Il Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese, situato nel cuore del grande parco romano, è il luogo ideale per accogliere questa mostra
antologica di Giacomo Balla, incentrata esclusivamente sul tema della Villa Borghese stessa, tema più volte affrontato dal pittore nel suo primo periodo di permanenza a Roma. La mostra permette, quindi, di conoscere, indagare e studiare il pittore forse meno noto, quello che dipinge prima di FuturBalla, ovvero del Balla futurista.
Giacomo Balla si trasferisce a Roma con la madre Lucia Giannotti nel 1895, allontanandosi dalla sua città natale, Torino. Per il primo anno è ospite dello zio paterno Gaspare Marchionne Balla, residente al Quirinale in quanto Guardiacaccia di Sua Maestà il Re. Di qui va a vivere in via Piemonte 119, entrando in contatto con Alessandro Marcucci, Duilio Cambellotti e Serafino Macchiati. Conosce così Elisa Marcucci, sua futura moglie, che sposa in Campidoglio nel 1904.
I coniugi Balla andranno a vivere nel quartiere Parioli, in un convento situato tra via Parioli, oggi via Paisiello, e via Nicolò Porpora. All’interno del fabbricato, di proprietà dei Sebastiani, grazie all’interessamento del sindaco Nathan, la famiglia Balla dispone di un appartamento con un lungo balcone che dà direttamente sugli spazi verdi di Villa Borghese, più volte ritratto in dipinti anche successivi al periodo futurista.
Sarà proprio dal balcone di questo appartamento che nasceranno una parte cospicua delle opere presentate in mostra, opere che sono indagine sulla natura e sul rapporto natura – città, un tema caro ai pittori italiani degli inizi del Novecento, testimoni della trasformazione che stava subendo il paesaggio urbano. Si può affermare, quindi, che il tema della natura ai confini della città, è per Balla ciò che è per Paul Cézanne la Montagne Sainte-Victoire: materia da indagare, da provare e riprovare, da scarnire fino all’astrazione.
Ma a Roma in questo momento la natura è ancora fortemente presente nell’orizzonte e nella prospettiva della città, e Balla ne fa oggetto della sua indagine, insieme alla luce. Indagine quest’ultima, a tratti quasi ossessiva. Una luce, analizzata e studiata in ogni suo aspetto a testimoniare l’interesse di Balla per la fotografia, interesse che è un interesse d’infanzia mediato dal padre fotografo dilettante.
E’ questo interesse a guidarlo e a fargli incontrare prima il mondo del Divisionismo, ancora a Torino incontrerà Pellizza da Volpedo, e a utilizzare in pittura delle luci dal vivo che sono luci fotografiche e che nella mostra al Museo Billotti sono esemplificate, tra le altre, dalle opere a pastello, una delle tecniche utilizzate all’inizio dal pittore, in cui la luce viene rappresentata da tratti istantanei di colore apparentemente fuori
contesto, ma che sono utili a Balla per mostrare gli effetti della luce e del colore, nell’interazione naturale di un campo aperto. E lì dove viene usata una tecnica più “convenzionale” come la tela e l’olio, Balla non può esimersi dal rendere l’immediatezza della luce colpendo la tela con il retro del pennello, asportando e graffiando la tela. I graffi sono evidenti e chiari in primo piano, ad esempio, nell’opera Villa Borghese dal balcone del 1907.
Non è un caso perciò che nel dipanarsi della mostra insieme all’opera di Balla vengano presentati gli scatti del fotografo Mario Ceppi realizzati negli stessi luoghi dei dipinti in mostra. I sei scatti esposti hanno “lo stesso taglio fotografico delle opere realizzate da Giacomo Balla”, spiega la curatrice della mostra, Elena Gigli. “Siamo andati in giro per Villa Borghese per ritrovare le stesse costruzioni, gli stessi momenti, gli stessi alberi che l’artista ha ritratto”. La ricerca è una ricerca importante perché anche la Villa nel tempo si è trasformata, ma ciò nonostante, è stato possibile riconoscere, all’interno del Museo Pietro Canonica, un albero ritratto nei pastelli di Balla esposti in mostra.
Un altro aspetto che emerge dalla mostra è il rinnovato interesse degli artisti del primo Novecento italiano, e anche di Balla, per il trittico, una modalità compositiva molto in uso in periodo Medievale.
Balla però non ritrae solo ciò che vede dal balcone di casa. La sua indagine sulla natura e la luce lo porta a scendere e passeggiare per i viali della Villa andando a scovare scorci particolari, reperti archeologici e anche pietre che vengono trattate come se fossero i personaggi principali di una storia. Nel dipinto che mostra una delle fontane di Villa Borghese l’acqua che zampilla è resa asportando il colore con energia utilizzando proprio il manico del pennello.
A Roma, di fatto, Balla si muove in un ambito culturale che fa riferimento al socialismo umanitario e al positivismo scientifico ed è anche per questo motivo che l’interesse dell’artista non è solo per il paesaggio urbano, ma anche per la condizione umana, indagata a fondo nel ciclo Dei viventi tra il 1902 e il 1905, di cui anche in mostra troviamo alcuni esempi che includono non solo soggetti del mondo comune, ma anche gli affetti familiari, porti al visitatore con un realismo poetico, e i ritratti
commissionati dal mondo della borghesia romana, a cominciare dal sindaco Nathan. Anche in questi ritratti emerge la ricercatezza delle inquadrature e colpisce la posa dei soggetti che è tipica delle fotografie, ad esempio con la scelta di tagli ravvicinati, o di questa peculiare modalità di utilizzare la luce come nel caso dell’Autoritratto notturno del 1919, in cui la luce colpisce il volto del pittore quasi abbagliandolo e mettendo in risalto gli occhi chiari, che diventano magnetici per chi osserva il dipinto.
Roma, 25 gennaio 2019