«Santa Maria in Ara Coeli al Campidoglio, Chiesa regionale SENATUS
POPULUSQUE ROMANUS»: la definizione dell’Annuario della Diocesi di Roma è tanto sintetica quanto densa di significati: se la Basilica di San Pietro in Vaticano e la Cattedrale di San Giovanni in Laterano legano l’Urbe all’apostolo Pietro e ai suoi successori, l’Ara Coeli è la chiesa del popolo romano e delle sue istituzioni civiche. E c’è più di una ragione a rendere questa chiesa unica: secondo un’antica tradizione, nel luogo dove essa sorge, l’imperatore Ottaviano Augusto avrebbe avuto la visione di una giovane donna con un bambino in braccio che gli preannunciava: «Haec est Ara Filii Dei», «questo è l’Altare del Figlio di Dio». Dopo quella visione, l’imperatore avrebbe deciso di innalzare un piccolo altare a quel Dio bambino che stava per arrivare.
E proprio grazie alla presenza di un’effige di Gesù Bambino, la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli è carissima al cuore dei romani e dei fedeli di ogni parte del mondo: dalla fine del XIV secolo, infatti, la chiesa ospita una statuetta lignea che raffigura il Bambino Gesù – per i romani «er Pupo» o «er Bambinello» – dispensatore di miracoli e grande beniamino dei bambini, i quali, da tempi immemorabili, si recano dalla notte di Natale fino all’Epifania, al suo cospetto, a leggere pensierini, esprimere desideri e recitare preghiere.
La Chiesa dell’Ara Coeli, come si è soliti chiamarla familiarmente, è dunque una delle più venerabili fabbriche della città. Già nel 574 la chiesa, denominata allora Santa Maria in Capitolio, era considerata molto antica. Secondo alcune fonti a volerla edificare fu sant’Elena, la madre di Costantino. Secondo altre, papa Gregorio Magno.
Comunque, in quel VI secolo, annesso alla chiesa c’era anche un convento di monaci greci. Dopo i greci, erano arrivati i monaci benedettini a governare chiesa e convento, i quali, a loro volta, nel XIII secolo, lasciarono il posto ai francescani, l’ordine dei tempi nuovi.
E mentre le vestigia di Roma antica erano ormai andate in rovina, qualcosa dell’antica gloria del Campidoglio era ancora viva entro le mura della chiesa e del convento: qui gli anziani della città si riunivano per discutere dei loro affari, alla maniera in cui il Senato era solito riunirsi ogni anno nel tempio di Giove, situato nei secoli della Roma antica, sull’altra sommità del colle capitolino.
In un’epoca non precisata, la chiesa, ad un certo punto, cambiò nome: da Santa Maria in Capitolio in Santa Maria in Ara Coeli. Qualche notizia sul motivo del cambiamento si rintraccia nei Mirabilia Urbis Romae, le antiche guide della città famosissime dall’alto medioevo fino al tardo rinascimento.
Vi si afferma che la chiesa era stata costruita sul sito dove sorgeva il tempio di Giunone Moneta, dove si trovava la zecca romana, donde prese origine la parola moneta ai tempi di Augusto imperatore, che aveva proprio nei pressi del tempio di Giunone uno dei suoi palazzi. Ed era stato proprio in quel palazzo che l’imperatore, «sbigottito che il Senato volesse tributargli gli onori riservati agli dei», aveva interpellato la Sibilla Tiburtina. E la Sibilla così si era espressa: «vi sono indizi che presto dal sole scenderà il Re dei secoli venturi e la vera giustizia sarà fatta». Mentre la Sibilla parlava, l’imperatore vide aprirsi i cieli e scorse una giovane donna che teneva in braccio un bambino ammantato di luce; due voci gridarono dal cielo: «Questa è la Vergine che porterà nel suo grembo il Salvatore del mondo. Questo è l’altare del Figlio di Dio». Allora Augusto eresse un altare nel luogo stesso della visione – l’Ara Filii Dei o Ara Coeli – .
Parecchi cronisti del Medioevo menzionano questo altare. Un’ulteriore conferma della tradizione si volle vedere in un’antica colonna sulla quale si leggevano le parole a cubicolo Augustorum, ovvero «dalla stanza degli imperatori»: la colonna è la terza nella navata sinistra della chiesa.
Che la tradizione si riferisca al Campidoglio e a Ottaviano Augusto può essere anche dovuto al fatto che nel secolo XI esisteva nella zona dell’Ara Coeli un edificio di mole considerevole noto come camera o palatium Octaviani, nel quale, tra l’altro, fu ospitato un emissario dell’imperatore Enrico III, Rex romanorum dal 1039 al 1056, e dal 1046 imperatore del Sacro Romano Impero.
Nel transetto sinistro dell’Ara Coeli, entro un tempietto con otto colonne, un’urna di porfido che si dice contenesse le spoglie mortali di sant’Elena, madre di Costantino, poggia su un altare incassato nel pavimento ritenuto proprio l’Ara Coeli fatto costruire da Augusto. Nell’abside un affresco ritrae Augusto e la Sibilla Tiburtina tra i santi e gli angeli, cosa davvero inusitata per un imperatore pagano. In verità questa profezia fu talmente cara ai fedeli romani che le Sibille compaiono tra gli elementi decorativi delle chiese cristiane. Agli albori del XII secolo la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli assume, definitivamente, il ruolo di chiesa del popolo romano: è il 1143 quando a Roma ebbe luogo la cosiddetta renovatio Senatus, ossia il rinnovamento dell’antica istituzione in opposizione al potere del sovrano Pontefice, allora era papa Innocenzo II. Un anno dopo fu istituito il Comune di Roma con a capo il potente Giordano Pierleoni, il quale scelse il Campidoglio e quindi l’Ara Coeli come sede dell’istituzione cittadina. E proprio nella chiesa ebbero luogo, per anni, le assemblee dei rappresentanti del popolo. Nel 1250, papa Innocenzo IV decise di affidare chiesa e
monastero ai francescani, i quali ristrutturarono gli edifici che continuarono ad essere oltre che luogo di culto, anche il centro della vita politica del libero comune. I francescani ne cambiarono anche l’orientamento: prima verso i Fori, ora verso la basilica di San Pietro in Vaticano. Una strana commistione tra religione e politica, che però, nonostante tutto, manteneva distinte l’una dall’altra. Nel 1348 si procedette alla costruzione della bellissima scalinata con 122 scalini che ammiriamo ancora oggi, commissionata dal comune come voto alla Madonna affinché ponesse fine alla peste che imperversava in tutta Europa. Ad inaugurare la scalinata fu Cola di Rienzo, tribuno del popolo e grande studioso di antichità romane. Benché non fosse mai stato anticlericale, ma anzi avesse sempre accuratamente coltivato il sostegno papale alle proprie imprese, la figura di Cola di Rienzo fu assai cara all’immaginario risorgimentale e massone, che ne fece l’eroe antesignano di un risorgimento di Roma rimasto incompiuto. Ma tornando alla nostra chiesa, va ricordato che proprio entro le sue mura Francesco Petrarca fu laureato poeta nel 1341. E che, nel 1571, vi fu celebrato il trionfo di Marcantonio Colonna, comandante della Lega cattolica contro i Turchi a
seguito della sua vittoria nella battaglia di Lepanto: lo straordinario soffitto dell’Ara Coeli ne ricorda la celebre vittoria. Sempre qui, dal XIV al XIX secolo, si celebrava il Te Deum di ringraziamento del popolo romano alla presenza del Papa. Nonostante il carico di storia e di tradizioni che questa chiesa vanta, il vero motivo per cui è famosa in tutto il mondo è la presenza del Bambinello, una scultura di Gesù Bambino intagliata nel XIV secolo da un frate francescano nel legno d’ulivo proveniente dal Getsemani. Tranne che nel periodo delle feste natalizie, durante le quali viene trasferita nel presepe allestito in una cappella della navata sinistra, la sacra effige viene conservata in una custodia di vetro posta sull’altare di una piccola cappella accanto alla sacrestia. Purtroppo, la statuetta fu rubata nel febbraio del 1994 e mai più ritrovata. Al suo posto fu posta una copia che ha continuato a elargire tante e tante grazie: nella cappellina due grandi contenitori di vetro pieni zeppi di lettere spedite da bambini e da fedeli di tutto il mondo contenenti le richieste di miracoli. Spesso sono indirizzate semplicemente «Al Bambino, Roma». I foglietti, poi, vengono bruciati senza che siano stati aperti dai padri francescani, i quali non si intromettono in quello stupendo dialogo tra Gesù e i suoi piccoli. Molte volte, prima di quel 1994, si è tentato
di rubare il Bambinello: nel febbraio del 1794, una donna se lo portò a casa e lo sostituì con una copia perfetta. Ma a mezzanotte dello stesso giorno, le campane dell’Ara Coeli si misero a suonare e alle porte del convento i francescani ritrovarono il Santo Bambino che fu subito rimesso al suo posto, mentre la copia andava in mille pezzi. E poco prima di quel febbraio del 1994, giorno del furto definitivo, qualcuno si portò via gli ori e i gioielli che ricoprivano la statuetta. Dopo alcuni mesi, i fedeli di ogni parte del mondo ne donarono altrettanti. Molti sono i malati che, ancora oggi, chiedono ai padri francescani di poter vedere e toccare il Bambinello: e allora ecco che la statuetta lascia la sua cappellina per andare in visita a chi ne ha bisogno. Oggi i trasferimenti avvengono il più delle volte in taxi. Ma per secoli si è utilizzata una bellissima carrozza e successivamente un’automobile cardinalizia. A tal proposito a Roma rimane famoso l’episodio di quando alcuni soldati fermarono un’automobile cardinalizia che tentava di attraversare Piazza Venezia mentre Benito Mussolini teneva un discorso. Appena si accorsero che trasportava il Santo Bambino al capezzale di un malato, la lasciarono proseguire immediatamente. Si spera sempre che la statuetta rubata possa tornare prima o poi al suo posto. Anche se pare che il Signore non sembra curarsi troppo del dettaglio, continuando a elargire con larghezza la sua grazia attraverso la semplice copia.
Roma, 13 dicembre 2019