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  1. Le antiche confraternite romane. San Giovanni decollato e i condannati a morte

    La Compagnia di San Giovanni Decollato di Roma, poi Arciconfraternita, nacque l’8 maggio 1488 per volontà di alcuni fiorentini residenti a Roma che mossero sentimenti di pietà nei confronti dei

    San Giovanni Decollato – Interno – Roma.

    condannati a morte. Vi appartennero Michelangelo, il Bellarmino e molti papi e cardinali.
    Memori dell’esperienza della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, nata a Firenze nel 1355 e dalla quale si sarebbero distinti nel 1424 i Battuti Neri con le medesime finalità, riproposero il sostegno ai condannati a morte introducendo per la prima volta a Roma il concetto di morte confortata, poiché solo con la preghiera gli uomini potevano redimersi dal peccato e riconciliarsi a Dio.
    I confratelli incaricati a questo oneroso ufficio assunsero il nome di “Confortatori”. Costoro si occupavano infine della composizione delle salme e della loro sepoltura che, a partire dal 1600, avvenne nei sotterranei del chiostro, fatto costruire per volontà di papa Clemente VIII.
    L’autorità pontificia comprese subito l’importanza del ruolo assunto dalla Compagnia di San Giovanni Decollato tanto che papa Innocenzo VIII ne approvò ufficialmente l’istituzione nel 1490 e le concesse la chiesa di Santa Maria della Fossa ai piedi del Campidoglio perché potessero adempiere ai propri uffici. Più tardi, nel 1540, papa Paolo III le accordò la possibilità di liberare un condannato a morte all’anno in occasione della festa del Santo Patrono, il 24 giugno, secondo modalità chiarite e precisate dalle norme statutarie.

    San Giovanni Decollato – Oratorio – Roma.

    Un ulteriore strumento offerto dalle concessioni pontificie fu la possibilità di aggregare compagnie analoghe per finalità e disseminate un po’ ovunque. Ciò le permise di diffondere il concetto di pietas verso i condannati a morte; l’impegno assolutamente volontario dimostrò con quanta purezza d’animo i confratelli si adoperassero senza pretendere o aspettarsi alcun vantaggio personale.

    La sua ramificazione rapida e capillare provò quanto il progetto di solidarietà umana fosse un sentimento diffuso e soprattutto senza limiti territoriali, tanto da varcare i confini dello Stato Pontificio.
    Tra i pazienti, tali erano definiti, più celebri si ricordi Giordano Bruno, accusato di eresia e portato al rogo a Campo dei Fiori nel 1600.
    La chiesa venne iniziata nel 1488 dall’Arciconfraternita e completata nel 1504. Sorge sull’area della chiesa di Santa Maria della Fossa del 1190. Ad una navata con cappelle laterali inserite sotto grandi arconi, ha una ricchissima decorazione settecentesca e un soffitto ligneo a riquadri regolari. Sull’altar maggiore si trova una tela di Giorgio Vasari, 1553,

    La Decollazione del Battista – San Giovanni Decollato – Roma.

    raffigurante “La decollazione del Battista”. Sugli altari sono, fra gli altri, un secondo quadro dello stesso Vasari e uno del Pomarancio; si nota anche una “Madonna della Misericordia col Bambino” che proviene dalla precedente chiesa di Santa Maria della Fossa.
    Un vero gioiello è l’oratorio, realizzato tra il 1530 e il 1535 e decorato sulle pareti con un ciclo di “Storie del Battista” realizzate da Jacopino del Conte, da Francesco Salviati e da Pirro Ligorio. Sull’altare, una bella “Deposizione” sempre di Jacopino del Conte.
    L’attiguo chiostro, terminato nel 1555, ha su tre lati un arioso portico di derivazione rinascimentale fiorentina. Al centro, un giardino. Nei sotterranei venivano sepolti i giustiziati.
    Il terreno su cui sorge fu acquistato nel 1594 dall’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato che procedette immediatamente alla sua costruzione. L’anno successivo, il confratello Migliore Guidotti donò al Sodalizio un quadro raffigurante la Resurrezione di Lazzaro da accomodare sopra l’altare posto proprio nel nuovo loggiato, ora custodito in chiesa.

    San Giovanni Decollato – Chiostro – Roma.

    Dai documenti di archivio si evince che nel 1601 si votò per la copertura dello stesso, ma di certo i lavori nel 1612 dovevano essere terminati perché in tale periodo si decise di celebrarvi le messe.
    Il portico, che circonda per tre lati il giardino, ha un carattere prettamente toscano ricordando l’architettura rinascimentale fiorentina; le colonne, ritenuto appartenessero in precedenza alla chiesa di San Martino ai Monti, si suppone invece provengano dal Colle Oppio, probabilmente dalla Domus Aurea.
    Il chiostro è decorato architettonicamente da due altari lignei gemelli, progettati probabilmente da Michelangelo, sormontati da un incasso rettangolare e da un frontoncino ornato da decorazione costituita da dentelli e ovoli. Gli incassi servivano da alloggiamento per le due tele, ora in chiesa. In uno dei due altari è stata successivamente creata una piccola nicchia ove è una statua in gesso di San Sebastiano, patrono delle Confraternite della Misericordia in Italia.
    La pavimentazione e i banchi lignei sono del 1500. Sul pavimento sono presenti sette botole, sei per gli uomini e una per le donne, attraverso le quali venivamo calati i corpi dei condannati a morte per essere cristianamente sepolti nei sotterranei del chiostro. Su ciascuna botola è l’iscrizione “DOMINE CUM VENERIS JUDICARE NOLI NOS CONDEMNARE”, “Dio quando verrai per giudicarmi non mi condannare”.
    Si notino infine sulle pareti degli ovali in bassorilievo marmoreo del 1500, raffiguranti la testa del Battista sul bacile, un sarcofago pagano poggiato su due leoni stilofori, probabilmente provenienti da Santa Maria Della Fossa, e alcune lapidi di benefattori.

    Roma, 9 giugno 2019

  2. Catacombe di Marcellino e Pietro ad duas lauros

    La regione denominata ad duas lauros rappresenta una delle più importanti testimonianze storico-archeologiche nella vasta area della periferia romana attraversata dall’antica via Labicana, l’odierna via Casilina. Tale tracciato, realizzato su solidi strati di tufo vulcanico,

    Il Mausoleo di Sant’Elena – Giovan Battista Piranesi.

    rappresentava la principale area di comunicazione tra i Colli Tuscolani e Roma e fu in seguito prolungato fino a confluire con via Latina. La sua importanza è attestata anche dalla presenza nel territorio compreso ad duas lauros situato a circa tre chilometri da Porta Maggiore.
    La denominazione latina deriva probabilmente da due grandi alberi di alloro esistenti nella zona che sarebbero stati lasciati come testimoni di un bosco distrutto, oppure, come rivelano gli studiosi, potrebbe trarre origine dalla decorazione di un padiglione imperiale recante un doppio lauro.
    L’area archeologica è compresa tra un edificio – il Mausoleo di Sant’Elena – e una serie di cunicoli sotterranei – le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro e una basilica dedicata ai medesimi santi, oggi completamente interrata.
    Si hanno inoltre notizie dell’esistenza di un cimitero degli equites singulares, corpo scelto delle milizie imperiali che godeva di particolari privilegi, tra i quali, anche quello della sepoltura nella proprietà imperiale.

    Mausoleo di Sant’Elena, oggi.

    Diverse ricerche sono state fatte circa la presenza di una Villa dei Flavi Cristiani, impiegata come luogo di sosta degli imperatori e del Campo Marzio, zona compresa nelle vaste proprietà imperiali ad oriente di Roma riservato appunto al corpo scelto degli equites singulares. E sembrerebbe che il sepolcro delle milizie non sia l’unico cimitero pagano della zona: qui esistevano probabilmente tombe e mausolei fin dal tempo di Augusto. La sospensione dell’uso del cimitero degli equites singulares avvenne, verosimilmente, intorno al 313 – 315, nel periodo costantiniano.
    Non è chiaro il rapporto esistente tra il fondo imperiale, il sepolcro dei cavalieri e i reperti cristiani. È certo comunque che quando l’area divenne patrimonio dell’Augusta Elena, la zona, già interessata dalle sepolture dei martiri cristiani, godeva di particolari attenzioni da parte dell’Augusta madre dell’imperatore. Come dimostrano le ricorrenti donazioni. Il territorio assunse anche la denominazione di “Subaugusta” per indicare i possedimenti imperiali di campagna che si estendevano dal Mausoleo all’odierna Centocelle.

    Plastico del Mausoleo di S. Elena in Roma

    Dopo la morte di Elena la proprietà ad duas lauros fu assegnata alla Chiesa che, con papa Fabiano, 236 – 251, disegnò nuovamente le zone cimiteriali. Un passo significativo del Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro, 314 – 335, rivela l’esistenza di un fundus laurentus definito possessio Augustae Helenae, che si estendeva dalla Porta Sessoriana, oggi Porta Maggiore, fino alla via Latina e, a Sud, fino al Monte Gabus, presso Centocelle.
    Marcellino e Pietro
    Marcellino e Pietro: la più antica notizia su questi due martiri ci è stata tramandata da Damaso, che fu Papa 366 al 384, il quale dichiara di averla appresa in gioventù dallo stesso carnefice, convertitosi poi alla fede cristiana. Siamo al tempo della sanguinosa persecuzione di Diocleziano. Nel 303, il prete Marcellino e l’esorcista Pietro vennero arrestati e condannati alla pena capitale, per il loro zelo apostolico e per essersi rifiutati di

    Catacombe dei Santi Marcellino e PIetro – Roma.

    sacrificare agli dei. Il giudice ordinò che fossero decapitati in un bosco, in modo che le loro tombe rimanessero sconosciute. I due furono condotti al luogo del supplizio e prima di essere uccisi dovettero scavarsi con le proprie mani la fossa in cui sarebbero stati seppelliti. I loro corpi rimasero a lungo ignorati finché una pia matrona di nome Lucilla, venuta a conoscenza del fatto, riuscì a recuperarli e a farli trasferire nel cimitero detto ad duas lauros, al terzo miglio della via Labicana, dove Costantino fece costruire una basilica – di cui nel 1897 fu scoperta la cripta – che fu subito meta di pellegrinaggi. Il carme che papa Damaso aveva composto sul loro sepolcro fu distrutto dai Goti, ma papa Vigilio lo rifece e inserì i nomi dei due martiri nel Canone della Messa. La testimonianza di papa Damaso contribuì certamente a diffondere il culto dei due santi, la cui basilica a Roma, a nord-ovest di San Giovanni in Laterano, diventò sede di una “stazione” nel secondo sabato di quaresima. Il Martirologio Geronimiano li commemora il 2 giugno, data su cui concordano i libri liturgici, Sacramentari, e i martirologi storici.
    Le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro
    Si estendono per una superficie di 18.000 m². Si stima che, nel solo III secolo accolsero più di 15.000 sepolture sotterranee a cui vanno aggiunte alcune

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    migliaia in superficie. Nel 2006, grazie ad una scoperta fortuita, vennero alla luce nuovi ambienti inesplorati, alcuni contenenti affreschi, e una fossa comune con oltre 1.200 corpi di persone, a quanto pare di rango, il cui decesso appare pressoché simultaneo, testimoniato ad esempio dall’uso di medesimi incensi cerimoniali per molti dei corpi, tra i quali sandracca, incenso e ambra, e risalente alla seconda metà del II secolo, inizi del III, forse in occasione di una epidemia di peste, probabilmente la cosiddetta “peste antonina”.
    Si è ipotizzato che questi corpi, collocati in queste stanze ipogee anteriormente all’epoca delle sepolture cristiane, appartenessero a famiglie degli equites singulares. Dopo un’opera di restauro degli ambienti finanziata dalla Repubblica dell’Azerbaigian, dall’aprile 2014 le catacombe sono regolarmente visitabili. Il complesso, segnalato dalle fonti come inter duas lauros dal nome antico della località, comprende la Catacomba di Marcellino e Pietro, la basilica omonima e il Mausoleo di Elena, noto anche con il nome di Tor Pignattara. Si accede alle catacombe dal cortile della

    Catacombe dei santi Marcellino e Pietro – Roma.

    basilica. Il sepolcro dei due Santi, accanto ai quali erano venerati anche Tiburzio, Corgonio, i Santi Quattro Coronati e due gruppi anonimi di martiri, tutte vittime della grande persecuzione di Diocleziano, era inizialmente costituito da due semplici loculi, in seguito arricchiti da monumentali decorazioni marmoree per volontà di papa Damaso, 366 – 384, il quale si tramanda abbia conosciuto le vicende di Marcellino e Pietro direttamente dal loro carnefice.
    Damaso fece costruire la scala d’accesso e un percorso obbligatorio per i pellegrini che si snodava tra sopra e sottoterra. I corpi dei due martiri rimasero nella cripta sotterranea fino al pontificato di Gregorio IV, 826, quando furono trasportati in Francia e di qui in Germania. La grande devozione dei fedeli per questo sito è documentata dai numerosi graffiti nell’absidiola e nelle gallerie che conducono verso le tombe dei martiri; non solo compaiono invocazioni in latino, ma anche in runico, a testimonianza della frequentazione del luogo di culto da parte anche di Celti e Germani.
    Le catacombe, decorate da scene bibliche, sono tra le più grandi di quelle presenti a Roma. Onorio I, 625 – 638, fece costruire una piccola basilica

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    sotterranea absidata per accogliere i fedeli sempre più numerosi, raddoppiò la scala d’ingresso al vano basilicale e consacrò un altare proprio sopra i due loculi; tra il V e il VII secolo fu creato il nuovo santuario dedicato ai Santi Quattro Coronati, collegato al primo nucleo martiriale tramite percorsi a senso unico contrassegnati da lucernari; inoltre, per agevolare il cammino delle schiere di pellegrini, furono sbarrate le gallerie secondarie e i cubicoli e costruite nuove scale. Adriano I infine, ultimo quarto del secolo VIII, provvide all’ultimo allargamento dell’edificio.
    Tra le pitture presenti, merita una segnalazione quella che rappresenta l’Epifania con due Magi.

    Roma, 23 maggio 2019

  3. Sant’Andrea della Valle, la summa del barocco romano

    Non è possibile comprendere la vita artistica di Roma, dal pontificato di Sisto V in poi, se non si tiene conto della tumultuosa attività che viene svolta nel campo ecclesiastico. Se nella prima metà del XVI secolo

    Basilica di sant’Andrea della Valle – Roma.

    erano state costruite poche chiese, col passare degli anni una vera e propria ondata di devozione delle masse spinse i numerosi ordini religiosi ad innalzare nuove chiese. Vale a dire le chiese della Controriforma pensate e realizzate dai grandi ordini religiosi fondati per serrare le file del cattolicesimo ferito dallo sconquasso protestante.
    Da principio i Gesuiti realizzarono il Gesù, la loro chiesa madre: iniziata nel 1560, fu consacrata nel 1584. Essa instaurò il prototipo della vasta chiesa congregazionale, che fu seguito centinaia di volte durante il XVII secolo: ampia navata unica, breve transetto e cupola imponente. A seguire, sorsero la Chiesa Nuova, detta anche Santa Maria in Vallicella, 1575, per gli Oratoriani di san Filippo Neri. E, a un tiro di sasso, dalla Chiesa Nuova ecco sorgere Sant’Andrea della Valle. Disegnata da Giacomo della Porta per l’ordine dei Teatini, ordine fondato nei primissimi anni della lotta religiosa, 1524. Iniziato nel 1591, la chiesa venne affidata a Carlo Maderno nel 1608 e ultimato nel 1623 ad eccezione della facciata. Infine, viene realizzata una seconda grande chiesa dei Gesuiti, Sant’Ignazio, progettata dopo la canonizzazione del fondatore e iniziata nel 1626.
    Nel luogo in cui sarebbe sorta la chiesa di Sant’Andrea della Valle, in corrispondenza dell’attuale Cappella Barberini, c’era una chiesetta intitolata a san Sebastiano, che forse, ricordava il ritrovamento del corpo del martire dentro una chiavica della zona. Nei pressi sorgeva il palazzo di Enea Silvio Piccolomini, senese, poi papa col nome di Pio II. Dal palazzo, lo slargo corrispondente prendeva il nome di piazza di Siena.

    Sant’Andrea della Valle – Volta della Navata Centrale – Roma.

    Nel 1582 la proprietà Piccolomini venne donata ai religiosi Teatini con l’impegno di erigere sul posto una chiesa dedicata a sant’Andrea. Questa sorse in forme nobilissime e risultò una delle più solenni ed emblematiche dello spirito controriformistico che intendeva esprimere nel tempio la realtà della ecclesia: quella militante, massicciamente radunata nella grande e alta aula senza navate dispersive, e quella trionfante, rappresentata dalla maestosità delle dimensioni e dalla esuberanza degli ornati.
    La congregazione dei Teatini fu la prima a sorgere fra le congregazioni di chierici regolari fiorite nel Cinquecento per la riforma del clero e, attraverso l’esempio di questo nella osservanza delle virtù cristiane, per la vera riforma dell’intero popolo. Essa fu fondata da Gaetano da Thiene nel 1524 insieme con altri quattro compagni fra i quali era Gian Pietro Carafa, divenuto poi il rigoroso papa Paolo IV. Poiché egli era vescovo di Chieti, o Teate, venne a tutti il nome di teatini. Rinuncia di massima alle cariche ecclesiastiche, vita di povertà, frequenza sacramentale, carità verso i poveri e gli ammalati fu il programma di questi chierici, tratto da quello già attuato dall’Oratorio Romano del Divino Amore, una risposta all’umanesimo paganeggiante che imperversava nella città. Tale condotta e tale predicazione fecero della spiritualità teatina uno dei filoni della

    Cupola – Lanfranco – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    controriforma. Né può quindi stupire la coerente intenzione controriformistica di questa loro grandiosa sede romana. La loro prima sede in città, dopo che si erano largamente diffusi fuori Roma, fu, per intervento di Paolo IV, la chiesa di San Silvestro al Quirinale.
    Alla chiesa di Sant’Andrea della Valle si incontrarono grandi artisti a cui era stato chiesto di emulare la grandiosità della basilica di San Pietro. Il primo progetto venne fornito da Giovan Francesco Grimaldi e Giacomo della Porta, 1591; Maderno proseguì l’opera nel 1608 e nel 1622 – 1625 costruì la cupola che è la seconda di Roma per altezza e diametro. Detto l’“Architetto di San Pietro” e artefice della mirabile facciata della chiesa di Santa Susanna, il Maderno – che poco spazio aveva ottenuto per sviluppare la sua individualità negli interni di Sant’Andrea – fa emergere tutto il suo genio. Ovviamente derivante dalla cupola di Michelangelo, l’artista qui innalzò l’altezza del tamburo a spese della volta ed aumentò l’area riservata alle finestre: cambiamenti che preludono al posteriore sviluppo del barocco.
    Poi, entrò in scena Carlo Rainaldi: l’architetto giunto alla ribalta nel 1655 e ben presto sviluppò uno stile grandioso tipicamente romano. Soprattutto tre opere, eseguite tra il 1660 e il 1680: Santa Maria in Campitelli, la facciata di Sant’Andrea della Valle e le chiese in Piazza del Popolo.

    Abside – Domenichino – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    La facciata del Sant’Andrea possiede un forte rilievo, dato dal doppio ordine di colonne e lesene e dalle statue nelle nicchie laterali al grande portale. Va ricordato che si immaginò di sostituire le volute di raccordo del timpano collocando due statue di angeli con un’ala sollevata; peraltro ne venne messa in opera una soltanto dallo scultore Ercole Ferrara.
    L’interno è costituito da una vastissima aula a lesene che staccano sui fianchi otto grandi cappelle intercomunicanti; un ampio transetto e un profondo presbiterio completano la vastità dell’ambiente.
    Gli affreschi della volta si segnalano solamente perché assecondano la grandiosità dell’insieme; la cupola è stata affrescata dal Lanfranco con un’“Assunzione della Vergine” mentre il Domenichino ha dipinto i peducci con figure di Evangelisti.
    Dopo aver affrescato la chiesa di Santa Cecilia, in uno stile rigorosamente classico, il Domenichino a Sant’Andrea va in una direzione diversa: nei pennacchi e nel coro della chiesa, l’artista definito dal grande storico

    San Giovanni Evangelista – Domenichino – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    dell’arte Rudolf Wittkower «arci-classicista» sembrò tentato dalla nuova tendenza barocca. Ciò è chiaramente visibile appunto negli evangelisti sui pennacchi della volta, dove, sempre secondo il Wittkower «una forte nota correggesca si aggiunge alla reminiscenza di Raffaello e Michelangelo. Si può supporre che il Domenichino volesse superare in splendore il rivale Lanfranco, al quale, con dolore del precedente, fu dato l’incarico per la cupola», (Rudolf Wittkower, “Arte e Architettura in Italia. 1600-1750”, Einaudi, Torino, 1993, pp. 533).
    Le grandiose decorazioni dell’abside, inquadrate da stucchi giovanili dell’Algardi, sono dovute a Mattia Preti per la fascia dei tre grandi riquadri con movimentate ed enfatiche scene del martirio di sant’Andrea, a Carlo Cignani e ad Emilio Taruffi per i dipinti laterali e ancora al Domenichino per il sottarco e per la calotta dell’abside.
    Fra le cappelle si segnalano soprattutto quella “Strozzi”, completata nel 1616 ma forse eretta su un’idea di Michelangelo, riccamente decorata con marmi policromi e stucchi e contenente cenotafi che ricordano i più illustri componenti della famiglia, e quella dei “Barberini”. Questa venne edificata da Matteo di Città di Castello, con l’altare rivestito di marmi preziosi e con quattro colonne di rosso antico che inquadrano un dipinto del Passignano. Su due lati della cappella si trovano quattro statue fra le quali una Santa Marta di Francesco Mochi e un San Giovanni Battista di Pietro Bernini.

    Una scena della Tosca di Puccini . ambientata nella chiesa di Sant’Andrea della Valle. Samuel Ramey è Scarpia.

    Fra i monumenti funebri risaltano le tombe dei papi Piccolomini, sopra gli ultimi archi della navata, Pio II e Pio III. I due sepolcri provengono dalla basilica di San Pietro e furono qui trasportati nel 1614. Entrambi i monumenti, di cui il secondo ripete più sontuosamente, ma con minor finezza, i motivi del primo, sono dovuti ad artisti non conosciuti.
    Contribuisce alla notorietà della chiesa il melodramma; infatti lo svolgimento del primo atto della “Tosca” di Puccini è immaginato dentro gli imponenti spazi della chiesa, sottolineati da solenni risonanze di musiche liturgiche.
    Nella devozione popolare la chiesa è legata alle celebrazioni natalizie in onore del “Santo Bambino” di San Gaetano; nell’ottavario dell’Epifania si tiene qui il cosiddetto “Sermone delle nazioni”.

    Roma, 26 maggio 2019

  4. Roma e Venezia: storia di antichi legami. Basilica di San Marco e Palazzo Venezia.

    Aveva circa 13 anni quando nella sua abitazione fu consumata l’Ultima Cena. Seguì angosciato Gesù dopo l’arresto e i soldati cercarono di acciuffarlo, ma lui sfuggì nudo lasciando il lenzuolo tra le loro mani.

    San Marco Evangelista – Mattia Preti.

    Quel ragazzo era Giovanni, figlio di Maria, una vedova benestante che metteva a disposizione del Maestro la sua casa e l’annesso Orto degli Ulivi. Il mondo ebraico lo chiamava Giovanni ma per quello greco-romano era Marco. Fu uno dei primi battezzati da Pietro, l’apostolo che frequentava assiduamente la sua casa e che lo chiamava “mio figlio”.
    Nel 41 dopo Cristo Marco giunse nella capitale dell’Impero Romano. Ritrovò Pietro e ne divenne lo “stenografo” in quanto l’apostolo non sapeva scrivere in greco. Fu così che il giovane Marco mise nero su bianco il primo dei Vangeli, proprio dove ora sorge la Basilica romana a lui dedicata.
    Nel 48 dopo Cristo l’apostolo Pietro inviò Marco ad Aquileia per raccontare alla gente quanto aveva appreso. Grazie a Marco venne evangelizzata la Regione Venetia et Histria, incluso i luoghi che nel 421 diverranno la Serenissima Repubblica di Venezia.
    Nel 336, appena cessarono le persecuzioni contro i cristiani, il papa Marco I trasformò l’abitazione e l’oratorio dell’omonimo evangelista in basilica. Negli attuali sotterranei si trovano ancor oggi i muri perimetrali della costruzione originaria.
    Il titolo cardinalizio di San Marco fu istituito nel 336 dal papa Marco I e da quel momento sarà uno dei titoli più antichi e prestigiosi. Solitamente il titolo di San Marco veniva conferito al Patriarca di Venezia alla sua nomina di cardinale a Roma. Diveniva così preposto alla cura della basilica dell’evangelista. L’ultimo titolo fu del cardinale Marco Cé ed è vacante dalla sua morte, avvenuta il 12 Maggio 2014. Prima di lui, l’amatissimo Albino Luciani.

    Interno – Basilica di San Marco – Piazza Venezia – Roma.

    Una curiosità: 6 furono i papi provenienti dalla Repubblica di Venezia. Tra il 1465 e il 1470 la basilica venne radicalmente trasformata ad opera del cardinale veneziano Pietro Barbo, divenuto pontefice nel 1464 con il nome di Paolo II, anche se avrebbe preferito quello di Marco II. A Paolo II si devono la splendida facciata a due ordini; all’interno le grandi nicchie a conchiglia delle navate laterali, le bifore e il soffitto a lacunari. Attorno alla basilica il porporato fece costruire il proprio palazzo residenziale, detto appunto di San Marco, ora Palazzo Venezia.
    L’aspetto attuale della basilica in stile barocco è legato al restauro realizzato tra il 1654 e il 1657, poi successivamente completato tra il 1735 e il 1750 per volere del cardinale Angelo Maria Querini.
    Nel 1527 con il sacco di Roma la basilica subì molti danni. I cardinali veneti Agostino Valier e Domenico Grimani fecero eseguire molti lavori di ristrutturazione. Quest’ultimo porporato ricevette il titolo di San Marco dopo “elargizione” paterna di una somma enorme, stimata tra i 25.000 e i 30.000 ducati.

    Mosaico del catino absidale- Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Nicolò Sagredo, futuro 105° doge e per due volte ambasciatore della Serenissima in Roma, dal 1651 al 1656 e dal 1660 al 1661 trasformò i pilastri della navata maggiore. I cancelli furono donati nel 1690 dal cardinale veneto Pietro Vito Ottoboni, che divenne pontefice con il nome di Alessandro VIII. Antonio Canova nel 1796 realizzò il monumento funebre di Leonardo Pesaro, figlio sedicenne dell’ultimo ambasciatore di Venezia.

    Il Palazzo e il Palazzetto di Venezia.
    Tra il 1455 e il 1467, come già accennato, il cardinale veneziano Pietro Barbo commissionò la costruzione della propria residenza attorno all’esistente basilica di San Marco a Roma. I lavori proseguirono anche dopo l’elezione del cardinale a pontefice e il palazzo divenne sede papale.
    Nel 1564 il milanese papa Pio IV cedette l’ex residenza di Pietro Barbo all’Ambasciata della Repubblica di Venezia nello Stato Pontificio. Palazzo San Marco divenne dunque “il Palazzo di Venezia”. L’edificio era diviso in due parti con funzioni distinte: l’appartamento Barbo era la residenza degli ambasciatori e l’appartamento Cybo era per i cardinali con il titolo di San Marco.

    Palazzo Venezia – Piazza Venezia – Roma.

    Dopo pochi anni, la Serenissima ricambierà donando il Palazzo Gritti a Pio IV. Lo Stato della Chiesa ebbe così a Venezia la propria residenza dei nunzi apostolici, ovvero gli ambasciatori in campo San Francesco della Vigna.
    Nel XIX secolo l’edificio passò ai francescani che lo unirono al proprio convento mediante il noto cavalcavia a colonnato. Fu poi una prigione ed ora un condominio. I papi dalla fine del Cinquecento si spostarono al palazzo del Quirinale.
    Il palazzetto Venezia nacque successivamente come giardino segreto del papa Paolo II, Pietro Barbo. Una via sopraelevata coperta lo collegherà poi alla torre del palazzo che era adiacente al monastero Francescano di Santa Maria in Aracoeli. Il primo arco del passaggio veniva chiamato l’Arco di San Marco. Nel 1909, nell’ambito di sistemazione della piazza antistante al Vittoriano, fu decisa la demolizione del Palazzetto e la ricostruzione poco lontana dal sito originario. I cavalli della basilica di San Marco a Venezia quando furono portati a Roma nel 1916 – 1918, per salvarli dai bombardamenti, trovarono ricovero a Castel Sant’Angelo e poi nei giardini di Palazzo Venezia.

    San Marco approva il progetto della chiesa – Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Il palazzo di San Marco inglobò l’antichissima basilica di San Marco, gestita quasi sempre da cardinali veneziani, alcuni dei quali trovarono qui sepoltura. Uno fra tutti il cardinale Marcantonio Bragadin, nipote e omonimo del famoso condottiero.
    La fontana del giardino venne commissionata nel 1729 dall’ambasciatore veneto Barbon Morosini, che così risolse anche l’approvvigionamento idrico per gli abitanti del palazzo. La statua marmorea raffigurante Venezia con il corno dogale sul capo, è in atto di gettare l’anello nuziale per lo sposalizio del mare. In alcuni testi è riportato che rappresenta invece la reale città d’Adria.
    Ai piedi della statua ruggisce il leone alato di San Marco. Dall’altra un sorridente puttino ricorda che la fontana fu costruita non solo a vantaggio degli abitanti del palazzo, ma anche di quelli vicini. Altri quattro graziosi puttini sostengono gli stemmi dei territori d’oltremare conquistati da Venezia: Cipro, Dalmazia, il Peloponneso e Creta.

    Sant’Andrea – Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Tutto cambiò dal 1882 con l’edificazione dell’Altare della Patria in onore allo scomparso Vittorio Emanuele II. Venne demolita completamente l’originale struttura urbana e il Palazzetto venne spostato in quanto si trovava nel bel mezzo dell’ampliata piazza Venezia.
    Il nuovo progetto portò anche alla costruzione di un altro edificio, eretto di fronte a quello di Venezia e noto come palazzo delle Assicurazioni Generali. Quest’ultimo è ornato da un grande leone marciano un tempo collocato sulle mura di Padova. Il leone venne lanciato nel 1797 nel canale sottostante la fortificazione dalle milizie francesi. Dopo decenni venne recuperato per poi essere acquistato e collocato ad ornamento del palazzo romano.