L’arte sta invadendo i muri delle nostre città. Ornella Massa ci presenta un movimento tra i più fecondi dell’arte contemporanea. Foto O. Massa e R. Restifo
“Conquistare” un muro e regalarlo alla gente, liberato dalla sua veste grigia o anonima per utilizzarlo come tela di pietra. Opere d’arte che interpretano in varie maniere le istanze di un quartiere attraverso la sua storia e che possono essere viste e godute da chiunque passi di là. È la rivoluzione della street art che sta cambiando il volto di tante strade delle grandi città, in particolare nelle periferie.
Per tanti decenni è stata assimilata ad un’idea di arte clandestina e quasi antagonista, oggi è invece non solo accettata ma addirittura cercata e partecipata in varie forme da chi abita nelle periferie. La street art è diventato un grande fenomeno, forse il più grande, di arte pubblica. E Roma in Italia è uno dei suoi avamposti.Da qualche anno nella capitale infatti è in atto una vera e propria esplosione di eventi di street art, con rimandi tra spazi pubblici e gallerie d’arte che hanno portato all’attenzione dei cittadini e delle istituzioni il grosso potenziale di questa forma d’arte urbana.
Il M.U.Ro.
Roma quadrante Sud – Est, Quadraro Vecchio. Qui nel 2010 nasce il M.U.Ro., Museo Urban Art di Roma, una delle prime esperienze romane d’interazione tra street art e quartiere, voluta dall’artista romano David “Diavù” Vecchiato, che non è solo l’ideatore insieme ad altri del museo, ma realizza anche la prima opera che si intitola “Art Pollinates Quadraro”. L’opera è in via dei Lentuli, su quel muro lungo il quale, il 17 aprile del 1944, 947 uomini (tra i 17 e i 60 anni), rastrellati dalle case del quartiere, furono allineati per essere poi coattivamente avviati al lavoro in Germania.
Il titolo dell’opera chiaramente indica l’idea: fecondare con l’arte le vie del quartiere e creare un vero e proprio museo a cielo aperto. Alcune delle opere sono direttamente legate alla storia del Quadraro e al rastrellamento operato dai militari tedeschi sotto il comando di Kappler, come “Il nido di Vespe” di Lucamaleonte o “Buckingham Warrior for Q44” di Gary Baseman. Altre opere hanno un intento più decorativo come “Il Piccolo Hulk” di Ron English o “Grandma” di Jim Avignon o sono legate a personaggi che hanno vissuto o vivono al Quadraro come quello realizzato da Atoche in piazza dei Tribuni sulla facciata esterna di una palazzina che, ispirato ad Arcimboldo, ricorda che lì una volta abitava una ragazza che vendeva frutta e verdura.
Al Quadraro Vecchio non ci sono enormi pareti cieche, come accade in altri quartieri grazie alla sua genesi urbanistica, e la sensazione che ne deriva, passeggiando per le sue vie, godendo delle diverse opere, è proprio quella di un paese dipinto. (Quadraro MURo)
Forza dirompente
Il M.U.Ro. che inizia l’esperienza quasi in sordina è però forza dirompente che tende a tracimare sul territorio che circonda il Quadraro Vecchio verso Tor Pignattara con gli interventi di Alice Pasquini, Diavù, Daniele Tozzi, Gesta Future, Atoche e Salvatore Tavascio ed anche verso il Parco di Tor Fiscale con Camilla Falsini e Diavù. Un totale di 21 opere che non hanno un finanziatore unico, per garantire libertà di espressione agli artisti coinvolti, ma realizzate coinvolgendo gli abitanti del quartiere, che non solo mettono a disposizione i muri su cui dipingere, ma forniscono anche materiali e ospitano gli artisti che lavoreranno nel quartiere.
Il bello del MURo è proprio la partecipazione dei cittadini che al di là delle loro differenze culturali si riappropiano del loro spazio, restituendo alla comunità, ad esempio, un giardino per il gioco dei bambini. I fondi sono raccolti anche attraverso la vendita all’asta di opere che diversi artisti realizzano espressamente e donano all’Associazione MURo, ma anche attraverso il coinvolgimento di grosse realtà della comunicazione come Sky che al Quadraro ha realizzato una puntata di Sky Arte in occasione del muro realizzato da Ron English.
Il MURo ha avuto un’importante ricaduta sul quartiere che si sta risvegliando da un sonno protratto che aveva portato alla chiusura di tante attività commerciali. Ora qualche attività artigiana riapre, alcuni artisti hanno eletto il Quadraro come sede per i loro studi, ci sono diversi caffè letterari. Insomma il Quadraro sta puntando verso un risveglio di qualità piuttosto che ad una vuota movida, come è accaduto in altri quartieri di Roma. Ma il MURo è riqualificazione urbana? «Il MURo e gli abitanti del Quadraro su questo hanno una posizione molto chiara e netta», spiega Diavù. «Un muro dipinto non riqualifica un marciapiede rotto, ma anzi lo sottolinea e riporta più fortemente all’attenzione dell’amministrazione la necessità di avere cura e di essere presente in quel territorio».
La risposta al degrado
Come tutte le opere di street art anche quelle del MURo sono soggette a degrado e ad attacchi da parte di chi manifesta il suo dissenso sulle pareti del quartiere. Qual è la risposta del MURo sul futuro delle opere? Dice Diavù: «Innanzitutto si chiede agli artisti e quindi agli abitanti del quartiere e se questi desiderano che l’opera venga restaurata, si avvia una raccolta fondi per il restauro. Di concerto in questi ultimi mesi MURo sta studiando l’efficacia di alcune resine che potrebbero essere preventivamente utilizzate per tutelare le opere, per preservare l’intera raccolta esattamente come si farebbe in un museo tradizionale. Nello studio sono coinvolti un chimico e due restauratrici».
SanBa
San Basilio, periferia Est di Roma. Case popolari tante. Come spesso accade tutte uguali. 50 facciate cieche. Tutte uguali. Un luogo ideale per la street art che abbisogna di ampie superfici per respirare. Qui è arrivato SanBa, un incontro tra artisti, quartiere e gente che lo abita, associazioni che operano sul territorio e tutti gli attori che nel quartiere agiscono. Un anno di preparazione, finanziamento principale di Fondazione Roma (ex Fondazione Cassa di Risparmio di Roma) e realizzazione breve ma intensa. In una manciata di mesi quattro facciate, due dell’artista spagnolo Liqen, ospitato per 20 giorni da una famiglia residente nel quartiere, e due dell’artista romano d’adozione Agostino Iacurci, sono state affiancate da tre laboratori. Uno con i ragazzi della Scuola Media Statale Fellini per realizzare il manifesto da utilizzare per la comunicazione al territorio dell’intero progetto SanBa e dei diversi eventi ad esso collegati.
Un laboratorio di architettura realizzato con gli studenti dell’Istituto Superiore Van Neuman ed i “Ragazzi” della Bocciofila per recuperare uno spazio in abbandono e creare la stazione metro immaginaria San Basilio. Una struttura in legno costruita dai cittadini per rispondere ad alcune esigenze vere, ma anche ai sogni del quartiere.
Un terzo laboratorio realizzato dai bambini della Scuola Elementare Gandhi sul tema dell’ex voto. Mattonelle per raccogliere, su una delle pareti del quartiere, i desideri, i sogni e le speranze dei bambini che quel quartiere lo vivono e lo abitano quotidianamente. (SanBa)
Dopo i muri
E dopo i muri cosa resta? Resta una scossa al quartiere che si riscopre con nuove energie e con una nuova voglia di fare, nuova gente arriva a curiosare con la macchina fotografica, altra gente si spinge in un quartiere dove forse non è mai stata prima e lo scopre come luogo possibile, arrivano studenti a studiare quella che è parte della loro città. San Basilio nascosto, torna quindi come presenza nella città ed uno degli obiettivi della street art in qualche maniera si compie: la gente parla, si confronta, si fa domande e cerca insieme risposte, e certamente la ricaduta non è minima.
Ovviamente la conflittualità sul territorio resta e quella non può essere cancellata dalla street art, che anzi diventa mezzo perché essa si manifesti. A San Basilio il muro di Blu ricorda, quasi come una stilettata, la morte di Fabrizio Ceruso, avvenuta nel 1974 durante gli scontri che nel quartiere seguirono all’occupazione di alcune case da parte di 150 famiglie. La polizia sparò e, come troppo spesso accade, Fabrizio Ceruso rimase irrimediabilmente sul selciato.
Il muro non è autorizzato, ma a volte la street art non lo è. Anzi quella “autentica” non lo vorrebbe mai essere. Ma il muro di Blu richiama e commemora un fatto che fa parte della memoria storica del quartiere, e il quartiere reagisce e ne discute, e in qualche maniera, conflittuale anche questa, lo accoglie.
Qual è il futuro di SanBa? Dice Simone Pallotta curatore del progetto: «È rimanere sul medesimo territorio per un periodo di almeno tre anni per lasciare il testimone alle Associazioni che operano nel quartiere. Contemporaneamente allargare ad altri quartieri periferici l’esperienza per creare una sorta di cintura d’arte esterna a quella più nota e classica che si addensa nel centro di Roma».
Rispondere, insieme
C’è anche il problema della conservazione. I muri sono all’aperto e quindi soggetti a rischio di rapido degrado. Come si può ovviare? Sempre Simone Pallotta risponde: «Gli artisti spesso danno per scontato che la loro opera in strada lentamente dal tempo e da altro verrà cancellata e spesso non si pongono la domanda di quale sarà il destino del muro dipinto. Ma quando l’opera è pubblica e partecipata la domanda è legittima e la risposta di SanBa è monitorare a cinque anni insieme all’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia Roma) le condizioni dei muri. Se si fossero realizzate cadute di piccola entità si procederebbe ad un restauro mirato. Se il muro fosse ancora integro si andrebbe avanti fino alla successiva verifica. Se le cadute fossero di più seria entità si aprirebbe un percorso partecipato tra cittadini ed artisti per decidere di comune accordo per una tabula rasa o per una nuova opera da affidare allo stesso artista o ad uno diverso».
MURo e SanBa due esperienze diverse con tratti in comune: partecipazione ai progetti degli abitanti del quartiere che riscoprono e tutelano un’identità comune, e che si ripropongono fortemente all’attenzione dell’intera città, che a sua volta prende coscienza di avere più storie al suo interno. Il tutto attraverso la pittura. Una forza che la pittura non aveva mai avuto prima e che trova grazie alla street art.
La versione originale è apparsa su “Vita” n°1, gennaio 2015
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