ne spiega il carattere indomito: era il 10 aprile del 1944, quando un gruppo di tedeschi in divisa cominciò a provocare Giuseppe Albano, il celeberrimo Gobbo del Quarticciolo – figura volutamente descritta come ambigua ed ambivalente dopo la guerra, una sorta di Robin Hood sottoproletario, un po’ rapinatore e un po’ partigiano – seduto ai tavoli dell’osteria “Da Giggetto” al Tuscolano insieme con i suoi amici. Lui non si fece pregare e sparò ai tre nazisti.
Più probabilmente il Gobbo, che per due mesi con la sua banda aveva dato filo da torcere ai Nazisti nel quadrante Centocelle Quarticciolo, si ritrovò solo per caso insieme ai tre soldati tedeschi e per paura di essere riconosciuto e portato in galera, sparò per primo, uccidendoli.
L’episodio non è mai stato chiarito nel dettaglio e non si sa quanto esso abbia influito sulla decisione di Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, di impartire una lezione esemplare alla popolazione del quadrante sud – est della città. Lezione che si tradusse nel rastrellamento del “Nido di Vespe”, il nome che i Nazisti usavano per indicare il Quadraro.
Presa la decisione il 17 aprile 1944 l’esercito tedesco entrò nel quartiere e arrestò più di 900 uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni, che furono deportati in Germania per lavorare nell’industria bellica. Alla fine della guerra, un numero imprecisato (chi dice 2 chi dice 200) di abitanti del quartiere fece ritorno a casa dopo un estenuante viaggio fatto per lo più a piedi.
E per ironia della sorte o solo per incuria statale, lunga fu la battaglia che consentì a queste persone il riconoscimento del loro status di deportati e solo tardivamente al Quadraro sarà conferita la Medaglia d’oro al valor civile.
Passeggiare per le vie del Quadraro restituisce ancora oggi, in un quartiere ancora romanissimo sebbene multietnico, lo spirito di quella comunità che non accettò di farsi schiacciare dal nazifascismo. E permette anche di respirare, a ridosso di una strada così affollata e trafficata come la Tuscolana, una certa aria intima, di paese, che fa di questo quartiere una nuova isola da scoprire navigando attraverso l’arcipelago urbano.
La visita che proponiamo sarà l’occasione di ricordare la storia del quartiere, ma anche di incontrare la straordinaria vitalità artistica di oggi, che prende forma e colore sui muri piccoli delle case del quartiere. Muri che ricordano tele e che nel loro insieme costituiscono il M.U.Ro, il Museo Urban di Roma, una delle prime esperienze di museo all’aperto dopo quella storica di Fausto delle Chiaie all’Ara Pacis.
Il racconto del quartiere si appoggia quindi ai tanti straordinari murales realizzati da artisti qui confluiti da diversi paesi, che prestano gratuitamente il loro contributo a favore di un quartiere che vive quotidianamente immerso in un progetto di arte visiva che rispetta la sua identità e racconta la sua storia. M.U.Ro. è un progetto ampiamente condiviso e principalmente autoprodotto grazie ai contributi dei soci sostenitori, alle aste delle opere che gli artisti hanno appositamente realizzato e ad una serie televisiva andata in onda su Sky Arte.
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