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  1. Castel Sant’Angelo al chiaro di luna: il Passetto, le Prigioni storiche, la stufetta di Clemente VII

    È uno dei più espressivi resti della romanità antica che, con trasformazioni di uso e di ornato, ha continuato a vivere fino ai nostri giorni, sottraendosi alle demolizioni. La sua storia è parallela a quella stessa di Roma e ne segna le tappe più drammatiche e più significative.

    Mole Adriana – Disegno ricostruttivo – 1903 – Collezione Gatteschi.

    Il così detto Castel Sant’Angelo venne costruito come mausoleo in sostituzione di quello eretto da Augusto sulla opposta sponda tiberina, dove, fino a quell’epoca si era continuato a deporre le ceneri degli imperatori e dei loro congiunti. Lo volle l’estroso imperatore Elio Adriano che intese realizzare un’opera degna per imponenza e per ricchezza del ruolo raggiunto dall’Impero, erede della sacralità e del fasto delle monarchie orientali. I lavori iniziati nel 130 dopo Cristo, su disegno dello stesso Adriano e sotto la direzione dell’architetto Demetriano, vennero completati nel 139, nel primo anno di regno di Antonino Pio.
    Il mausoleo era costituito da un recinto quadrato di 89 metri per lato, alto 15 metri, rivestito in marmo e decorato di statue provenienti dalla Grecia. Una più esterna recinzione era rifinita con cancellate e con decorazioni bronzee delle quali ci sono restati i due pavoni che si trovano nel cortile della Pigna in Vaticano. Dentro il recinto sorgeva il massiccio tamburo del diametro di 64 metri, alto 21, dentro al quale erano ricavate le zone di sepoltura, oltre che degli imperatori, dei membri tutti della famiglia imperiale.
    L’ingresso moderno è sopraelevato di tre metri rispetto a quello antico. Da un vestibolo, una galleria elicoidale porta alla principale camera sepolcrale

    Castel Sant’Angelo – Il Passetto di Borgo.

    a pianta greca di 8 metri di lato per 12 di altezza. Quattro pozzi assicuravano l’illuminazione delle strutture interne del tamburo, ricoperto di terra con altra vegetazione. Al centro, una possente base muraria sosteneva con probabilità una statua dell’imperatore, dove oggi si trova l’angelo.
    I personaggi imperiali continuarono a esservi sepolti fino all’incorporazione del mausoleo nella cinta di mura imperiali, probabilmente avvenuta già nel 175 con Aureliano e comunque, in forma definitiva e totale, con i lavori di Onorio. Il destino di luogo di rifugio e di carcere, di assedi e di simbolo del potere era ormai segnato per la tomba imperiale.

    Castel Sant’Angelo – La Stufetta di Clemente VII.

    Comunque il suo determinante rilievo derivò dall’essersi trovato sul punto di sutura fra la vecchia Roma classica e medievale con la nuova Roma vaticana, cresciuta attorno alla tomba dell’apostolo Pietro. La sua cristianizzazione anche nel nome è fissata all’anno 590 dalla tradizione che narra l’apparizione dell’Arcangelo Michele latore, a papa Gregorio Magno, dell’annuncio della fine della pestilenza.
    Come roccaforte, il mausoleo risultò imprendibile durante l’assalto dei Goti di Alarico nel 410 e di Vitige nel 537, oltre che in quello dei Lanzichenecchi nel 1527. Ma il mausoleo fu soprattutto al centro delle contese cittadine complicate dalle interferenze imperiali attorno al decimo secolo, quando il mausoleo stesso venne definitivamente trasformato in castello, nel secolo

    Castel Sant’Angelo – Le Prigioni.

    XI venne definito “Torre dei Crescenzi”, e corse anche il rischio di essere demolito per eliminarne la forza soverchiante.
    Solamente alla fine del secolo XV, papa Alessandro Borgia doveva disporre più moderne opere di consolidamento comprendenti la creazione di bastioni. Nello stesso tempo egli ne ordinò l’adattamento interna a residenza sontuosa e fece aprire la grande loggia nel lato rivolto verso la città: era una ben chiara dimostrazione di potenza e un maestoso richiamo proposto a una Roma che ancora indugiava attorno al suo centro di gravità capitolino e si manteneva refrattaria all’autorità ristabilitasi in Vaticano, dopo la lunga lontananza avignonese e la crisi dello scisma d’occidente.

    Castel Sant’Angelo – L’Angelo.

    Dopo tanti secoli trascorsi con funzione di base militare e di carcere, il castello trovò un volto più gioioso all’epoca delle girandole di fine Ottocento. E oggi, liberato dalle superfetazioni cresciute lungo le sue mura, sui bastioni e nei fossati, mediante i lavori svoltisi prima del 1935, è divenuto sede del Museo di Castel Sant’Angelo, ricco di raccolte d’arte e di testimonianze storico-militari.
    Il Castello, nella sua consistenza attuale corrisponde al nucleo dell’antico mausoleo. Il basamento quadrato di epoca classica corrisponde al muro esterno rafforzato da quattro torrioni angolari costruiti da Niccolò V e da Alessandro VI.
    Sul corpo cilindrico che, pur privo dei rivestimenti e delle decorazioni, corrisponde a quello antico, si trova l’appartamento papale che sostituisce il tumulo funerario in terra; mentre la figura dell’angelo si trova al posto dell’antico fastigio, statua o quadriga che fosse.

    Roma, 20 luglio 2019

  2. Scoprire Roma al calar della sera: da via del Tritone a Piazza della Repubblica, passando per il Quirinale

    Di rioni in rione, alla scoperta di Roma. Di sera. Ecco allora il rione Trevi che prende il nome dal toponimo del “treio” o trivio. Esaltato dalla

    Via del Tritone, 1926. Si ringrazia Roma Sparita.

    presenza della celebre fontana, corrisponde al versante occidentale del Quirinale, alla valle che separa questo dai colli del Pincio e al lungo e lieve declivio verso via del Corso.
    La passeggiata esordisce a via del Tritone: la celebre strada prende il nome dalla magnifica Fontana del Tritone dalla quale inizia il suo percorso costellato di imponenti palazzi umbertini alternati ad edifici barocchi e caratterizzato da una grande e qualificata varietà di negozi. La via, un tempo stretta e tortuosa, subì profondi ampliamenti tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, con espropri e sventramenti, sì da divenire il lungo rettifilo odierno, solo parzialmente interrotto dal largo del Tritone.
    Prima del toponimo attuale questa via ne ha avuti almeno altri due, che ne hanno seguito le vicende nel corso della sua storia: alla fine del Cinquecento era denominata Via della Madonna di Costantinopoli“, da nome della chiesa, ancora esistente, di Santa Maria Odigitria, come confermato anche dalla pianta di Antonio Tempesta del 1693, quando era ancora costeggiata dalla suddetta chiesa, da casupole e da un isolato fino all’altezza di via Capo le Case. Il tratto seguente era denominato Via dell’Angelo Custode, dal nome della chiesa edificata, a cura della omonima Confraternita, da Felice della Greca e Mattia de’ Rossi. Il toponimo del Tritone apparve per la prima volta nella pianta di Pietro Ruga del 1824, ma

    Madonna dell’Odigitria – Chiesa di Santa Maria d’Itria.

    limitatamente al tratto compreso tra piazza Barberini e via dei Due Macelli, mentre il tratto seguente conservava il nome di Via dell’Angelo Custode. Fu in base al Piano Regolatore del 1873 che la via fu allargata proprio nel tratto più basso, incorporando il Largo dei Due Macelli, oggi largo del Tritone, via dell’Angelo Custode, parte del vicolo Mortaro e il vicolo Cacciabove.
    Il secondo tratto, quello più alto, fu allargato in accordo con la Società Imprese Fondiarie nel 1905, mentre un altro allargamento di circa 20 metri avvenne tra via della Stamperia e via dei Due Macelli, su consiglio dell’architetto Gino Venturi, nel 1928.
    La chiesa di Santa Maria Odigitria, detta anche Santa Maria d’Itria, fu eretta nel 1594 dalla nazione siciliana a Roma insieme con i Maltesi e, nel Seicento, vi furono annessi anche un ospizio e un collegio per i Maltesi e i Siciliani che venivano a studiare a Roma. Deve il suo nome alla venerata immagine della Vergine al suo interno custodita, portata a Roma, si dice, direttamente da Costantinopoli: per questo motivo fu soprannominata anche Madonna di Costantinopoli. Questa chiesa, distrutta e sconsacrata durante l’occupazione dei Francesi tra la fine del Settecento ed il 1814, fu ricostruita nel 1817 da Francesco Manno. La facciata, opera di Giuseppe Palazzi, reca la scritta “IN HONOREM SANCTAE MARIAE ODIGITRIAE“. Come chiesa regionale dei Siciliani, ha visto lavorare alla decorazione delle sue quattro cappelle artisti siciliani. Essi hanno rappresentato, in

    Il palazzo de “Il Messaggero” – Via del Tritone.

    sostituzione di vecchie tele di maniera, quattro pale d’altare: “Santa Lucia di Siracusa“, opera di Salvatore Fiume, “Santa Rosalia di Palermo“, opera di Mario Bardi, “Sant’Agata di Catania“, opera di Sebastiano Miluzzo, e i papi romani Agatone e Leone II con il patriarca di Costantinopoli Metodio Siculo, in ricordo del legame tra la Sicilia ed il mondo greco-bizantino. L’altra chiesa che diede il nome alla via, quella dedicata all’Angelo Custode, fu demolita nel 1928 per l’allargamento della sede stradale.
    Diversi palazzi, grazie alla loro imponenza e varietà di stucchi che li decorano, meritano attenzione, quando si passeggi lungo questa via. Risalgono all’epoca umbertina l’albergo Marini Strand, il palazzo Salimei e quello con i cantonali a punta di diamante. Il primo al civico 17 fu realizzato da Luca Carimini nel 1888 e presenta al pianterreno come delle arcate chiuse entro le quali si aprono le porte dei negozi; al piano nobile si vedono finestre rinascimentali con bozze, cornici con stucchi di vasi e disegni geometrici. Il palazzo Salimei, al civico 36, risale al 1883 e ospitò i famosi Magazzini Coen. Questo edificio dimostra chiaramente la mano di Gaetano Koch con le colonne che scandiscono la facciata al pianterreno, con le finestre al piano nobile con timpano triangolare o curvo e con protomi leonine sotto i davanzali. La facciata è

    I magazzini Coen. Si ringrazia Alvaro de Alvariis.

    divisa in tre corpi, due laterali più stretti e il centrale. Nel lato su via Poli è fissata una lapide con due statue nella quale è scritto: Coen, casa fondata nel 1880.
    Francesco Azzurri progettò l’edificio al civico 66 nel 1885 con un bel portone architravato, alla cui sommità vi è un volto femminile, e con finestre del mezzanino decorate con protomi leonine. Le bugne ricoprono la parte inferiore dell’edificio, che al piano nobile presenta finestre affiancate da paraste decorate con foglioline e con figure di donne sotto il davanzale. Al secondo piano finestre incorniciate da maioliche con disegni floreali; alla sommità corone di frutta con al centro protome leonina o stella alternate. Al piano superiore stucchi di volti femminili e frutta: sotto il cornicione, tra le finestre, vari graffiti con animali alati e rami. Sopra il cornicione stesso vi sono finestre con stipiti decorati da maioliche colorate. Ai lati del palazzo vistosi cantonali a punta di diamante.

    Targa dei Magazzino Coen – Via del Tritone. Si ringrazia Alvaro de Alvariis.

    I palazzi che dominano largo del Tritone, aperto in occasione della costruzione del Traforo Umberto I, progettato nel 1905 da Alessandro Viviani per collegare via del Tritone con via Nazionale passando sotto i giardini del Quirinale, furono realizzati nel primo decennio del Novecento in stile liberty dall’architetto Arturo Pazzi.
    Al civico 152 è situato il Palazzo del Messaggero costruito tra il 1910 ed il 1915 come albergo, il Select. La facciata gioca tutta la sua scenografia nell’alternarsi di balconcini, timpani alle finestre, pilastri di vario ordine, decorazioni a stucco sotto l’ampio cornicione fino all’attico soprastante, ricco di colonne, pilastri e due serliane con varie elaborazioni architettoniche. Il palazzo fu acquistato dai fratelli Perrone nel 1920, allora proprietari de “Il Messaggero“, che ne fecero la sede definitiva del quotidiano.
    Sull’altro lato del largo del Tritone è situato il palazzo costruito tra il 1910 ed il 1913 come sede dei Magazzini Old England, per molti anni poi sede centrale della Banca d’America e d’Italia, oggi filiale della Deutsche Bank. L’edificio imponente si adatta bene allo slargo stradale, in una scenografia urbanistica di grande effetto; sviluppa quattro piani oltre quello terreno con finestre dalle grandi cornici, tra paraste con capitelli dalle testine di Mercurio al piano nobile e colonne all’ultimo, con una prora sul fastigio. Il volto di Mercurio con l’elmo alato, dio dei commerci collegati al denaro, è raffigurato tra decori in fregi sulle lesene all’altezza del terzo piano. Al

    Via del Tritone.

    pianterreno apre un bel portale ad arco e sui lati sviluppano varie porte squadrate, ora in funzione di vetrate. Da segnalare il semaforo del largo del Tritone: fu qui posto nel 1925 e risulta il primo impianto semaforico di Roma.
    La passeggiata prosegue verso piazza Trevi. Uscendo a raggiera dalla piazza di Trevi, ben sei stradine si immettono nel vivo del tessuto del vecchio quartiere formicolante di vita e dominato da intensità di colori e di odori. È facile reperire in esso, come nei più autentici ambienti romani, i caratteri propri di questo popolo e delle sue espressioni di vita. Allo stesso modo si ritrovano abbondanti le manifestazioni minori di un’architettura spesso spontanea che riecheggia alla lontana i motivi di grandi creatori.
    Di tale genere di architettura costituisce un esempio nella via del Lavatore, di fronte allo sbocco del vicolo Scavolino, l’edificio conventuale che accentra sul portone dalla linea convessa e sulle finestre corrispondenti un piacevole motivo di interesse. Così pure, di gradevole interesse

    Via del Tritone, 1890 circa. Si ringrazia Roma Sparita.

    architettonico risulta il cinquecentesco Palazzo Scanderbeg sulla piazzetta omonima, contrassegnato sul portone dal ritratto di un fiero personaggio con barba bianca e fez rosso che dovrebbe corrispondere all’eroe albanese il quale abitò in questo luogo nel 1466, ospite di Paolo II cui era venuto a chiedere soccorso contro i Turchi. La tradizione vuole che egli abbia lasciato in eredità il palazzo con il vincolo di restaurare il ritratto ogni volta che si rendesse necessario. Il palazzetto si sviluppa su quattro piani in forme eclettiche cinquecentesche, con finestre architravate ai primi due e semplice cornice ai successivi. Racchiude il tutto un bel cornicione a mensole. Il vicolo che prende il nome dall’eroe fu il primo a Roma ad avere un nome straniero ed infatti il popolo, data la difficoltosa pronuncia del soprannome, chiamò il vicolo “Scannabecchi“. Il vicolo e la piazza costituiscono uno dei luoghi più pittoreschi di Roma, una sorta di paradiso, serrato tra case erette o rinnovate tra il Seicento e l’Ottocento; ne aumenta il valore pittorico l’arco della Dataria poggiante su belle mensole di gusto seicentesco, che lo scavalca e che fu costruito nel 1860 per unire il palazzo della Dataria al palazzo del Quirinale.

    Roma, 21 luglio 2019

  3. Articolo

    Arte al taglio

    Philippe Daverio

    In occasione dei centoventi anni dalla nascita di Lucio Fontana pubblichiamo questo articolo di Philippe Daverio apparso in “Art e Dossier” n.249 del novembre 2008.

    Lucio Fontana fotografato da Ugo Mulas nel 1965.

    I tagli di Lucio Fontana vengono da lontano, dal suo paese d’origine, l’Argentina. Dove la lama si intreccia imprevedibilmente alla musica, all’arte, alla letteratura, alla vita.

    Mondo complicato quello dell’America Latina, molto meno unitario di quanto potrebbe lasciar pensare l’uso di una o due lingue comuni provenienti dalla penisola iberica, mondo complesso quanto lo è il costante cambiamento degli accenti nel parlare idiomi all’apparenza identici. continua…

  4. Tra archeologia e letteratura: la passeggiata di Enea ed Evandro nell’Eneide. Dal Foro Boario al Campidoglio

    Virgilio nasce a Mantova il 15 ottobre del 70 avanti Cristo e muore a Brindisi il 21 settembre del 19 dopo Cristo. L’Eneide è il poema epico al quale Virgilio lavorò negli ultimi dieci anni della sua vita. Si presenta come

    Il viaggio di Enea così come lo descrive Virgilio.

    un poema che risalendo a un periodo storico antichissimo e leggendario, legittima tanto il dominio di Roma sul mondo quanto il potere interno della gens Iulia, la famiglia di Augusto che rivendica per sé la discendenza da Ascanio Iulo, figlio di Enea. L’ideologia augustea viene perciò esaltata con grande efficacia, pur in una dimensione temporale diversa da quella del presente.
    È un’opera monumentale, considerata alla stregua di un’Iliade latina, il cui

    Enea, Anchise, Ascanio e i Penati – Gain Lorenzo Bernini – 1618/1619.

    modello è Omero. Il grande poeta latino vi narra le vicende di Enea, figlio del mortale Anchise, cugino di Priamo, re di Troia, e di Venere. Di Priamo, Enea ha sposato la figlia, Creusa. Partecipa alla fase finale della guerra tra troiani e achei. Finché fugge da Troia in fiamme, portando via i Penati, il figlio Ascanio e, sulle spalle, il vecchio padre; con i Troiani superstiti salpa con venti navi da Antandro, nella regione della Troade, in Anatolia.
    Da quel momento hanno inizio le sue peregrinazioni; approda successivamente nella Tracia, a Delo, a Creta, in Sicilia, dove muore Anchise, sulle coste dell’Africa, presso la regina Didone, poi in Italia, a Cuma, donde discende nell’Averno. Per giungere infine nel Lazio, dove è accolto da Latino, re dei Laurenti, che gli promette in sposa la figlia Lavinia, già promessa a Turno re dei Rutuli. Di qui ha origine la guerra tra Enea, aiutato da Evandro, re di Pallanteo, e Turno, soccorso dai principi italici, finché questi cade ucciso in duello da Enea.
    L’arrivo nel Lazio da parte di Enea è descritto nel libro VIII dell’Eneide.  Evandro, re degli Arcadi, insieme con un manipolo di Arcadi, era giunto sulle coste del Lazio e aveva fondato Pallanteo, una città sul Palatino.
    Enea si troverà a percorrere i luoghi dove si ergerà la città Roma, di cui proprio lui e la sua discendenza saranno i progenitori, la nuova Roma che sostituirà l’antica Troia, la città abbandonata nel momento della sua rovina.
    La passeggiata si svolge a conclusione del rito di commemorazione di Ercole Invitto all’Ara Maxima il 12 agosto, data che ricorda il triplice trionfo di

    Arrivo di Enea nel Lazio – Pietro da Cortona – 1651/1654.

    Ottaviano, che ebbe luogo dal 13 al 15 agosto del 29 avanti Cristo, quasi abbreviando la distanza che separa il tempo della narrazione da quello del poeta. Comincia con l’immagine di tre uomini in cammino, il vecchio Evandro, quasi paludato, obsitus, della sua dotta vecchiezza, con vicino Enea e Ascanio: Ascanio ha il compito di portare i Penati ed Evandro detiene la conoscenza del luogo. Lo stato d’animo di Enea è colmo di stupore e meraviglia nei confronti dei luoghi che gli sfilano davanti. A quel punto Evandro ricostruisce la storia del sito a partire da un tempo del mito anteriore a quello in cui vi si erano stabiliti gli Arcadi da lui governati. In passato il Lazio era abitato da Ninfe e Fauni dai costumi primitivi; solo dopo la venuta di Saturno, cacciato dall’Olimpo, essi furono civilizzati: si aprì così l’epoca aurea di Saturno alla quale subentrarono gradualmente periodi più foschi; infine il Lazio fu diviso in vari regni. In questo scenario giunse Evandro, cacciato anch’esso dalla patria e sollecitato da sua madre, la ninfa Carmenta: costui si stabilì su di un colle, fondando la rocca di Pallanteo, dal nome del figlio Pallante da cui deriverebbe, secondo un’etimologia suggerita da Virgilio, il nome del colle Palatino. Se la biografia di Evandro sembra replicare per sommi capi quella di Saturno, è chiaro che prefigura non solo quella dell’esule Enea, ma anche quella di Ottaviano, al cui fianco si era schierato Apollo.

    Enea viene presentato a Evandro – Pietro da Cortona – 1651/1654.

    I tre uomini, dunque, partono dall’Ara Massima di Ercole, innalzata da Evandro stesso nell’angolo Sud-Occidentale della vasta area del Foro Boario, la cui posizione dovrebbe attualmente corrispondere all’angolo di piazza della Bocca della Verità, formato da via della Greca e via dell’Ara Massima di Ercole e identificata da alcuni archeologi con il sito di Santa Maria in Cosmedin. Iniziata la passeggiata, si muovono verso Nord, tenendo il Tevere alla loro sinistra, fino a raggiungere l’ara Carmentale, presso cui verrà poi costruita l’omonima porta, che conduceva al Foro Olitorio, collocabile nel punto di incontro tra via Jugario e via della Consolazione. Quindi, costeggiando le pendici orientali del Campidoglio, passano davanti al bosco, situato tra le due cime del colle, che sarà adibito da Romolo ad Asilo. Proseguendo nella passeggiata, Evandro indica, alla loro destra, alle pendici del colle Palatino, il Lupercale, vicino al luogo in cui ora sorge la chiesa di Santa Anastasia, e mostra, di fronte a loro, il bosco dell’Argileto, nell’angolo Nord – Est del Foro Romano. Successivamente Evandro porta i suoi ospiti alla rocca Tarpea e al Campidoglio, boscoso al momento della passeggiata, all’epoca di Virgilio invece coronato dal tempio di Giove

    Statua di Ercole ritrovata nei pressi dell’Ara Maxima – Musei Capitolini.

    Capitolino, costruito da Tarquinio sulla tomba di Tarpea. Da lì scorgono la Rocca di Giano e la Rocca Saturnia, forse identificabili con le due cime del colle. Chiacchierando arrivano alle lussuose Carinae, attualmente il triangolo fra via Cavour, via dei Fori e via degli Annibaldi, prestigioso quartiere residenziale all’epoca di Virgilio, ma che al tempo di Enea costituiva, assieme a quello che sarà il Foro, un semplice pascolo per gli armenti, suggerendo un’implicita esortazione alla modestia. Attraversata la valle del futuro Foro romano, Evandro, Enea e Ascanio si trovano alle pendici del Palatino.
    Tra amabili conversari, così come la passeggiata era iniziata, vario sermone, i tre protagonisti giungono affrontando un percorso in salita, subibant, sul colle Palatino, mai nominato esplicitamente, quasi per evitare l’associazione della dimora di Augusto all’umile casa di Evandro, pur sempre regia però, simbolo della paupertas, ossia dell’assenza di ciò che è superfluo, in cui vivevano gli Arcadi, e monito per il cittadino romano modello di epoca augustea.
    Non a caso però la meta della passeggiata coincide con il sito in cui sorgerà la casa Romuli e più tardi la casa di Augusto e di Livia, connotata retroattivamente con una virtuosa paupertas, cui si oppone la ricchezza delle opere pubbliche. Come se non bastasse la modestia del luogo, Evandro stesso ammonisce Enea alla moderazione nei confronti della ricchezza e gli offre, secondo la tradizione ellenistica che rimanda a Ecale e a Molorco, un umile giaciglio di foglie, affinché non si abbandoni al lusso e all’opulenza, ma rammenti i valori alla base della civiltà romana: pietas, fides, constantia, iustitia, clementia, probitas.

    Foro Romano e Campo Vaccino – Giovan Battista Piranesi – 1750 circa.

    Con tratto pittorico gradito a tanti futuri amanti delle notti romane, la passeggiata archeologica di Enea si conclude con le tenebre che con ali vellutate abbracciano la meraviglia del Foro, dove echeggia ancora il muggito delle vacche al pascolo: è suggestivo riconoscervi con un balzo in un futuro, che profumerà di passato, il Campo Vaccino inciso da Piranesi e intimamente assaporato da Goethe.

    Roma, 14 luglio 2019