Quello scrigno di straordinari gioielli d’arte, di fede e di storia che è il rione Trastevere si è arricchito, solo da pochi giorni, di un’altra gemma:
l’antica chiesa di Santa Maria in Cappella. Dopo anni di restauro, la famiglia dei Doria Pamphilj, che da secoli ne è proprietaria, l’ha riaperta al pubblico in occasione del Giubileo della Misericordia.
A due passi dal complesso monumentale di Santa Cecilia, la chiesa – detta anche ad pineam – è la superstite di una serie di piccole chiesette sparite nello sconvolgimento portato dalle opere di contenimento del Tevere. La sua dedicazione risale al 1090, ma prese il nome attuale a partire dal xv secolo, quando divenne sede della confraternita dei fabbricanti di «cupelle», ovvero i barili.
Dopo la distruzione di Santa Maria della Torre, l’antichissimo oratorio dei marinai che sorgeva presso le torri di sbarramento del Tevere, la chiesetta ospitò per qualche tempo l’immagine della Madonna del Buon Viaggio, diventando il luogo di culto e delle promesse dei marinai di Ripa Grande. Annesso alla chiesa è un antico ospizio per anziani tuttora in funzione.
Situata in fondo a via dei Genovesi, si apre su una sorta di piccolo atrio, con una semplice facciatina sormontata da un minuscolo campanile.
La pianta corta e larga, divisa da due file di piccole colonne di spoglio, crea un ambiente fortemente suggestivo.
A lato della chiesa è un chiostro, circondato da uno stretto portico su tre lati e da un muro che dà sul Lungotevere. Al centro del chiostro un orto con una fontana nel mezzo: era questo il famoso giardino pensile sul Tevere di donna Olimpia Doria Pamphilj. Doveva trattarsi all’epoca di una villetta assai amena che offriva la possibilità di fare con riservatezza i bagni nel fiume (la leggenda popolare parla infatti dei «bagni di donna Olimpia»).
I principi Doria Pamplhilj ristrutturarono l’edificio, in forme neoclassiche, ai primi dell’Ottocento (notevole è la loggetta in fondo al chiostro, aperta verso l’Aventino). I Pamphilj avevano ottenuto da Innocenzo x il patronato della chiesa e dell’annesso «hospedaletto per i poveri» istituito da santa Francesca Romana che aveva abitato nei paraggi, nelle case della famiglia del suocero, i Ponziani. Nel 1860 il principe Andrea Doria Pamphilj trasformò l’istituzione nel primo gerontocomio di Roma, ancora in funzione.
A pochi passi dalla chiesetta si apre alla vista il Vicolo dell’Atleta, una stradina su due livelli che, se non fosse per qualche auto e moto parcheggiate, potrebbe sembrare un borgo di campagna. Osservando bene la facciata di una casa dove oggi c’è un ristorante, si possono scorgere in una colonna della loggetta delle iscrizioni in caratteri ebraici. Qui sorse la prima Sinagoga di Roma, realizzata probabilmente intorno all’anno mille, cioè prima che la comunità fosse spostata al di là del Fiume (spostamento avvenuto durante il pontificato di da Paolo IV, Pietro Carafa, nel 1555).
Il Vicolo è detto “dell’Atleta” perché nel secolo scorso fu rinvenuta, nel sottosuolo di questa casa, la statua dell’Atleta detto Apoxyomenos (dal greco “che si pulisce”, “che si raschia” con la strigile, l’olio con cui si era spalmato il corpo). Si tratta di una copia romana in marmo di un originale in bronzo dello scultore greco Lisippo ( IVsec. a.C.), collocata originariamente davanti alle terme di Agrippa, nei pressi del Pantheon. La statua ora si trova ai Musei Vaticani, nel Gabinetto dell’Apoxyomenos.
Alla fine dell’epoca romana il più antico nucleo abitativo di Trastevere, raccolto intorno a piazza in Piscinula, utilizzava il fiume come fonte primaria di attività economiche e commerciali. La piazza triangolare ospita la deliziosa chiesa di San Benedetto in Piscinula, con campaniletto romanico.
Con più di mille anni di storia, la chiesa è un insigne tesoro artistico medievale di Roma. La sua origine si perde nella notte dei tempi. Gli antichi documenti la citano soltanto, e nessun codice medievale ne riferisce le vicende.
Sul sito della chiesa sorgeva in precedenza la Domus Aniciorum, la sontuosa villa dell’importante famiglia degli Anicii a cui apparteneva san Benedetto. In questo luogo il venerabile abate – venuto in città per completare gli studi – abitò durante il suo soggiorno a Roma intorno all’anno 480.
Qui è ancora visibile la cella, piccolo spazio scelto dal santo come abitazione, e l’attiguo affresco della Madonna della Misericordia davanti al quale amava pregare. La tradizione vuole che sia questa la prima immagine della Madre di Dio oggetto di devozione di san Benedetto.
La chiesa, piccola e discreta, fu costruita intorno al x secolo, anche se la cappella in cui si trova la cella di San Benedetto risale al secolo viii. Inizialmente dedicata alla Santa Vergine Maria, le fu in seguito imposto, dai devoti del santo, il titolo di San Benedetto. La denominazione “in Piscinula” si riferisce invece, secondo l’opinione di molti storici, alla prossimità delle piscine di antichi stabilimenti termali.
Malgrado le ridottissime dimensioni, la chiesa vanta diversi primati e custodisce importanti tesori storico-artistici, primo fra tutti il pavimento, formato dai bei mosaici di marmo in stile cosmatesco: si tratta dell’unico pavimento cosmatesco al mondo perfettamente conservato nelle condizioni originali. Tutti gli altri capolavori del genere hanno subito, nel tempo, varie alterazioni, mentre questo è intatto da circa mille anni. Un altro tesoro è custodito nel pittoresco campanile romanico che incorona la chiesa: benché sia il campanile più piccolo dell’Urbe, vanta al suo interno la campana più antica di Roma, fusa nel 1069!
La chiesa con gli edifici annessi ospitano la Casa dove vivono oggi i giovani appartenenti alla Società Virgo Flos Carmeli. A questa comunità di preghiera, lavoro e studio la Diocesi di Roma ha infatti affidato la chiesa. La comunità si occupa, tra l’altro, dell’accoglienza dei pellegrini provenienti da ogni parte del mondo.
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