Virgilio nasce a Mantova il 15 ottobre del 70 avanti Cristo e muore a Brindisi il 21 settembre del 19 dopo Cristo. L’Eneide è il poema epico al quale Virgilio lavorò negli ultimi dieci anni della sua vita. Si presenta come
un poema che risalendo a un periodo storico antichissimo e leggendario, legittima tanto il dominio di Roma sul mondo quanto il potere interno della gens Iulia, la famiglia di Augusto che rivendica per sé la discendenza da Ascanio Iulo, figlio di Enea. L’ideologia augustea viene perciò esaltata con grande efficacia, pur in una dimensione temporale diversa da quella del presente.
È un’opera monumentale, considerata alla stregua di un’Iliade latina, il cui
modello è Omero. Il grande poeta latino vi narra le vicende di Enea, figlio del mortale Anchise, cugino di Priamo, re di Troia, e di Venere. Di Priamo, Enea ha sposato la figlia, Creusa. Partecipa alla fase finale della guerra tra troiani e achei. Finché fugge da Troia in fiamme, portando via i Penati, il figlio Ascanio e, sulle spalle, il vecchio padre; con i Troiani superstiti salpa con venti navi da Antandro, nella regione della Troade, in Anatolia.
Da quel momento hanno inizio le sue peregrinazioni; approda successivamente nella Tracia, a Delo, a Creta, in Sicilia, dove muore Anchise, sulle coste dell’Africa, presso la regina Didone, poi in Italia, a Cuma, donde discende nell’Averno. Per giungere infine nel Lazio, dove è accolto da Latino, re dei Laurenti, che gli promette in sposa la figlia Lavinia, già promessa a Turno re dei Rutuli. Di qui ha origine la guerra tra Enea, aiutato da Evandro, re di Pallanteo, e Turno, soccorso dai principi italici, finché questi cade ucciso in duello da Enea.
L’arrivo nel Lazio da parte di Enea è descritto nel libro VIII dell’Eneide. Evandro, re degli Arcadi, insieme con un manipolo di Arcadi, era giunto sulle coste del Lazio e aveva fondato Pallanteo, una città sul Palatino.
Enea si troverà a percorrere i luoghi dove si ergerà la città Roma, di cui proprio lui e la sua discendenza saranno i progenitori, la nuova Roma che sostituirà l’antica Troia, la città abbandonata nel momento della sua rovina.
La passeggiata si svolge a conclusione del rito di commemorazione di Ercole Invitto all’Ara Maxima il 12 agosto, data che ricorda il triplice trionfo di
Ottaviano, che ebbe luogo dal 13 al 15 agosto del 29 avanti Cristo, quasi abbreviando la distanza che separa il tempo della narrazione da quello del poeta. Comincia con l’immagine di tre uomini in cammino, il vecchio Evandro, quasi paludato, obsitus, della sua dotta vecchiezza, con vicino Enea e Ascanio: Ascanio ha il compito di portare i Penati ed Evandro detiene la conoscenza del luogo. Lo stato d’animo di Enea è colmo di stupore e meraviglia nei confronti dei luoghi che gli sfilano davanti. A quel punto Evandro ricostruisce la storia del sito a partire da un tempo del mito anteriore a quello in cui vi si erano stabiliti gli Arcadi da lui governati. In passato il Lazio era abitato da Ninfe e Fauni dai costumi primitivi; solo dopo la venuta di Saturno, cacciato dall’Olimpo, essi furono civilizzati: si aprì così l’epoca aurea di Saturno alla quale subentrarono gradualmente periodi più foschi; infine il Lazio fu diviso in vari regni. In questo scenario giunse Evandro, cacciato anch’esso dalla patria e sollecitato da sua madre, la ninfa Carmenta: costui si stabilì su di un colle, fondando la rocca di Pallanteo, dal nome del figlio Pallante da cui deriverebbe, secondo un’etimologia suggerita da Virgilio, il nome del colle Palatino. Se la biografia di Evandro sembra replicare per sommi capi quella di Saturno, è chiaro che prefigura non solo quella dell’esule Enea, ma anche quella di Ottaviano, al cui fianco si era schierato Apollo.
I tre uomini, dunque, partono dall’Ara Massima di Ercole, innalzata da Evandro stesso nell’angolo Sud-Occidentale della vasta area del Foro Boario, la cui posizione dovrebbe attualmente corrispondere all’angolo di piazza della Bocca della Verità, formato da via della Greca e via dell’Ara Massima di Ercole e identificata da alcuni archeologi con il sito di Santa Maria in Cosmedin. Iniziata la passeggiata, si muovono verso Nord, tenendo il Tevere alla loro sinistra, fino a raggiungere l’ara Carmentale, presso cui verrà poi costruita l’omonima porta, che conduceva al Foro Olitorio, collocabile nel punto di incontro tra via Jugario e via della Consolazione. Quindi, costeggiando le pendici orientali del Campidoglio, passano davanti al bosco, situato tra le due cime del colle, che sarà adibito da Romolo ad Asilo. Proseguendo nella passeggiata, Evandro indica, alla loro destra, alle pendici del colle Palatino, il Lupercale, vicino al luogo in cui ora sorge la chiesa di Santa Anastasia, e mostra, di fronte a loro, il bosco dell’Argileto, nell’angolo Nord – Est del Foro Romano. Successivamente Evandro porta i suoi ospiti alla rocca Tarpea e al Campidoglio, boscoso al momento della passeggiata, all’epoca di Virgilio invece coronato dal tempio di Giove
Capitolino, costruito da Tarquinio sulla tomba di Tarpea. Da lì scorgono la Rocca di Giano e la Rocca Saturnia, forse identificabili con le due cime del colle. Chiacchierando arrivano alle lussuose Carinae, attualmente il triangolo fra via Cavour, via dei Fori e via degli Annibaldi, prestigioso quartiere residenziale all’epoca di Virgilio, ma che al tempo di Enea costituiva, assieme a quello che sarà il Foro, un semplice pascolo per gli armenti, suggerendo un’implicita esortazione alla modestia. Attraversata la valle del futuro Foro romano, Evandro, Enea e Ascanio si trovano alle pendici del Palatino.
Tra amabili conversari, così come la passeggiata era iniziata, vario sermone, i tre protagonisti giungono affrontando un percorso in salita, subibant, sul colle Palatino, mai nominato esplicitamente, quasi per evitare l’associazione della dimora di Augusto all’umile casa di Evandro, pur sempre regia però, simbolo della paupertas, ossia dell’assenza di ciò che è superfluo, in cui vivevano gli Arcadi, e monito per il cittadino romano modello di epoca augustea.
Non a caso però la meta della passeggiata coincide con il sito in cui sorgerà la casa Romuli e più tardi la casa di Augusto e di Livia, connotata retroattivamente con una virtuosa paupertas, cui si oppone la ricchezza delle opere pubbliche. Come se non bastasse la modestia del luogo, Evandro stesso ammonisce Enea alla moderazione nei confronti della ricchezza e gli offre, secondo la tradizione ellenistica che rimanda a Ecale e a Molorco, un umile giaciglio di foglie, affinché non si abbandoni al lusso e all’opulenza, ma rammenti i valori alla base della civiltà romana: pietas, fides, constantia, iustitia, clementia, probitas.
Con tratto pittorico gradito a tanti futuri amanti delle notti romane, la passeggiata archeologica di Enea si conclude con le tenebre che con ali vellutate abbracciano la meraviglia del Foro, dove echeggia ancora il muggito delle vacche al pascolo: è suggestivo riconoscervi con un balzo in un futuro, che profumerà di passato, il Campo Vaccino inciso da Piranesi e intimamente assaporato da Goethe.
Roma, 14 luglio 2019