Nel cuore del Campo Marzio si trova una delle più belle chiese di Roma,
chiesa che potremmo definire per eccellenza dedicata alla madre:è la chiesa di Sant’Agostino sorta già alla fine del Duecento come chiesa degli agostiniani.La chiesa di fine Duecento risultò quasi subito troppo piccola per le esigenze della comunità e per questo motivo venne costruita una seconda chiesa disposta perpendicolarmente alla prima. La facciata della chiesa fu progettata da Leon Battista Alberti, costruita da Jacopo da Pietrasanta, s’ispira alla chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Tra il 1746 e il 1750 Vanvitelli vi aggiunse le due volute laterali e realizzò il nuovo convento e il chiostro. Per la facciata fu utilizzato il travertino proveniente dal Colosseo. Fu la prima chiesa della Roma rinascimentale e fu anche la prima ad essere sormontata da una cupola.
Un’altra particolarità della chiesa risiede nel fatto che accanto alle sepolture di prelati ed ecclesiastici, unico caso a Roma, ospita anche le sepolture di alcune famosissime cortigiane tra cui Fiammetta, amante di Cesare Borgia e Tullia d’Aragona, figlia di Giulia Campana, anch’essa seppellita in Sant’Agostino.
Fin da Quattrocento la chiesa ospita i resti della madre del Santo di Ippona, Santa Monica, morta nel 387 ad Ostia mentre era in attesa di imbarcarsi per l’Africa con il figlio.
Sarà per questa sua vocazione originaria di chiesa della madre che essa ospita, fra i vari suoi capolavori, tre immagini della Madonna fra le più belle e singolari presenti a Roma.
In ordine cronologico esse sono: Sant’Anna, la Madonna ed il Bambino un gruppo marmoreo eseguito da Andrea Contucci detto il Sansovino nel 1510-1512; la Madonna col Bambino comunemente detta Madonna del Parto, statua di Jacopo Tatti, allievo del Contucci che del maestro ereditò anche il soprannome di Sansovino, del 1521; la Madonna dei Pellegrini del Caravaggio, pala d’altare eseguita negli anni dal 1603 al 1606.
Benché la terza, quella del Caravaggio, sia opera universalmente nota, anche le altre due sono veri e propri capolavori e quella di Jacopo Sansovino, dalla fine dell’Ottocento, anche oggetto di una particolare venerazione da parte delle partorienti romane. Le tre opere sono raggruppate tutte nella parte terminale della chiesa, in una manciata di metri, e sono riconoscibili rimandi dall’una all’altra sebbene abbiano stili e maniere stilistiche del tutto diversi e assolutamente originali.
Non sono solo vicine come collocazione ma anche come esecuzione: sono state eseguite tutte nel giro di un secolo a cavallo del Concilio di Trento e della Controriforma. La prima, quella di Andrea Sansovino, è l’esaltazione della dolcezza della madre; la seconda, quella di Jacopo Sansovino, è invece immagine d’immortale ieraticità tanto che per secoli è stata considerata dai romani una statua classica (talvolta la si è addirittura scambiata per una statua di Agrippina con in braccio Nerone, tanto è forte nei suoi rimandi classicheggianti); la terza, quella del Caravaggio è la madre della porta accanto che si mostra a umili popolani. Pur nella diversità, gli intrecci tra questi tre capolavori sono tanti e intriganti.
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