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  1. Domiziano, lo Stadio, la Piazza

    È stato detto che, a Piazza Navona, Roma sia più autenticamente sé stessa. Grandiosa e solenne, vivace e raffinata, non in funzione del mondo come Piazza San Pietro, che rappresenta la missione di Roma.

    Piazza Navona 1699 - Caspar van Wittel

    Piazza Navona 1699 – Caspar van Wittel

    Questa piazza è un luogo esclusivo per la città, è lì dove la città vive per sé stessa, per il proprio gusto di esistere.
    Meravigliosamente, la piazza ripete nelle sue dimensioni e nel suo circuito la foggia dello Stadio di Domiziano che sorse qui, nell’anno 86 d.C., nelle vicinanze dell’Odeon, dove oggi è il Palazzo Massimo alle Colonne, alla cui decorazione aveva partecipato anche colui che fu poi l’architetto di Traiano: Apollodoro di Damasco. Probabilmente nei pressi della piazza, e presso il Tevere, dovette sorgere la Naumachia di Domiziano costruita per gli spettacoli nautici che non si potevano più dare nell’Anfiteatro Flavio dopo che lo stesso Domiziano ebbe costruito gli impianti di servizio sotto l’arena. L’imperatore apprezzava in modo particolare i giochi atletici greci che, insieme a quelli musicali ed equestri, facevano parte del Certamen Capitolinum, la gara in onore di Giove Capitolino.

    Stadio di Domiziano ed Odeon - ricostruzione

    Stadio di Domiziano ed Odeon – ricostruzione

    Il Certamen Capitolinum era triplice (musicum, equestre, gymnicum), cioè articolato in competizioni di diverso carattere: gare iniziali di poesia greca e latina che si svolgevano nell’Odeon alle quali seguivano competizioni musicali e canore, rappresentazioni teatrali ed equestri (queste ultime si dovevano svolgere nel Circo Massimo, edificio di cui Domiziano inizia il grandioso lavoro di ricostruzione poi ultimato da Traiano) e, da ultimo, si tenevano le gare sportive strutturate sul ciclo olimpico greco: atletica leggera (corse di vario tipo), atletica pesante (lotta, pugilato e pancrazio), oltre alle gare riunite nel pentathlon (corsa, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, lotta). La gara più importante era la corsa dello stadio (circa 180 metri). Queste ultime gare si tenevano appunto nello stadio.
    Trattandosi di uno stadio e non di un circo, mancavano naturalmente i carceres (i box dai quali prendevano il via i carri) e la spina centrale che caratterizzava ed ha caratterizzato a lungo il profilo del Circo Massimo. L’arena dello stadio era quindi completamente libera e in nessun caso l’obelisco, che era al centro della piazza, poteva qui essere collocato in antico, come si è favoleggiato.

    Naumachia di Domiziano

    Naumachia di Domiziano

    Questa fantomatica Naumachia, che non dovette avere fortuna ed ebbe certamente vita breve poiché Domiziano medesimo ne utilizzò le pietre per un restauro al Circo Massimo, è forse all’origine delle contaminazioni leggendarie che fanno derivare da “nave” anziché da “agone” il nome di Piazza Navona. Il toponimo “in agonis” fu, però, molto usato nel medioevo per indicare tutta la zona.
    E’ noto che lo stadio fosse interamente costruito in travertino, a diversi ordini di fornici ed ornato da statue. La sua larghezza era di 54 metri e la lunghezza di 276; la cavea raggiungeva un’altezza di 33,40 metri. Essa poteva contenere fino a 30mila spettatori. Gli edifici che ammiriamo nell’area di Piazza Navona sono fondati sulle gradinate della cavea, come si può agevolmente controllare in Piazza di Tor Sanguigna, dove è visibile un tratto del lato curvo, perfettamente conservato al di sotto delle abitazioni moderne. Nel 222-235 furono realizzati dei restauri a cura di Alessandro Severo, che mise mano anche alle vicine Terme Neroniane; mentre Costanzo II, poco più di un secolo dopo, per quanto pieno di ammirazione, privò lo stadio dei suoi ornamenti marmorei per trasferirli a Costantinopoli. Alla ricca decorazione scultorea dell’edificio, alcuni pezzi superstiti della quale sono stati recuperati negli scavi degli anni Trenta del secolo scorso, appartiene forse la statua del Pasquino, copia di un gruppo ellenistico pergameno rappresentante probabilmente Aiace con il corpo di Achille, che attualmente è sull’angolo di Palazzo Braschi che insiste su Piazza Pasquino.
    E’ noto ancora che nel V secolo, alla caduta di Roma, lo stadio era ancora agibile.

    Festa del Lago di Piazza Navona 1756 - Giovanni Paolo Pannini

    Festa del Lago di Piazza Navona 1756 – Giovanni Paolo Pannini

    L’agiografia cristiana localizza nello stadio il martirio di sant’Agnese: esso avrebbe avuto luogo, infatti, in uno dei lupanari che, come nel Circo Massimo, avrebbero occupato i fonici dell’edificio, lupanare che probabilmente si trovava proprio nel punto dove ora è la chiesa omonima, nei cui sotterranei si possono vedere i resti appartenenti all’edificio.
    Nella generale rovina del primo medioevo, mentre le arcate crollavano e sopra vi crescevano gli orti, il ricordo della vergine Agnese fece sorgere un oratorio in mezzo alle torri delle fazioni baronali. Verso il 1250 si stabilirono nella piazza le prime famiglie nobili e nel ‘400 arrivarono gli spagnoli con un loro ospizio. A metà del secolo, secondo un memorialista del Giubileo del 1450, la piazza presentava ancora buona parte delle gradinate dello stadio di Domiziano. La rinascita dell’area era ormai avviata: qui, infatti, fu trasferito il mercato che si svolgeva alle pendici del Campidoglio: Roma stava spostando, seguendo gli orientamenti dei pontefici, il suo centro di gravità verso occidente, cioè verso la nuova sede papale del Vaticano.
    La piazza cominciò così ad essere centro di animazione: giostre e tornei, processioni e luminarie ne fecero un luogo di divertimento per quanto fosse anche sede di scontri, specie tra esponenti delle gelose colonie straniere.

    Piazza Navona - Giovan Battista Piranesi

    Piazza Navona – Giovan Battista Piranesi

    Alla fine del Cinquecento Gregorio XIII fece collocare, ai due estremi, due bacili di fontane da Giacomo della Porta: al centro venne posto un abbeveratoio.
    L’ascesa al pontificato di Innocenzo X Pamphilj, le cui case familiari si trovavano sulla piazza, determinò il destino della piazza. Fu così che qui il Barocco trionfante lasciò una delle sue impronte scenografiche più mozzafiato, e fu quasi una gara tra: Bernini, Borromini, Rainaldi, Pietro da Cortona vi lasciarono i segni tra i più strabilianti della loro immaginazione.

    Roma, 7 aprile 2018

  2. Articolo

    Leonardo: il tumulto della fede e l’arte moderna

    di Tomaso Montanari

    Leonardo da Vinci muore il 2 maggio 1519 nel Maniero di Clos – Lucé ad Amboise in Francia. Corre perciò questo anno il cinquecentesimo anniversario della sua morte. Molte sono le mostre e gli eventi dedicati a Leonardo lungo questo 2019. Anche noi di Roma Felix vogliamo portare un nostro piccolo contributo, pubblicando questo breve articolo di Tomaso Montanari, raccolto insieme ad altri nel volume “L’ora d’arte” pubblicato da Einaudi per la serie Gli Struzzi nel 2019.

    Leonardo – Autoritratto 1510/1515 – Sanguigna – Torino – Biblioteca Reale.

    L’Epifania è la solennità della manifestazione, e nella tradizione cristiana unisce tre feste e ne annuncia un’altra. Gesù bambino manifesta la sua divinità a tutte le genti attraverso i Magi, tre saggi venuti da Oriente: che lo raggiungono grazie alla scienza, alla conoscenza, e gli portano oro (segno che hanno capito che è un re), incenso (segno che hanno capito che è Dio), mirra (il profumo in cui verrà avvolto il suo corpo dopo la morte, segno che hanno capito che sarà un re e un dio diverso, capace di soffrire e di morire). Poi Gesù manifesta di essere figlio di Dio, nel battesimo al Giordano, suo primo atto pubblico: quando si udirà addirittura la voce del Padre. E proclama la sua Passione (cioè la sua morte sulla Croce) quando alle nozze di Cana, cambia l’acqua in vino: simbolo del suo sangue. Infine nel giorno dell’Epifania in tutte le chiese si annuncia il giorno della Pasqua dell’anno appena iniziato: perchè la morte non è la fine.

    continua…
  3. Le antiche confraternite romane. San Giovanni decollato e i condannati a morte

    La Compagnia di San Giovanni Decollato di Roma, poi Arciconfraternita, nacque l’8 maggio 1488 per volontà di alcuni fiorentini residenti a Roma che mossero sentimenti di pietà nei confronti dei

    San Giovanni Decollato – Interno – Roma.

    condannati a morte. Vi appartennero Michelangelo, il Bellarmino e molti papi e cardinali.
    Memori dell’esperienza della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, nata a Firenze nel 1355 e dalla quale si sarebbero distinti nel 1424 i Battuti Neri con le medesime finalità, riproposero il sostegno ai condannati a morte introducendo per la prima volta a Roma il concetto di morte confortata, poiché solo con la preghiera gli uomini potevano redimersi dal peccato e riconciliarsi a Dio.
    I confratelli incaricati a questo oneroso ufficio assunsero il nome di “Confortatori”. Costoro si occupavano infine della composizione delle salme e della loro sepoltura che, a partire dal 1600, avvenne nei sotterranei del chiostro, fatto costruire per volontà di papa Clemente VIII.
    L’autorità pontificia comprese subito l’importanza del ruolo assunto dalla Compagnia di San Giovanni Decollato tanto che papa Innocenzo VIII ne approvò ufficialmente l’istituzione nel 1490 e le concesse la chiesa di Santa Maria della Fossa ai piedi del Campidoglio perché potessero adempiere ai propri uffici. Più tardi, nel 1540, papa Paolo III le accordò la possibilità di liberare un condannato a morte all’anno in occasione della festa del Santo Patrono, il 24 giugno, secondo modalità chiarite e precisate dalle norme statutarie.

    San Giovanni Decollato – Oratorio – Roma.

    Un ulteriore strumento offerto dalle concessioni pontificie fu la possibilità di aggregare compagnie analoghe per finalità e disseminate un po’ ovunque. Ciò le permise di diffondere il concetto di pietas verso i condannati a morte; l’impegno assolutamente volontario dimostrò con quanta purezza d’animo i confratelli si adoperassero senza pretendere o aspettarsi alcun vantaggio personale.

    La sua ramificazione rapida e capillare provò quanto il progetto di solidarietà umana fosse un sentimento diffuso e soprattutto senza limiti territoriali, tanto da varcare i confini dello Stato Pontificio.
    Tra i pazienti, tali erano definiti, più celebri si ricordi Giordano Bruno, accusato di eresia e portato al rogo a Campo dei Fiori nel 1600.
    La chiesa venne iniziata nel 1488 dall’Arciconfraternita e completata nel 1504. Sorge sull’area della chiesa di Santa Maria della Fossa del 1190. Ad una navata con cappelle laterali inserite sotto grandi arconi, ha una ricchissima decorazione settecentesca e un soffitto ligneo a riquadri regolari. Sull’altar maggiore si trova una tela di Giorgio Vasari, 1553,

    La Decollazione del Battista – San Giovanni Decollato – Roma.

    raffigurante “La decollazione del Battista”. Sugli altari sono, fra gli altri, un secondo quadro dello stesso Vasari e uno del Pomarancio; si nota anche una “Madonna della Misericordia col Bambino” che proviene dalla precedente chiesa di Santa Maria della Fossa.
    Un vero gioiello è l’oratorio, realizzato tra il 1530 e il 1535 e decorato sulle pareti con un ciclo di “Storie del Battista” realizzate da Jacopino del Conte, da Francesco Salviati e da Pirro Ligorio. Sull’altare, una bella “Deposizione” sempre di Jacopino del Conte.
    L’attiguo chiostro, terminato nel 1555, ha su tre lati un arioso portico di derivazione rinascimentale fiorentina. Al centro, un giardino. Nei sotterranei venivano sepolti i giustiziati.
    Il terreno su cui sorge fu acquistato nel 1594 dall’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato che procedette immediatamente alla sua costruzione. L’anno successivo, il confratello Migliore Guidotti donò al Sodalizio un quadro raffigurante la Resurrezione di Lazzaro da accomodare sopra l’altare posto proprio nel nuovo loggiato, ora custodito in chiesa.

    San Giovanni Decollato – Chiostro – Roma.

    Dai documenti di archivio si evince che nel 1601 si votò per la copertura dello stesso, ma di certo i lavori nel 1612 dovevano essere terminati perché in tale periodo si decise di celebrarvi le messe.
    Il portico, che circonda per tre lati il giardino, ha un carattere prettamente toscano ricordando l’architettura rinascimentale fiorentina; le colonne, ritenuto appartenessero in precedenza alla chiesa di San Martino ai Monti, si suppone invece provengano dal Colle Oppio, probabilmente dalla Domus Aurea.
    Il chiostro è decorato architettonicamente da due altari lignei gemelli, progettati probabilmente da Michelangelo, sormontati da un incasso rettangolare e da un frontoncino ornato da decorazione costituita da dentelli e ovoli. Gli incassi servivano da alloggiamento per le due tele, ora in chiesa. In uno dei due altari è stata successivamente creata una piccola nicchia ove è una statua in gesso di San Sebastiano, patrono delle Confraternite della Misericordia in Italia.
    La pavimentazione e i banchi lignei sono del 1500. Sul pavimento sono presenti sette botole, sei per gli uomini e una per le donne, attraverso le quali venivamo calati i corpi dei condannati a morte per essere cristianamente sepolti nei sotterranei del chiostro. Su ciascuna botola è l’iscrizione “DOMINE CUM VENERIS JUDICARE NOLI NOS CONDEMNARE”, “Dio quando verrai per giudicarmi non mi condannare”.
    Si notino infine sulle pareti degli ovali in bassorilievo marmoreo del 1500, raffiguranti la testa del Battista sul bacile, un sarcofago pagano poggiato su due leoni stilofori, probabilmente provenienti da Santa Maria Della Fossa, e alcune lapidi di benefattori.

    Roma, 9 giugno 2019

  4. Catacombe di Marcellino e Pietro ad duas lauros

    La regione denominata ad duas lauros rappresenta una delle più importanti testimonianze storico-archeologiche nella vasta area della periferia romana attraversata dall’antica via Labicana, l’odierna via Casilina. Tale tracciato, realizzato su solidi strati di tufo vulcanico,

    Il Mausoleo di Sant’Elena – Giovan Battista Piranesi.

    rappresentava la principale area di comunicazione tra i Colli Tuscolani e Roma e fu in seguito prolungato fino a confluire con via Latina. La sua importanza è attestata anche dalla presenza nel territorio compreso ad duas lauros situato a circa tre chilometri da Porta Maggiore.
    La denominazione latina deriva probabilmente da due grandi alberi di alloro esistenti nella zona che sarebbero stati lasciati come testimoni di un bosco distrutto, oppure, come rivelano gli studiosi, potrebbe trarre origine dalla decorazione di un padiglione imperiale recante un doppio lauro.
    L’area archeologica è compresa tra un edificio – il Mausoleo di Sant’Elena – e una serie di cunicoli sotterranei – le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro e una basilica dedicata ai medesimi santi, oggi completamente interrata.
    Si hanno inoltre notizie dell’esistenza di un cimitero degli equites singulares, corpo scelto delle milizie imperiali che godeva di particolari privilegi, tra i quali, anche quello della sepoltura nella proprietà imperiale.

    Mausoleo di Sant’Elena, oggi.

    Diverse ricerche sono state fatte circa la presenza di una Villa dei Flavi Cristiani, impiegata come luogo di sosta degli imperatori e del Campo Marzio, zona compresa nelle vaste proprietà imperiali ad oriente di Roma riservato appunto al corpo scelto degli equites singulares. E sembrerebbe che il sepolcro delle milizie non sia l’unico cimitero pagano della zona: qui esistevano probabilmente tombe e mausolei fin dal tempo di Augusto. La sospensione dell’uso del cimitero degli equites singulares avvenne, verosimilmente, intorno al 313 – 315, nel periodo costantiniano.
    Non è chiaro il rapporto esistente tra il fondo imperiale, il sepolcro dei cavalieri e i reperti cristiani. È certo comunque che quando l’area divenne patrimonio dell’Augusta Elena, la zona, già interessata dalle sepolture dei martiri cristiani, godeva di particolari attenzioni da parte dell’Augusta madre dell’imperatore. Come dimostrano le ricorrenti donazioni. Il territorio assunse anche la denominazione di “Subaugusta” per indicare i possedimenti imperiali di campagna che si estendevano dal Mausoleo all’odierna Centocelle.

    Plastico del Mausoleo di S. Elena in Roma

    Dopo la morte di Elena la proprietà ad duas lauros fu assegnata alla Chiesa che, con papa Fabiano, 236 – 251, disegnò nuovamente le zone cimiteriali. Un passo significativo del Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro, 314 – 335, rivela l’esistenza di un fundus laurentus definito possessio Augustae Helenae, che si estendeva dalla Porta Sessoriana, oggi Porta Maggiore, fino alla via Latina e, a Sud, fino al Monte Gabus, presso Centocelle.
    Marcellino e Pietro
    Marcellino e Pietro: la più antica notizia su questi due martiri ci è stata tramandata da Damaso, che fu Papa 366 al 384, il quale dichiara di averla appresa in gioventù dallo stesso carnefice, convertitosi poi alla fede cristiana. Siamo al tempo della sanguinosa persecuzione di Diocleziano. Nel 303, il prete Marcellino e l’esorcista Pietro vennero arrestati e condannati alla pena capitale, per il loro zelo apostolico e per essersi rifiutati di

    Catacombe dei Santi Marcellino e PIetro – Roma.

    sacrificare agli dei. Il giudice ordinò che fossero decapitati in un bosco, in modo che le loro tombe rimanessero sconosciute. I due furono condotti al luogo del supplizio e prima di essere uccisi dovettero scavarsi con le proprie mani la fossa in cui sarebbero stati seppelliti. I loro corpi rimasero a lungo ignorati finché una pia matrona di nome Lucilla, venuta a conoscenza del fatto, riuscì a recuperarli e a farli trasferire nel cimitero detto ad duas lauros, al terzo miglio della via Labicana, dove Costantino fece costruire una basilica – di cui nel 1897 fu scoperta la cripta – che fu subito meta di pellegrinaggi. Il carme che papa Damaso aveva composto sul loro sepolcro fu distrutto dai Goti, ma papa Vigilio lo rifece e inserì i nomi dei due martiri nel Canone della Messa. La testimonianza di papa Damaso contribuì certamente a diffondere il culto dei due santi, la cui basilica a Roma, a nord-ovest di San Giovanni in Laterano, diventò sede di una “stazione” nel secondo sabato di quaresima. Il Martirologio Geronimiano li commemora il 2 giugno, data su cui concordano i libri liturgici, Sacramentari, e i martirologi storici.
    Le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro
    Si estendono per una superficie di 18.000 m². Si stima che, nel solo III secolo accolsero più di 15.000 sepolture sotterranee a cui vanno aggiunte alcune

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    migliaia in superficie. Nel 2006, grazie ad una scoperta fortuita, vennero alla luce nuovi ambienti inesplorati, alcuni contenenti affreschi, e una fossa comune con oltre 1.200 corpi di persone, a quanto pare di rango, il cui decesso appare pressoché simultaneo, testimoniato ad esempio dall’uso di medesimi incensi cerimoniali per molti dei corpi, tra i quali sandracca, incenso e ambra, e risalente alla seconda metà del II secolo, inizi del III, forse in occasione di una epidemia di peste, probabilmente la cosiddetta “peste antonina”.
    Si è ipotizzato che questi corpi, collocati in queste stanze ipogee anteriormente all’epoca delle sepolture cristiane, appartenessero a famiglie degli equites singulares. Dopo un’opera di restauro degli ambienti finanziata dalla Repubblica dell’Azerbaigian, dall’aprile 2014 le catacombe sono regolarmente visitabili. Il complesso, segnalato dalle fonti come inter duas lauros dal nome antico della località, comprende la Catacomba di Marcellino e Pietro, la basilica omonima e il Mausoleo di Elena, noto anche con il nome di Tor Pignattara. Si accede alle catacombe dal cortile della

    Catacombe dei santi Marcellino e Pietro – Roma.

    basilica. Il sepolcro dei due Santi, accanto ai quali erano venerati anche Tiburzio, Corgonio, i Santi Quattro Coronati e due gruppi anonimi di martiri, tutte vittime della grande persecuzione di Diocleziano, era inizialmente costituito da due semplici loculi, in seguito arricchiti da monumentali decorazioni marmoree per volontà di papa Damaso, 366 – 384, il quale si tramanda abbia conosciuto le vicende di Marcellino e Pietro direttamente dal loro carnefice.
    Damaso fece costruire la scala d’accesso e un percorso obbligatorio per i pellegrini che si snodava tra sopra e sottoterra. I corpi dei due martiri rimasero nella cripta sotterranea fino al pontificato di Gregorio IV, 826, quando furono trasportati in Francia e di qui in Germania. La grande devozione dei fedeli per questo sito è documentata dai numerosi graffiti nell’absidiola e nelle gallerie che conducono verso le tombe dei martiri; non solo compaiono invocazioni in latino, ma anche in runico, a testimonianza della frequentazione del luogo di culto da parte anche di Celti e Germani.
    Le catacombe, decorate da scene bibliche, sono tra le più grandi di quelle presenti a Roma. Onorio I, 625 – 638, fece costruire una piccola basilica

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    sotterranea absidata per accogliere i fedeli sempre più numerosi, raddoppiò la scala d’ingresso al vano basilicale e consacrò un altare proprio sopra i due loculi; tra il V e il VII secolo fu creato il nuovo santuario dedicato ai Santi Quattro Coronati, collegato al primo nucleo martiriale tramite percorsi a senso unico contrassegnati da lucernari; inoltre, per agevolare il cammino delle schiere di pellegrini, furono sbarrate le gallerie secondarie e i cubicoli e costruite nuove scale. Adriano I infine, ultimo quarto del secolo VIII, provvide all’ultimo allargamento dell’edificio.
    Tra le pitture presenti, merita una segnalazione quella che rappresenta l’Epifania con due Magi.

    Roma, 23 maggio 2019