Diversi come il giorno e la notte, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini incarnano le due indoli del
barocco romano: l’uno quella gioiosa e trionfante, l’altro quella dolente, tormentata e cupa. Sono loro i grandi registi di quella nuova sensibilità artistica e culturale che, per tutto il XVII secolo, avrebbe trasformato profondamente il volto di Roma.
Quando, nel 1629, il destino li fa incontrare, Bernini è già una star di prima grandezza. Borromini, svizzero di nascita e italiano di adozione, è invece il primo assistente di suo zio Carlo Maderno ai cantieri perennemente attivi della basilica di San Pietro.
Gian Lorenzo sa fare tutto: lo scultore, il decoratore, il pittore e l’architetto. Francesco è un architetto, sublime e rivoluzionario che utilizza la scultura come parte integrante dell’architettura. E se Bernini – uomo di mondo, espansivo e brillante – come i suoi colleghi rinascimentali, considera la pittura e la scultura una adeguata preparazione per l’architettura, Borromini – perfezionista e visionario – giunge all’architettura come un abile specialista, un costruttore e un tecnico di prim’ordine.
Quasi esattamente contemporanei, Bernini a soli ventitrè anni è già considerato il primo artista di Roma, incaricato delle più invidiabili commissioni, mentre l’altro, a trent’anni suonati, è ancora privo di un riconoscimento. Quando s’incontrano al cantiere di Palazzo Barberini, Bernini
si avvale in pieno delle cognizioni di esperto del Borromini. Per quest’ultimo, perciò, quegli anni dovettero essere un’esperienza degradante, che gli avrebbe bruciato dentro per sempre.
La visita che proponiamo intende mostrare le differenze tra i due artisti proprio sul terreno dell’architettura, attraverso due capolavori assoluti quali la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale del Bernini e la chiesa del San Carlino alle Quattro Fontane del Borromini. Senza trascurare Santa Maria della Vittoria con il celeberrimo gruppo scultoreo berniniano, ospitato nella Cappella Cornaro, l’Estasi di Santa Teresa d’Avila e Palazzo Barberini, dove sono facilmente rintracciabili gli interventi dell’uno e dell’altro artista.
Si partirà da Sant’Andrea al Quirinale, commissionata al Bernini dal cardinale Camillo Pamphilji per i novizi dell’ordine dei gesuiti. A pianta ovale, la chiesa, all’interno, è concepita in modo da indurre lo sguardo dello spettatore a seguire la linea ininterrotta di pilastri giganti, fino ad incontrare l’edicola a colonne di fronte alla nicchia dell’altare. Qui, la pala d’altare, raffigurante sant’Andrea mentre s’innalza al cielo su una nuvola, attira su di sé tutte le linee dell’architettura. L’attenzione del visitatore è così assorbita dal drammatico avvenimento, che deve la sua forza di suggestione al modo con cui domina le severe linee architettoniche. Mediante l’edicola, unico
esempio a Roma, Bernini riesce a dare un posto di predominio all’altare. Tradotto in termini psicologici, la chiesa ha due centri spirituali: lo spazio ovale, dove la Congregazione dei gesuiti partecipa al miracolo della salvezza del santo, e l’altare, accuratamente separato ed inaccessibile ai laici, dove il mistero è consumato.
All’esterno, il movimento è uguale e contrario rispetto all’interno. Il cornicione sembra andare verso il visitatore che si avvicina. Il portico arioso non va considerato solo come un abbellimento che invita il passante ad entrare, ma costituisce un elemento dinamico d’importanza vitale nella complessa organizzazione dell’edificio.
All’interno la distribuzione degli spazi e la comunicazione sono di tono completamente diverso. Il visitatore, attratto dalla forme esterne rassicuranti della chiesa, una volta entrato, ha la percezione che il mistero sublime che si consuma sull’altare, gli sia precluso, e vive sospeso in un gioco che alterna l’ “esclusione” e l’ “inclusione”.
Non lontana da via del Quirinale, ecco via Quattro Fontane. Qui si erge la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane di Francesco Borromini.
L’occasione di progettarla si presentò all’artista nel 1634 quando, il procuratore generale dei trinitari scalzi spagnoli gli commissionò la costruzione di un convento e di una chiesa su un terreno piccolo e tagliato irregolarmente, distante circa duecento metri da Palazzo Barberini. Nella realizzazione del progetto Borromini dimostrò immediatamente la sua maestria nel razionale sfruttamento di spazi limitati.
Nel 1638 fu posta la prima pietra della chiesetta, che, ad eccezione della facciata, fu finita nel maggio del 1641 e consacrata nel 1646. Dedicata alla SS. Trinità e a san Carlo Borromeo è detta “San Carlino” per le sue ridotte dimensioni.
Subito dopo la chiesa dei Santi Martina e Luca di Pietro da Cortona, eretta negli stessi anni, San Carlino
alle Quattro Fontane deve essere considerata uno degli “incunaboli” del barocco romano per via delle rivoluzionarie soluzioni architettoniche mai viste prima di allora. Definite, ai tempi, “bizzarre”.
In San Carlo, Borromini basa i suoi disegni su unità geometriche, rinnegando il principio classico di progettare in termini di moltiplicazione e di divisione di un’unità aritmetica di base (per esempio, il diametro di una colonna). Il suo sistema di pianificazione geometrica è sostanzialmente medievale, e ci si domanda quanto della tradizione del vecchio muratore egli avesse assorbito prima di andare a Roma. In questa chiesa, l’artista dà straordinaria importanza all’elemento scultoreo delle colonne: esse sono raggruppate per quattro sull’asse longitudinale e trasversale. Mentre quelle a gruppi di tre sono unificate dalle pitture scure con cornici dorate.
La massa predominante delle colonne dentro un così piccolo spazio aiuta ad unificare una forma tanto complessa. L’alternanza delle tre colonne possono essere considerate come il ritmo di fondo che crea un’instancabile ricchezza e fascino della disposizione; o, per usare una similitudine, si possono paragonare alla trama della materia del muro. In termini musicali tutta la disposizione fa pensare alla struttura di una “fuga”. Mirabile la cupola, decorata con un labirinto di cassettoni incisi in forma ottagonale, esagonale e a croce.
Quando la chiesa fu terminata il procuratore generale dei trinitari scrisse che l’edificio «era così raro al
parer di tutti, che pare non si trova altra simile nello artificioso et capriccioso, raro, et straordinario in tutto il mondo».
La facciata non fu contemporanea alla chiesa, ma fu l’ultimo lavoro del Borromini, iniziato nel 1665 e completato nel 1682. Essa può essere ripartita in più settori diversi: sotto, i due settori esterni concavi e il settore centrale convesso sono legati dalla robusta trabeazione; sopra, i tre settori sono concavi e la trabeazione si svolge in tre segmenti separati.
La compattezza di questa facciata, con il minimo spazio di muro, fittamente riempito di colonne, sculture e decorazioni, che non lascia mai all’occhio la possibilità di posarsi a lungo, è tipica del barocco.
Probabilmente qui si coglie meglio la stretta fusione tra architettura e scultura che esiste nell’arte di Borromini e che il Bernini non riuscirà mai a concepire poiché egli non riuscì mai a togliere alla scultura i connotati narrativi e perciò non la sostituì mai all’architettura.
Quello qui sopra proposto, è il primo itinerario che ha come obiettivo il confronto tra i due architetti che così profondamente hanno segnato il barocco romano: Bernini e Borromini.
Questo primo itinerario comprende:
Sant’Andrea al Quirinale
Santa Maria della Vittoria
San Carlino alle Quattro Fontane
Facciata di Palazzo Barberini
Sarà poi seguito da altri due itinerari:
II.
Sant’Ivo alla Sapienza
Sant’Agnese in Agone
Piazza Navona
III.
Sant’Andrea delle Fratte
Palazzo della Propaganda Fide
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