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  1. La chiesa cristiana e il tempio pagano, un’affascinante convivenza: San Lorenzo in Miranda al Tempio di Antonino e Faustina

    Scrive Stendhal, il 5 ottobre 1828, nelle sue “Passeggiate romane”: «È il magnifico tempio di Antonino e Faustina. Bisogna venirci subito, appena

    San Lorenzo in Miranda.

    arrivati a Roma, se sì vuol comprendere che cosa era un tempio antico. La via Sacra vi passava davanti. Dieci grandi colonne di cipollino alte quaranta piedi, tutte di un blocco. Provate a paragonare tutto ciò alle miserabili basiliche che Parigi costruisce attualmente, rovinando l’erario e scontentando i contribuenti. L’architettura diventa sempre più insopportabile». Stendhal ci parla del meraviglioso tempio romano proprio all’ingresso del Foro romano. C’è altro però: al suo interno si nasconde una chiesa cristiana: San Lorenzo in Miranda degli Speziali. Un nome che contiene già una serie di informazioni su di essa. San Lorenzo perché è dedicata a an Lorenzo martire, del quale sono conservate qui alcune reliquie. Degli Speziali,  perché Martino V, nel 1430, affidò questo luogo all’Universitas Aromatariorum Urbis, la sede degli Speziali per gli incontri di preghiera e crescita spirituale, noto come Nobile Collegio Chimico Farmaceutico.
    Ancora oggi la chiesa è la sede del Nobile Collegio dei Farmacisti, conosciuto come confraternita, ma in realtà è un ente civile nato con lo scopo di fare del bene alle persone, quando fu istituito molti degli Speziali erano cattolici.
    Quale allora la storia di questa chiesa dentro ad un tempio?

    San Lorenzo in Miranda in una foto di fine Ottocento.

    Le prime comunità cristiane di Roma hanno spesso utilizzato alcune domus romane come chiese. Successivamente hanno iniziato anche a occupare i templi pagani. Il primo tempio divenuto una chiesa è il Pantheon e tale trasformazione avvenne durante il pontificato di Bonifacio IV, cioè tra il 608 ed il 615 dopo Cristo, quindi trecento anni dopo Costantino. Il tempio romano era composto da una cella, una grande stanza nella quale entrava il sacerdote, dove era collocata la statua della divinità. Questo spazio era delimitato da una serie di colonne. In base alla collocazione delle colonne il tempio era definito prostilo, cioè con le colonne solo davanti, oppure anfiprostilo, con le colonne avanti e dietro, o ancora periptero, con le colonne su tutti i lati.
    Entrando oggi in San Lorenzo in Miranda di fatto ci si trova all’interno della cella di un antico tempio prostilo ed esastilo, perché le colonne sono sei, una volta occupata da una gigantesca statua di Faustina, alla quale il tempio era dedicato. Successivamente il tempio fu dedicato anche al marito di Faustina, Antonino Pio. Il tempio fu eretto nel 141 dopo Cristo, accanto alla Basilica Aemilia infatti, per onorare la moglie di Antonino Pio che era

    San Lorenzo in Miranda.

    appena morta ed era stata divinizzata dal Senato. Venti anni dopo, morto anche l’imperatore, il tempio venne intitolato anche a lui. La facciata presenta una doppia trabeazione. Sulla più antica, quella inferiore, è scritto: DIVAE FAUSTINAE EX. S. C., Senatus Consultus. Su quella più recente, posta più sopra, è stata aggiunta l’iscrizione DIVO ANTONINO ET. Le due iscrizioni sottolineano il fatto che la doppia dedicazione sia avvenuta in tempi diversi.
    I sacerdoti accedevano alla cella tramite una gradinata, che si è conservata, che dava proprio sulla Via Sacra. Al termine della gradinata si ergeva l’altare per i sacrifici.
    La chiesa attuale oltre la cella occupa parte del pronao del tempio di Antonino e Faustina. La cella è costruita in opera quadrata di peperino; sui due lati maggiori corre un fregio marmoreo, con la rappresentazione di grifoni e motivi vegetali. In origine la cella era rivestita di marmo. Esternamente si vede che il podio, l’alzata della cella prima delle colonne, è in tufo. Originariamente non era così. I buchi che ora vediamo servivano a fissare tramite delle grappe le lastre di marmo. Tra il 1362 e il 1370 Urbano

    San Lorenzo in Miranda – Interno.

    V autorizzò la rimozione delle pareti in marmo del tempio, divenuto ormai una chiesa, e la riutilizzazione di questo marmo per la basilica lateranense.
    Probabilmente questo tempio fu trasformato in chiesa tra il VII e l’VIII secolo, anche se non abbiamo un’evidenza storica o archeologica che possa darci testimonianza certa di una data. Nel 1050 in un testo famosissimo, i Mirabilia Urbis, una guida per i pellegrini che venivano a Roma, si trova il primo riferimento a questa chiesa.
    Un secondo testo che ci parla di questa chiesa è del 1192; è un catalogo delle chiese di Roma, il Liber Censuum di Cencio Camerario, futuro papa Onorio III, appartenente alla famiglia Savelli. Questi fu detto anche Cencio camerarius, perchè aveva ricoperto, dal 1188, la carica di camerlengo. Da questo libro si evince che alla chiesa era stato annesso un monastero. Tutte le grandi chiese, mete di pellegrinaggio, avevano annesso un monastero che serviva sia per la gestione della chiesa che per l’accoglienza dei pellegrini e dei poveri. Qui fu poi creato un monastero detto Miranda, “quod vocatur de Mirandi”. Non c’è un’interpretazione univoca dell’appellativo “in miranda”. Probabilmnete ciò fa riferimento al fatto che il complesso era circondato dalle bellezze del Foro, in questo caso la parola miranda starebbe per bella vista, ma tale appellativo potrebbe anche derivare da una benefattrice di nome Miranda o, più ancora, dal cognome di una famiglia, “de Miranda”, che è attestata da una lapide sepolcrale presente in San Giacomo degli Spagnoli.

    San Lorenzo in Miranda in una foto di fine Ottocento.

    Nel 1430 Martino V, il papa raffigurato nella tela sopra il portale principale, concesse tutto il complesso architettonico all’Università degli Speziali che è ancora proprietaria di questo ambiente. Nel 1536, in occasione della visita dell’imperatore Carlo V a Roma, che doveva passare sulla Via Sacra, si decise di liberare l’antico tempio pagano dagli edifici che nel frattempo gli erano cresciuti intorno, e che vennero perciò demoliti. La demolizione rese le strutture principali del tempio nuovamente visibili, ma comportò anche l’abbattimento di tre cappelle laterali della chiesa che erano disposte intorno al tempio stesso.
    Bisogna ricordare che la Via Sacra fu, fino all’avvento del governo fascista e alla creazione di Via dei Fori Imperiali, l’unico asse viario percorribile da processioni e parate. La facciata principale della chiesa, così come quella del tempio, sono quindi quelle che insistono sulla Via Sacra e guardano al Foro, anche se oggi l’ingresso avviene dai Fori Imperiali. La porta principale era quindi quella che guarda sul Foro. Ma nel tempo il Foro si era ricoperto di terra e lentamente il piano di calpestio si era innalzato di diversi metri rispetto a quello originale tanto che, già nel 1602, fu necessario ricostruire la chiesa più in alto.

    Martirio di San Lorenzo – Pietro da Cortona – San Lorenzo in Lucina.

    Oggi esiste un grande dislivello tra il piano di calpestio della Via Sacra e l’ingresso della chiesa dal lato del Foro perché gli scavi archeologici dell’Ottocento, e soprattutto quelli del Novecento, hanno riportato la situazione all’originale, fino a liberare l’intero podio del tempio, che oggi può essere ammirato in tutta la sua bellezza.
    La facciata di San Lorenzo in Miranda sul Foro è barocca a due ordini ed è preceduta da dieci colonne in marmo bianco che appartenevano al tempio.
    Quando tempio il tempio di Antonino e Faustina era in attività, coloro che volevano partecipare al culto imperiale si radunavano alla base della gradinata e assistevano ai sacrifici che venivano fatti sull’altare. Quei animali di varie specie venivano uccisi e parte dei loro resti venivano portati dai sacerdoti del culto dentro la cella, solo i sacerdoti potevano accedere a questo ambiente, per poter essere bruciati davanti alle statue di Faustina e Antonino, così che il sacrificio potesse raggiungere le due figure imperiali a cui era stato destinato. La gente assisteva a questa cerimonia sacra dall’esterno e seguiva ciò che accadeva grazie al fatto che intorno alla cella stessa c’erano le colonne che lasciavano spazio sufficiente per la visibilità.
    La chiesa ha un affaccio panoramico anche sulla terrazza della Basilica Aemilia. Qui è interessante soffermarsi perché guardando questa terrazza è facile capire come la basilica cristiana sia derivata in maniera naturale dalla struttura pagana e come, nel contempo, essa ne sia una modificazione significativa.

    Resti della Basilica Emilia

    La basilica pagana, infatti, era costituita da una grande navata centrale utilizzata come ambiente di riunione, di rappresentanza, d’incontri d’affari, fiancheggiata da navate minori, divise con colonne e pilastri che si apriva sul foro e non aveva alcuno specifico orientamento. Il gran numero di colonne presenti all’interno dell’ambiente sorreggevano un tetto a capriate.
    Questa particolare organizzazione degli spazi rendeva la basilica romana un edificio adatto alla trasformazione in luogo di culto poiché i fedeli potevano essere accolti al suo interno, cosa che nel tempio non accadeva, e contemporaneamente le alte mura che la delimitavano creavano uno spazio intimo che proteggeva da sguardi esterni e contemporaneamente permetteva al sacerdote di vedere e controllare gli adepti.
    Nel mondo cristiano l’ingresso della basilica romana, che era sul lato lungo, viene spostato però sul lato corto in modo che la regolarità dello spazio delimitato dalle colonne lungo la navata centrale crei una naturale traiettoria visiva privilegiata che porta lo sguardo verso l’altare, ovvero il centro spirituale e religioso dove si svolge la liturgia. Le absidi laterali dell’antica basilica romana diventeranno nel tempo cappelle laterali.
    Sull’altro lato di san Lorenzo in Miranda è invece possibile vedere la parte posteriore della chiesa dei Santi Cosma e Damiano. L’edificio è costituito da due basiliche una posta sull’altra, quella inferiore è ricavata dal piccolo tempio circolare di Romolo di cui conserva il portale.

    Roma, 5 ottobre 2019

  2. Sulle tracce di Pietro l’Apostolo: chiesa dei Santi Nereo e Achilleo

    Gli Atti di Pietro, testo cristiano apocrifo composto in greco nella seconda metà del II secolo, narra della predicazione, dei miracoli e della morte del principe degli apostoli. Di questa narrazione fa parte l’episodio della sua momentanea fuga da Roma lungo la via Appia per evitare la

    Basilica dei Santi Nereo e Achileo. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”

    condanna a morte. Durante il percorso Pietro, fuggito miracolosamente dal Carcere Mamertino posto ai piedi del Campidoglio, perde una “fasciola”, la benda che gli copriva le caviglie piagate per essere state strette nei ceppi. Una pia matrona aveva poi raccolto la fasciola.
    Il luogo dello smarrimento si troverebbe presso le Terme Antoniniane, fatte edificare da Caracalla nel III secolo, e qui sarebbe sorto il celebre titulus fasciolae frequentato dai Cristiani che abitavano lungo l’Appia. Sempre qui nel IV secolo sarebbe sorta una chiesa dedicata a San Pietro. Successivamente, probabilmente a partire dal VI secolo, la stessa chiesa fu intitolata ai santi Nereo e Achilleo, le cui spoglie riposano sotto l’altare.
    Ma l’episodio più famoso e commovente di questa narrazione è ricordato subito fuori Roma nel punto in cui oggi si dividono la via Appia Antica e l’Ardeatina. A quell’incrocio sorge la chiesetta del Quo vadis, nel luogo in cui a Pietro, in fuga da Roma, sarebbe venuto incontro il Signore che gli avrebbe detto: «Vengo a Roma per essere crocifisso di nuovo». Al che Pietro, tornò sui suoi passi e andò a incontrare la morte che avverrà nello “stadio privato” di Nerone, in Vaticano.

    Basilica di Nereo e Achilleo – Interno.

    Della chiesa intitolata ai santi Nereo e Achilleo, si ha memoria fin dall’anno 377, ma fu rifatta più volte.
    Il titulus Sanctorum Nerei et Achillei viene per la prima volta ricordato nel 595 al posto del titulus Fasciolae. Quest’ultimo viene registrato per la prima volta da papa Simmaco nel 499, ma era già noto nel 377 come è attestato da un’iscrizione che si trova oggi in San Paolo Fuori le Mura, e che cita un certo Cinammio come lector del titulus Fasciolae.
    Vista questa tempistica si può desumere che la dedica del titulus Fasciolae ai due santi deve essere avvenuta nel corso del VI secolo.
    La titolazione della chiesa ai santi Nereo e Achilleo avviene perciò sotto il pontificato di san Gregorio Magno, quindi tra il 590 e il 604; l’edificio sacro mantenne pure nel nome il titulus fascicolae.
    Nereo e Achilleo, secondo la tradizione, erano servi della nobile Flavia Domitilla e con lei martirizzati per la loro fede cristiana all’epoca di Diocleziano. Più verosimilmente, ma anche secondo una testimonianza storica di papa Damaso, entrambi erano soldati, uccisi nell’ambito della crudele persecuzione dioclezianea che colpì inizialmente proprio i “fratelli dell’esercito”.
    Il luogo in cui fu costruita la chiesa era paludoso e malsano tanto che, sotto il pontificato di Leone III, nell’814, l’antico edificio sacro era ormai completamente diroccato e affondato nel terreno. Papa Leone III decise così di abbatterlo e di farne costruire uno nuovo di maggior decoro e bellezza in una zona più stabile nei pressi. A questa ricostruzione data il mosaico dell’arco trionfale, che ancora si può ammirare.

    Basilica dei Santi Nereo e Achilleo – Baldacchino.

    Dopo un secondo periodo di abbandono, Papa Sisto IV, 1471 – 1484, per il Giubileo del 1475, restaurò la chiesa facendo apportare alcune modifiche strutturali: la volle, infatti, più piccola e fece sostituire le colonne con pilastri in muratura.
    Di nuovo seguì un periodo di degrado fino alla vigilia del Giubileo del 1600, quando, il cardinale Cesare Baronio, della Congregazione dell’Oratorio di Roma, fece istanza al Papa per averne il titolo cardinalizio con il proposito di riportarla a nuovo splendore. Così, con un breve di Papa Clemente VIII del 29 giugno 1597, la chiesa venne assegnata in perpetuo alla Congregazione dell’Oratorio. È questa la data che segna la nuova storia della basilica. Il cardinal Baronio profuse un grande impegno, portando a termine intensi lavori di ristrutturazione e di abbellimento, tra i quali il ciclo di affreschi che decorano tutte le pareti della chiesa. 
    L’interno è basilicale, oggi, è a tre navate. La decorazione consiste in crudi affreschi di martiri del Pomarancio e nel mosaico dell’arco trionfale con la trasfigurazione di Cristo, che è quello fatto realizzare da papa Leone III, e data quindi al secolo IX. Si trovano altresì nella chiesa un coro cosmatesco, un ambone medievale, un candelabro marmoreo del XV secolo e vari avanzi romani. All’esterno, davanti ad una semplice facciata caratterizzata da un protiro su due colonne, è una colonna di granito con la croce.

    Basilica dei santi Nereo e Achilleo – Arco absidale. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Il portale presenta entrambe le dediche della chiesa: “Ss MARTYRUM NEREI ET ACHILLEI e TITULUS FASCIOLAE“; inoltre è sormontato da un finestrone che illumina la navata centrale ed è ornato da una semplice cornice in travertino con timpano spezzato, al centro del quale vi è posto l’affresco raffigurante una Madonna con Bambino.
    La chiesa fu restaurata nuovamente nei primi anni del Novecento e poi ancora nel 1941, in occasione di questo restauro fu riportata alla luce la superficie a riquadri con drappi che contraddistingue la facciata. Questa si presenta in posizione arretrata fra due alte murature appartenenti all’edificio originario, con il corpo centrale con tetto a capanna sopraelevato rispetto ai due laterali.

    Roma, 17 settembre 2019

  3. Cappella della Santissima Trinità al Monte di Pietà

    Nascosta dietro un cancello, nel cortile interno del Palazzo del Monte di Pietà, la grande cappella dedicata alla Santissima Trinità, totalmente rivestita di marmi policromi e di decorazioni a stucco è un gioiello di architettura barocca praticamente sconosciuta.

    Cappella del Monte di Pietà.

    Nel 1639 l’Arciconfraternita del Monte di Pietà commissionò i lavori di ristrutturazione di questa cappella a Francesco Peperelli, un architetto attivo a Roma nella prima metà del XVII secolo. Giovanni Antonio de’ Rossi subentrò al Peperelli, che morì nel 1641. Ma a concludere i lavori nel 1730, rispettando il progetto originale, fu Carlo Francesco Bizzaccheri. Entrando nel piccolo vestibolo quadrato che introduce alla cappella, costruito fra il 1700 e il 1702, si resta subito colpiti dalla bellezza del rilievo di Michele Maglia al centro della volta, dal tondo raffigurante il Padre Eterno in cielo attorniato da angeli e dalla splendida ghirlanda di fiori in stucco dorato che lo circonda, opera di grande maestria di Niccolò Berrettoni, Giovanni Maria Galli da Bibbiena e Filippo Ferrari.
    Dall’atrio di entra nella cappella di forma ovale. L’oro degli stucchi e i colori accesi dei marmi che rivestono le pareti contrastano con il legno delle porte e il bianco candido delle statue nelle nicchie e dei grandi bassorilievi sopra l’altare.

    Cappella Pio Monte – Volta.

    Le statue rappresentano le Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, e furono eseguite rispettivamente da Francesco Moderati, Augusto Cornacchini e Giuseppe Mazzuoli, con l’aggiunta dell’Elemosina di Bernardino Cametti, che simboleggia l’aiuto dato dalla confraternita dei bisognosi. Lo straordinario bassorilievo sull’altare è opera di Domenico Guidi, che la eseguì nel 1676, e rappresenta una Pietà dall’insolito schema compositivo. Gli altri due bei bassorilievi a destra e a sinistra dell’altare rappresentano “Tobia e l’Angelo”, opera di Pierre II Le Gros, e “Giuseppe in Egitto” di Jean-Baptiste Théodon.
    La volta fu decorata nel 1696, secondo il progetto dell’architetto Francesco Bizzaccheri, con cornici, conchiglie e ornamenti vegetali in stucco dorato che uniscono i medaglioni in stucco bianco eseguiti da Michele Maglia, Lorenzo Ottoni e Simone Giorgini e raffiguranti i momenti salienti della nascita del Monte di Pietà.
    Il Palazzo del Monte di Pietà si affaccia su una deliziosa piazzetta con la vivacità derivante dalla composizione scultorea del “Cristo al sepolcro”, simbolo dell’Istituto, dagli stemmi, dalla fontana e dall’alto orologio.

    Cappella Pio Monte di Pietà – Domenico Guidi.

    Il “Monte” – ideato con intenti caritativi dal frate minore Giovanni Maltei da Calvi nel 1539 e passato dalla prima sede posta ai Banchi Vecchi a quella procuratagli da Sisto V ai Coronari – acquistò nel 1603 questo cinquecentesco palazzo, qui costruito dal Mascherino per il cardinal Prospero Santacroce e che allora era limitato alla parte centrale dell’attuale edificio. Intervennero successivi ampliamenti, fino ad occupare l’enorme isolato attuale.
    Si possono notare, fra gli altri, i contributi del Maderno, aiutato dal giovane Borromini, per il primo ampliamento della facciata principale, del Paparelli per la ricca cappella, di Nicola Salvi per la facciata posteriore, 1735 – 1740.
    Nel 1762 venne costruito il cavalcavia detto “Arco del Monte”, che collega il palazzo all’attiguo Palazzo Barberini, allora proprietà del Monte. Da notare, all’interno del cortile, vari monumenti e ricordi pontifici.
    La funzione del Monte di Pietà, che si introdusse a Roma in ritardo, dopo che era stato sperimentato in altre città dell’Italia centrale, fu provvidenziale in un’epoca di grande penuria economica e mancante di istituzioni assistenziali. Esso nacque dal proposito di combattere l’usura e il suo carattere fu quello delle redimibilità del “pegno” dietro rimborso, con l’aggiunta di un modesto interesse corrispondente alle spese di gestione. Spesso la beneficenza di privati o di confraternite liberava le polizze dal dovere di restituzione del prestito.

    Roma, 15 settembre 2019

  4. Articolo

    Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica

    di Paolo Ricciardi

    A cinquanta anni da Woodstock, ovvero da quello che è considerato il più grande evento musicale, e non solo, realizzato fino a oggi, pubblichiamo un articolo di Paolo Ricciardi che ripercorre brevemente quei giorni di

    Woodstock – Il Concerto – 1969.

    musica, ma anche di pace e amore, quando una vasta comunità si riunì in un luogo con l’unica motivazione di ascoltare musica e condivise tutto, dimostrando che convivenze pacifiche sono effettivamente possibili, se si condividono ideali e obiettivi.

    Sono le 17.00 del 15 agosto 1969 quando Richie Havens sale sul palco, dando inizio a un evento che entrerà nella storia della musica e non solo, diventando simbolo di una generazione e dei suoi sogni, purtroppo mai realizzatisi.
    Tutto iniziò da un semplice annuncio sul giornale, pubblicato da John Roberts e Joel Rosenman, che recitava più o meno così: “Uomini giovani con capitale illimitato cercano interessanti opportunità, legali, di investimento e proposte d’affari”.
    I soldi, in pratica, erano quelli di Roberts, il quale li aveva ereditati dal ramo farmaceutico. Con lui, nella missione, era impiegato il suo migliore amico, Rosenman. Ma a far scoccare la scintilla furono due nuovi arrivati, Artie Kornfeld e Mike Lang.
    Questi ultimi contattarono Roberts e Rosenman con la proposta di creare uno studio di registrazione nel villaggio di Woodstock, nella contea di Ulster dello stato di New York. La proposta dello studio di registrazione si modificò ben presto nell’ambizioso progetto di organizzare un mega festival musicale e artistico che avrebbe dovuto accogliere circa 50.000 persone.
    continua…