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  1. Dimore del patriziato romano. Palazzo Patrizi Naro Montoro.

    La Pinacoteca di Palazzo Patrizi.

    Al civico 37 di Piazza San Luigi dei Francesi, al Rione Sant’Eustachio, si innalza Palazzo Patrizi. Proprio di fronte alla celeberrima chiesa “caravaggesca”. È, quest’antica e nobile dimora patrizia, normalmente interdetta ai visitatori. In occasione – del tutto straordinaria – della visita, a spalancarci le porte e a guidarci sarà il padrone di casa: il marchese Corso Patrizi Naro Montoro. Si avrà dunque l’opportunità di godere dei tesori ospitati dal palazzo: intanto, la Pinacoteca del Tesoriere, una delle più belle quadrerie di Roma, intatta dalla fine del Settecento. Allestita per volontà di Costanzo e Giovanni Battista Patrizi, tesorieri del papa, vanta capolavori quali il San Girolamo del Guercino, il Ratto di Europa di Francesco Albani, alcuni paesaggi di Paul Brill. Quindi la Sala da ballo, riccamente affrescata, la Sala Verde, la Sala Rossa e la Cappella privata, ancora officiata.
    Ma quali sono le origini di questo Palazzo e delle famiglie che lo hanno abitato?

    San Girolamo – Guercino – Collezione Patrizi.

    La struttura originaria risale ad una modesta casa che un certo Gaspero dei Garzoni di Jesi acquistò nel 1512 da Alfonsina Orsini e che venne modificata in una serie di lavori svoltisi ad intervalli, nel contesto di un susseguirsi di compravendite dell’edificio operate dai suoi eredi. Nel 1605 il palazzo fu acquistato dalla principessa Olimpia Aldobrandini, che acquisì anche un edificio adiacente, proprietà dell’Arciconfraternita della Carità e dell’Ospedale della Consolazione. La nuova padrona fece unire i due edifici in un’unica costruzione, commissionandone la facciata, che venne completata nel 1611: sebbene siano stati fatti i nomi di Giacomo Della Porta, di Carlo Maderno e di Giovanni Fontana, tuttora resta difficile determinarne l’attribuzione.

    Sala Rossa Palazzo Patrizi.

    Nel 1642 il palazzo fu venduto ai Patrizi, antica famiglia senese stabilitasi a Roma nel 1537 ed estintasi con Maria Virginia, sposa nel 1726 di Giovanni Chigi Montoro; questi prese il cognome dei Patrizi, la cui figlia Porzia sposò il marchese Tommaso Naro, da cui discendono i marchesi Patrizi Naro Montoro, attuali proprietari dell’edificio. Il palazzo fin dal 1690 fu oggetto di varie modifiche e ristrutturazioni operate, in particolare, nel primo Settecento da Sebastiano Cipriani; ulteriori lavori si ebbero nel 1747 e altri rinnovamenti nel 1823 ad opera di Luigi Moneti. La facciata sviluppa su tre piani e un mezzanino, oltre la sopraelevazione ottocentesca; il portale, decentrato, presenta due mensole con stelle e banda merlata, elementi araldici dello stemma Aldobrandini, che si ripetono anche sulle finestre e sul cornicione, affiancato da due finestre architravate e inferriate, due a destra e una a sinistra. Al primo piano, quattro finestre con timpano triangolare e centinato alternato, sovrastati da festoni di frutta e nastri; al secondo, quattro finestre architravate, sovrastate da tre finestrelle ovali, una delle quali murata; al terzo, quattro finestre riquadrate, l’ultima delle quali è una porta-finestra che apre su un balcone ad angolo che gira su via Giustiniani, sul quale la facciata presenta caratteristiche simili.

    All’angolo un cantonale bugnato fino al balcone custodisce una Madonnella costituita da un dipinto ad olio su tela raffigurante l’immagine dell’Addolorata, riprodotta a mani incrociate sul seno e sguardo rivolto al cielo. Intorno alla cornice quadrangolare sono disposti fregi a motivi floreali, festoni ed una ghirlanda di rose. Al di sopra vi è collocato un baldacchino in lamiera con elaborati motivi ornamentali a traforo a forma di merletto; l’edicola è completata da una lanterna a braccio. Dal portale del palazzo si accede al cortile attraverso un vestibolo a volta con archi poggianti su lesene singole e doppio alternativamente; a sinistra del vestibolo una sala con archi ribassati e statue entro nicchie. All’interno è notevole l’atrio del primo piano con soffitto a cassettoni del Cinquecento. Si distinguono un salone verde con un fregio rappresentante scene bibliche e quadri del Seicento e Settecento e un salone da ballo con numerose tele, tra le quali Le Muse di Francesco Solimena. Sul soffitto della cappella vi sono affreschi del Settecento raffiguranti la Vergine col Bambino e tre beati della famiglia Patrizi, Saverio, Antonio e Francesco.

    Palazzo Patrizi Montoro

    Il ramo dei Naro, che si andrà poi a fondere con quello dei Patrizi, è noto fin dal 1300 con Paolo Naro che ricopriva la carica di Conservatore assurgendo, per cariche pubbliche civili, ecclesiastiche, e patrimonio, a notevole fama e ricchezza nella città. Oltre al palazzo Patrizi Naro Montorio di Piazza San Luigi dei Francesi, c’è il palazzo Naro detto di Santa Chiara tra via Torre Argentina, via Nari e via Monterone. Un altro palazzo era situato in piazza Campo Marzio, rione di cui erano originari, e ancora il villino, sede dei noti Atelier degli Artisti al n. 54 di via Margutta, che in passato aveva preso dalla famiglia il nome di via Nara. Un Tiberio Naro tornò a ricoprire la carica di Conservatore durante la metà del secolo XVI acquisendo numerose proprietà a sud-est di Roma, e un Francesco Naro partecipò alla battaglia di Lepanto imbarcato nella nave Capitana al comando di Marcantonio Colonna.

    Palazzo Patrizi Montoro.

    Con Bernardino Naro, figlio di Fabrizio, capofamiglia del ramo di Sant’Eustachio e fratello del cardinale Gregorio, che acquisì la redditizia carica di Cancelliere del Popolo romano, i Naro acquistarono nel 1638 la contea di Mustiolo presso Civitella di Romagna. Dai Capponi acquisirono il feudo di Mompeo, nel 1646, con il titolo di marchese. Nel 1750, a seguito del matrimonio di un altro Francesco Naro con Porzia, figlia ed erede del marchese di Montoro, Giovanni Chigi Montoro e di Maria Virginia Patrizi, la famiglia ne ereditò i cognomi, il blasone, anteponendo al proprio il cognome Patrizi per gli obblighi connessi alla successione fidecommissaria, e il possesso dei beni tra i quali vi erano il palazzo sito in piazza san Luigi dei Francesi, loro residenza, il palazzo Montoro nella via omonima, già vicolo di Corte Savella, la villa Patrizi a Porta Pia e i marchesati di Montoro, Paganico, Castel Giuliano e Sasso. Giovanni Patrizi Naro Montoro, figlio di Francesco e Porzia, sposò la principessa Cunegonda di Sassonia-Lausitz, nipote di Augusto III di Polonia, da cui nacque il futuro cardinale Costantino Patrizi Naro; di salda fede cattolica e convinto antinapoleonico a causa del rifiuto di inviare due dei suoi figli nel collegio militare di La Fleche, subì la confisca dei beni e la deportazione a Fenestrelle presso Torino. Successivamente, con la Restaurazione fu nominato da Pio VII senatore di Roma e poi principe assistente al Soglio Pontificio. Nel 1816 i Patrizi Naro Montoro, come molte altre famiglie baronali romane, rinunciarono ai diritti feudali su Montoro, Mompeo, Sasso e Castel Giuliano, mantenendone tuttavia i titoli e beni allodiali. La famiglia godeva all’interno della Corte pontificia del titolo di Vessillifero dei Cavalleggeri e delle Lance Spezzate di Santa romana Chiesa sin dal 1638 nella persona del marchese Bernardino Naro. Lo stesso papa concesse ancora a Giovanni Battista figlio di Bernardino la carica di Vessillifero della sua guardia del corpo dei Cavalleggeri; è da ricordare tuttavia che Bernardino Naro ricoprirà di nuovo sotto il pontificato di Innocenzo X, l’incarico di Capitano dei Cavalleggeri. Di questa carica venne fregiato successivamente anche il marchese Emilio de’ Cavalieri e il marchese Patrizio Patrizi dal 1656, la cui casata si estinguerà in quella dei Naro.
    Con lo scioglimento del corpo dei Cavalleggeri pontifici e la successiva istituzione nel 1801 ad opera di Pio VII della Guardia nobile, la carica divenuta ereditaria di Vessillifero di Santa Romana Chiesa venne poi mantenuta dalla famiglia. Cariche che, con l’avvento del pontificato di Paolo VI, verranno definitivamente abolite.

    Roma, 7 gennaio 2019

  2. La Roma delle antiche Confraternite. La chiesa di San Marcello al Corso e l’Oratorio del Santissimo Crocifisso.

    La chiesa di San Marcello al Corso, ovvero di San Marcello in Via Lata, è una delle prime chiese cristiane a Roma. La prima notizia che si ha della sua esistenza risale al 418.

    San Marcello al Corso.

    Il 29 dicembre 418, infatti, il prefetto di Roma Simmaco, scriveva all’imperatore Onorio per informarlo che in questa chiesa era avvenuta l’elezione del papa Bonifacio I, mentre nella basilica lateranense era avvenuta l’elezione dell’antipapa Eulialo.
    Nel Liber Pontificalis e nella Passio Marcelli il titulus della chiesa è legato a Marcello I, perseguitato da Massenzio e condannato a compiere i lavori più umili nelle stalle del catabulum, ovvero nella stazione di posta imperiale che sorgeva proprio dove oggi si trova la chiesa. Le stazioni di posta nella Roma antica si trovavano lungo le vie principali e questa che sorgeva lungo la via Lata, ovvero il tratto cittadino della via Flaminia, accoglieva il traffico proveniente al Nord e diretto in città. Da qui si partiva per dirigersi al Nord, dove Nord non era solo Rimini e Milano. Presso questa stazione di posta non solo salivano e scendevano i passeggeri, che avevano anche la possibilità di rifocillarsi e dormire, ma venivano cambiati anche i cavalli e i postiglioni. Essendo una delle stazioni di posta più importanti dell’intero sistema viario dell’impero, c’era sempre tantissimo lavoro e la morte di Marcello I avvenne per sfinimento.
    L’antica chiesa aveva un impianto basilicale e quindi un orientamento opposto a quello attuale: con l’ingresso a oriente, verso il Quirinale e l’abside a occidente, verso la Via Lata, oggi Via del Corso. Dal 1368 la chiesa è affidata all’Ordine dei Servi di Maria.

    San Filippo Bernizzi Rifiuta La Tiara – Antonio Raggi.

    La chiesa che oggi si può visitare fu interamente ricostruita a partire dal 1519. Dopo un incendio che nella notte del 22 maggio la distrusse completamente, infatti, papa Leone X, con una lettera dell’8 ottobre, incaricò Jacopo Sansovino di realizzare il nuovo edificio di culto. Dell’antica chiesa si salvò solo un crocefisso di legno. Nel corso della riedificazione venne cambiato l’orientamento della chiesa. Alla riedificazione lavorarono molti architetti e artisti. Oltre a Jacopo Sansovino che elaborò il progetto, si ricorda Nanni di Baccio Bigio, collaboratore di Michelangelo e Annibale Lippi, figlio di Baccio Bigio, che realizzò l’abside.
    La facciata attuale barocca è opera di Carlo Fontana, e abbina alla tipica movimentazione architettonica del periodo un tondo in stucco, sorretto da due angeli, opera di Antonio Raggi che raffigura “San Filippo Benizzi che rinuncia alla tiara”.
    L’interno è a pianta rettangolare, a navata centrale su cui si aprono cinque cappelle per lato. Tra queste la quarta cappella a destra è la Cappella del Crocefisso, che conserva proprio quel crocefisso ligneo che si salvò dall’incendio del 22 maggio 1519. Proprio per questo evento miracoloso il Crocefisso sarà portato più volte in processione e ad esso si attribuirà anche il prodigio di aver fermato la peste del 1522. In questa occasione la volontà del popolo di portare in processione il Crocefisso fu così forte che superò anche il divieto delle autorità, che per impedire lo sviluppo dell’ulteriore contagio avevano vietato qualsiasi assembramento di persone. Il Crocefisso venne quindi prelevato dal cortile del convento dei Servi di Maria, dove era stato sistemato temporaneamente, e portato in processione per le vie di Roma verso la Basilica di San Pietro. La processione durò 16 giorni dal 4 al 20 agosto del 1522. Man mano che la processione procedeva e i giorni passavano la peste regrediva. Ogni quartiere che veniva toccato dalla processione chiedeva che il Crocefisso potesse rimanere più a lungo. Quando il 20 agosto il Crocefisso rientrò a San Marcello la peste era cessata.

    San Marcello al Corso

    A far data da questo anno e per questo prodigio nascerà l’Arciconfraternita del Crocefisso. Approvata nel 1526 da papa Clemente VII, istituzionalmente si dedicava all’assistenza e alla carità ai poveri e ai pellegrini.
    Inizialmente l’Arciconfraternita si riuniva presso il Crocefisso ligneo nella cappella a lui dedicata nella chiesa di San Marcello, ma presto lo spazio si rivelò troppo ristretto e si decise per la costruzione di un nuovo edificio nei pressi della chiesa. Così Ranuccio Farnese nel 1562 incaricò Giacomo della Porta di costruire l’Oratorio del Crocefisso. L’edificio fu terminato nel 1568 per volere del cardinale Alessandro Farnese.
    L’Arciconfraternita organizzava le processioni del Giovedì Santo durante le quali il Crocefisso ligneo veniva portato in San Pietro. La processione si dipanava attraverso le stesse strade percorse dal Crocefisso durante il 1522 quando avvenne il prodigio della scacciata della peste da Roma. La processione non aveva solo il compito di ricordare il prodigio, ma aveva anche un valore bene augurale: essa infatti allontanava ogni male dalla città.
    La tradizione delle molte processioni svoltesi la tradizione popolare ha trasmesso il racconto di quella del 1650 che fu effettuata durante il Giubileo. In questa occasione i cavalli s’imbizzarrirono, terrorizzando i partecipanti. E così cinque cardinali, l’ambasciatore di Spagna, gli oltre cento flagellanti, i musicisti del coro e coloro che procedevano con i lumi accesi fuggirono a gambe levate, accompagnati dalle risate del popolo che assisteva alla scena.
    A partire dal 1600 in occasione dell’Anno Santo il Crocefisso effettuava la sua processione fino a San Pietro, dove veniva esposto all’adorazione dei fedeli. Questi eventi sono ricordati dal fatto che sul retro della Croce venivano incisi i nomi dei vari Pontefici che indicevano l’Anno Santo.

    San Marcello al Corso.

    La tradizione ricorda pure un altro episodio legato, questo, alla processione dell’Anno Santo del 1900, quando il sindaco Ernesto Nathan rese quasi impossibili le condizioni per cui questo rito si compisse. La processione infatti, per disposizione della giunta capitolina, si sarebbe dovuta svolgere all’alba, il Crocefisso avrebbe dovuto essere trasportato adagiato su un carro e coperto da un drappo rosso, e le preghiere avrebbero dovuto essere recitate a bassa voce. Per cercare di aggirare queste difficoltà il papa Leone XIII mandò la sua carrozza a prendere il Crocefisso, che potè così essere trasportato in Basilica.
    Nel tardo Cinquecento l’Oratorio cominciò ad avere un ruolo centrale nella produzione di musica sacra ma anche delle relative esecuzioni, ad esempio nel periodo della Quaresima e per la festa della Croce, quando queste esecuzioni venivano assegnate a maestri di musica importanti tra cui Pierluigi da Palestrina, Alessandro Stradella e Alessandro Scarlatti.
    La denominazione di Oratorio nasce però dal fatto che qui vi furono eseguiti i così detti “oratori”, ovvero musiche di genere spirituale, su tema biblico e dal carattere drammatico, eseguite in forma di concerto, senza rappresentazione scenica e personaggi in costume, e per questo motivo diversi dai drammi sacri. L’oratorio era in genere composto per solisti, coro e orchestra, a volte con il contributo di un narratore.
    L’oratorio è tutt’oggi sede dell’Oratorio Musicale Romano, un centro prestigioso di elaborazione di musica sacra.

    Oratorio del Santissimo Crocefisso. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Del tipo di musica che veniva eseguita intorno alla metà del Seicento nell’Oratorio del Santissimo Crocefisso abbiamo la descrizione fatta da André Maugars, un violinista francese a servizio del cardinale Richelieu, che si trovò a Roma tra il 1638 e il 1639: “Vi è però un altro genere di musica che non è affatto in uso in Francia e che proprio per questa ragione merita bene che ve ne faccia una descrizione particolare: si chiama stile recitativo. Il migliore che io abbia inteso fu nell’oratorio di S. Marcello, dove si trova una compagnia dei fratelli del Santo Crocifisso, formata dai più grandi signori, che di conseguenza ha la possibilità di mettere insieme tutto ciò che l’Italia produce di più raro; e di fatto i musici più eccellenti si fanno un punto d’onore di venirvi e i migliori compositori brigano per avere l’onore di farvi sentire le loro composizioni e si sforzano di farvi apparire ciò che di meglio hanno allo studio. Questa musica ammirevole e incantevole si fa solo di venerdì durante la Quaresima dalle tre alle sei. La chiesa è grande appena quanto la Sainte-Chapelle di Parigi; nel fondo vi è una cantoria su archi, spaziosa, con un organo di media grandezza, molto dolce e molto adatto [ad accompagnare] le voci. Ai due lati della chiesa vi sono ancora due altre cantorie piccole, dove si trovano i virtuosi più eccellenti della musica strumentale. Le voci cominciano con un salmo in forma di mottetto e poi tutti gli strumenti eseguono una sinfonia molto bella. Dopo, le voci cantano una storia dell’Antico Testamento in forma di commedia spirituale, come quella di Susanna, di Giuditta e Oloferne, o di Davide e Golia. Ogni cantore rappresenta un personaggio della storia e esprime perfettamente la forza delle parole. Dopo di che uno dei più celebri predicatori propone l’esortazione, finita la quale, la musica recita il Vangelo del giorno, come la storia della Samaritana, della Cananea, di Lazzaro, della Maddalena o della Passione di Nostro Signore, e i cantanti imitano perfettamente i personaggi di cui narra l’evangelista”.

    Oratorio del Santissimo Crocefisso. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Maugars parla dell’organo dell’Oratorio. Il primo venne costruito nel 1582 da Francesco Palmieri di Fivizzano. Più volte restaurato nel 1744 venne sostituito da un nuovo strumento costruito da Johannes Conrad Werle e posto sulla cantoria in controfacciata.
    Sebbene l’Oratorio subì una profonda spoliazione durante l’occupazione francese a Roma, 1798 – 1799, l’aula unica si presenta ancora oggi maestosamente affrescata con un articolato e complesso programma iconografico elaborato da Tommaso de’ Cavalieri scultore, letterato e amico di Michelangelo. I temi trattati sono le “Storie della Croce” e le “Storie della Confraternita”; questi sono stati eseguiti da artisti manieristi diversi tra cui il Pomarancio.
    Sull’altare maggiore è collocato un crocefisso che è copia di quello conservato nella Cappella del Crocefisso nella vicina chiesa di San Marcello.

    Roma, 3 gennaio 2019.