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  1. Spezieria di Santa Maria della Scala

    L’antica Spezieria di Santa Maria della Scala, si trova al primo piano del convento dei Carmelitani Scalzi. La tradizione della preparazione di medicamenti da parte dei

    Antica Spezieria – Sala Principale.

    Carmelitani nasce dal fatto che i frati di quest’ordine hanno nella loro regola l’obbligo non solo di coltivare un orto, ma nell’ambito di quest’ultimo di coltivare piante medicinali allo scopo di elaborare medicamenti atti a curare i frati stessi della comunità.
    I Carmelitani hanno acquisito nel tempo una grande competenza non solo nel riconoscimento delle specie vegetali con proprietà medicinali, ma anche una grande abilità nell’isolare principi attivi e capacità nella loro combinazione al fine di preparare nuove ricette a scopo medicinale.
    La piccola Spezieria del convento divenne così via via un vero e proprio laboratorio farmaceutico che nel Seicento fu aperta al pubblico, divenendo la prima farmacia di Roma e una delle farmacie più note in tutta Europa. Essa si guadagnò inoltre l’appellativo di “Farmacia dei Papi”, poiché, a partire da Pio VIII, divenuto papa nel 1829, ricorrevano ai suoi preparati anche principi e cardinali. La farmacia ha funzionato ininterrottamente alla preparazione dei farmaci galenici fino al 1954 e ha venduto farmaci fino al 1978.
    Tra i frati quello che fu maggiormente apprezzato per le sue capacità nel combinare erbe e principi per ottenerne medicamenti fu certamente Fra Basilio della Concezione. Vissuto tra il 1727 e il 1804, fu colui che mise a punto due medicamenti che resero particolarmente famosa la Spezieria: l’Acqua di Melissa, un estratto di droghe che avevano lo scopo di curare l’isterismo e le convulsioni, e l’Acqua Antipestilenziale, che veniva utilizzata per proteggersi dalle malattie contagiose e di cui Fra Basilio non rivelò mai la composizione.

    Pubblicità per l’Acqua di Melissa.

    Fra Basilio è ritenuto anche l’autore del Trattato delli Semplici, un erbario di duecentoquaranta pagine, considerato uno dei più completi testi, giunto fino a noi, in cui sono descritte e illustrate decine di varietà di piante, conservate essiccate attaccate alle pagine del libro stesso. Il Trattato è ancora oggi conservato presso la Spezieria.
    Nel dipinto conservato anch’esso presso la spezieria Fra Basilio è ritratto mentre insegna ad un gruppo di discepoli. La Spezieria, infatti, era completata da una scuola, diretta a frati e laici, nella quale si potevano imparare i segreti delle erbe, loro trattamento e la preparazione dei diversi medicamenti. Dal pontificato di Pio VIII alla Spezieria furono concessi privilegi, purché, come stabilì Gregorio XVI, i “capi – speziali si munissero dell’alta matricola, e i giovani e i subalterni della bassa”.
    Un altro dei medicamenti famosi era la così detta Acqua della Scala, una lavanda antinevralgica usata per curare le affezioni delle prime vie respiratorie e i dolori reumatici.
    Molti dei vasi, delle bottiglie e dei contenitori originali contengono ancora le preparazioni che si affollavano sugli scaffali della farmacia. Di particolare interesse è la vasca di alabastro che contiene ancora la theriaca, un farmaco elaborato da Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, sulla base di una ricetta divenuta bottino di guerra di Pompeo quando questi sconfisse Mitridate.
    La leggenda narra infatti che Mitridate era ossessionato dalla paura di morire in seguito ai morsi della vipera e per questo chiese che venisse preparato un antidoto al veleno di questo animale. Il medicamento fu così preparato dai sacerdoti del Tempio di Apollo a Colofone nel regno di Pergamo. La sua composizione fu descritta in un poemetto didascalico in esametri composto da Nicandro nel 130 avanti Cristo e probabilmente fu proprio questo poemetto ad entrare nel bottino di guerra di Pompeo. La leggenda narra pure che Mitridate, temendo di essere portato a Roma quale schiavo, prima cercò di avvelenarsi, ma essendo divenuto immune al veleno dovette subire l’onta di morire per mano dei suoi nemici.

    Avventori nella Spezieria.

    La morte di Mitridate fu descritta da Cassio Dione nella sua “Storia Romana”: “Mitridate, dopo aver tentato di togliere di mezzo assieme a lui, col veleno, prima le sue mogli e poi i figli rimasti, aveva mandato giù il contenuto della fialetta; però, né in quei termini né per la spada, era stato in grado di perire con le sue stesse mani. Il veleno, infatti, era sì letale, ma non prevalse su di lui (dal momento che egli aveva plasmato la sua costituzione per resistergli, prendendo ogni giorno l’antidoto ad esso in grandi dosi); e il colpo di spada non fu portato con forza, se si tiene conto della debolezza della sua mano, causata dall’età e dalle attuali sventure nonché risultato del veleno, qualsiasi cosa esso fosse. Quando, perciò, fallì nel tentativo di togliersi la vita con le sue sole forze, ed essa sembrò attardarsi oltre il momento giusto, quelli che lui aveva mandato contro suo figlio gli si lanciarono addosso e ne affrettarono il trapasso con le lame delle spade e le punte delle lance. Tuttavia Mitridate, che aveva sperimentato nella vita le cose più varie e notevoli, non ebbe comunque una fine ordinaria a quella sua esistenza. Poiché desiderava morire, anche se non di sua sponte; e benché fosse smanioso di suicidarsi, non poté riuscirvi; ma in parte per mezzo del veleno ed in parte per mezzo della spada, egli si suicidò e contemporaneamente fu ammazzato dai suoi nemici.”

    Mitridate VI di Ponto.

    La theriaca messa a punto da Andromaco il Vecchio aveva però una formulazione nuova e faceva uso di cinquantasette sostanze diverse tra cui la carne della vipera, considerata un antidoto infallibile proprio contro il veleno della vipera, poiché si è a lungo pensato che, nelle carni di un animale velenoso, dovesse essere contenuto pure l’antidoto a quel veleno.
    La ricetta della theriaca è andata nel tempo modificandosi tanto che ne esistevano diverse molteplici versioni; queste l’avevano trasformata da un antidoto al veleno di vipera a quello di medicamento in grado di combattere diverse malattie. Ancora tra il XVI e il XVIII secolo le theriache basavano la loro composizione sulla carne essiccata di vipera, considerata elemento base imprescindibile a cui venivano aggiunte una componente amara fornita da erbe come il tarassaco, il timo, l’incenso, l’angelica, una componente sedativa costituita da valeriana, oppio a altre erbe, una componente astringente, una addolcente costituita da miele attico e liquirizia, elementi fetidi, elementi acri, elementi carminativi e anche polvere di mummia e vino di Spagna.
    Nelle ricette che si erano tramandate nel corso dei secoli venia specificato che carne doveva essere quella di una vipera dei Colli Euganei, femmina, non gravida, catturata qualche settimana dopo il risveglio dal letargo invernale. La carne essiccata doveva essere preparata dopo che il corpo dell’animale era stato privato della testa, della coda, dei visceri, e previa bollitura in acqua di fonte salata e aromatizzata con aneto. A questo punto la carne poteva essere triturata, impastata con pane secco, ridotta in palline della dimensione di una noce e messa a essiccare all’ombra.
    Questo preparato non era però subito efficace; esso doveva maturare per almeno sei anni, e veniva considerato ancora efficace per i trentasei anni successivi a quello della sua maturazione.
    La theriaca divenne un rimedio così richiesto che in alcuni momenti la numerosità della popolazione della vipera, in particolar modo quella dei Colli Euganei, fu messa a rischio. In casi di penuria le vipere erano importate dall’Egitto e trasportate a bordo di navi appositamente allestite dette “viperaie”.

    Bottiglie sugli scaffali della Spezieria.

    La grande richiesta era dovuta proprio alla molteplicità di ambiti nel quale il medicamento veniva ritenuto efficace: essa era considerata rimedio d’elezione in caso di numerosissime malattie che potevano andare dall’emicrania all’insonnia, alle coliche addominali alla tosse, dalle malattie respiratorie ai morsi di vipera, ne facevano grande uso i viperai, ovvero i raccoglitori di vipere vive, estinti verso la metà del Novecento, ai morsi dei cani.
    Il dosaggio e la somministrazione della theriaca variavano in funzione della malattia, dell’età e del grado di debilitazione del paziente. Così essa poteva essere disciolta in acqua o nel vino, mescolata al miele o avvolta in foglia d’oro, ma bisognava aver purgato il corpo se no il rimedio sarebbe stato peggiore del male. Il periodo migliore per assumere la theriaca era l’inverno. Da evitare assolutamente l’estate.
    In età moderna ebbero particolarmente successo la theriaca veneziana e quella bolognese. La prima, consigliata per i disturbi gastrointestinali, è ancora preparata, e può essere acquistata ad esempio presso la farmacia della basilica di San Paolo Fuori le Mura, a partire da erbe provenienti dai quattro continenti quali aloe, mirra, zafferano, assenzio, cassia, manna, rabarbaro, ecc…, che vengono fatte macerare a lungo in alcool e acqua senza l’aggiunta di altri ingredienti e coloranti. Si consiglia di assumerla a fine pasto, anche diluita in acqua calda.
    La sala principale della Spezieria è un ambiente rettangolare il cui arredamento è costituito da scaffalature e armadi originali del Settecento, il pavimento è decorato con maioliche policrome originali e il soffitto è decorato ad affresco e con ricchi tessuti. Sulle ante degli armadi sono dipinti i ritratti dei medici più famosi

    Uno degli armadi dipinti.

    dell’antichità come Ippocrate, Galeno, Avicenna e lo stesso Andromaco. All’interno degli armadi sono riprodotte le effigi di Vittorio Emauele I e Maria Teresa d’Austria che visitarono la Spezieria nel 1802. Non sono però gli unici ritratti presenti nei locali della farmacia, poiché moltissimi furono i visitatori noti tra cui ancora Umberto I e Elena la duchessa d’Aosta.
    In una sala dietro il bancone di vendita si custodivano le così dette sostanze elementari in scatole in legno di sandalo utilizzate per custodire le sostanze elementari. Il legno di sandalo era utilizzato perché non essendo attaccato dai tarli preservava le sostanze che vi erano conservate.
    Alle spalle del salone principale si aprono i locali destinati alla vera e propria preparazione dei diversi medicamenti e che ospitano le centrifughe, le imbottigliatrici, le presse per la spremitura, i torchi e i setacci necessari. Inoltre tra i diversi macchinari originali si può vedere una sterilizzatrice e una pilloliera che permetteva di trasformare gli impasti in pillole.
    Un altro locale è una vera è propria distilleria dotata di quanto necessario per preparare i distillati medicamentosi e i liquori, alcuni dei quali ancora oggi preparati e venduti nella farmacia.

    Roma, 7 ottobre 2018.

  2. Racconto

    Viola

    di Macariolita

    Stazione Centrale – Milano.

    Con grande piacere pubblichiamo un secondo breve racconto della nostra amica Macariolita.

    La prima impressione era stata l’odore di metallo, gomma fusa e fumo attaccato alle mani e ai vestiti, forse anche alle pareti del naso. Lo aveva sentito entrare dal finestrino aperto poco prima che il treno imboccasse l’ultimo scambio prima che apparisse la pensilina di Milano Centrale.
    Le arcate immense della stazione amplificavano i rumori, soprattutto quelli dei freni delle locomotive, e ad ogni fischio l’odore acquistava intensità. Claudio immaginò una nuvola aromatica trattenuta dalla copertura a vetri, immensa serra ferroviaria, e contenuta a sua volta dalla cappa di smog della città. Si catapultò giù dalla scaletta ripida incespicando sui propri piedi, impacciato e contento.

    continua…

  3. Area archeologica dei Fori Imperiali

    Chi almeno una volta nella vita non ha espresso il desiderio di poter passeggiare tra le imponenti vestigia dei gloriosi Fori Imperiali? Dal 26 novembre 2016, dopo

    Roma Moderna da Campo Vaccino – James Turner – 1839.

    vent’anni di scavi, è finalmente possibile godere di un percorso affascinante e carico di storia. Questo si sviluppa in senso topografico e non cronologico: toccherà una parte del Foro di Traiano, passerà sotto via dei Fori Imperiali percorrendo le cantine delle antiche abitazioni del Quartiere Alessandrino, attraverserà il Foro di Cesare e terminerà in prossimità del Foro di Nerva.
    L’itinerario prende il via ai piedi dell’immensa colonna che Traiano volle far edificare nel cuore del suo nuovo e imponente Foro, opera del suo architetto di fiducia, Apollodoro di Damasco, agli inizi del II secolo dopo Cristo. Sulla colonna si dipana un lungo e particolareggiato racconto per immagini: le importanti vittorie dell’imperatore ottenute contro i Daci. I rilievi corrono lungo tutto il fusto della colonna alta quasi trenta metri, senza contare la base, segnando con la sua estremità superiore l’altezza della sella collinare che univa il Quirinale al Campidoglio e che fu sbancata per fare spazio all’immensa spianata necessaria per la costruzione del Foro. Nel suo nuovo centro politico e amministrativo Traiano volle far erigere, oltre alla Colonna, anche due Biblioteche, una Basilica, una serie di imponenti portici e l’edificio detto dei Mercati di Traiano, un vero e proprio centro polifunzionale dell’antichità.

    I Fori Imperiali.

    Attraversando l’area ci s’imbatte nella grandezza, nell’imponenza e nel lusso dell’opera traianea. Un esempio sono le colonne della Basilica Ulpia, edificata tra il 106 e il 113, data d’inaugurazione del Foro di Traiano, che era la più grande basilica di Roma, intitolata alla famiglia dell’imperatore, di cui oggi è visibile solo il tronco centrale, con l’abside occidentale, che arriverebbe fino alle pendici del Vittoriano, nascosto sotto via dei Fori Imperiali, e quella orientale, che arriverebbe sotto la scalinata di Magnanapoli e degli edifici adiacenti.
    Dall’epoca imperiale si passa poi a quella medievale grazie alla presenza di abitazioni edificate sopra le imponenti strutture di età romana. È questo il momento in cui inizia a sorgere quello che in epoca rinascimentale sarà il quartiere Alessandrino: la prima sistemazione urbanistica moderna realizzata attorno al 1570 per opera di Michele Bonelli, nipote di Pio V Ghisleri, detto l’Alessandrino poiché nato a Bosco Marengo, vicino ad Alessandria. Questi provvide a bonificare l’area e a renderla edificabile, tracciandovi la via detta, Alessandrina, sempre dal suo appellativo. La strada tagliava l’antico Argiletum raggiungendo il Tempio della Pace, al di là dell’odierna via Cavour. Il quartiere fu poi completamente smantellato negli anni Trenta per far posto a via dei Fori Imperiali. Ma non tutto andò perduto: restano, al di sotto della via, le cantine e altri locali di fondazione, attraverso i quali è possibile raggiungere il Foro di Cesare. Questi angusti ambienti sono stati utilizzati come depositi e magazzini dagli archeologi che nel corso degli ultimi anni hanno scavato l’intera area, ma qua e là sono ancora visibili anche le scale che collegavano le cantine con le abitazioni delle palazzine dell’antico quartiere.

    I Mercati di Traiano e la Torre delle Milizie.

    Al termine di questo percorso, che passa sotto la Via dei Fori Imperiali, ci si ritrova a pochi metri di distanza dalle imponenti colonne del celebre Tempio di Venere Genitrice, edificato al centro del Foro per volere di Giulio Cesare. La necessità di rinnovare le strutture amministrative e giudiziarie più antiche e di adeguarle alla nuova dimensione – fisica e politica – della città di Roma fu il pretesto che Giulio Cesare utilizzò per portare a termine un’innovativa e brillante iniziativa di autocelebrazione. Così, in aperta competizione con il suo rivale Gneo Pompeo, che nel 55 avanti Cristo aveva inaugurato il suo splendido teatro in Campo Marzio, nel 54 avanti Cristo Cesare incaricò un gruppo di stretti collaboratori di progettare un nuovo complesso monumentale, la cui costruzione fu giustificata come un necessario ampliamento del Foro Romano. L’area scelta per costruire il nuovo foro era fittamente abitata: dopo aver fatto demolire gli edifici espropriati, Giulio Cesare fece eseguire dei consistenti lavori di livellamento dell’intera area allo scopo di ottenere i piani destinati a ospitare i corpi di fabbrica del nuovo impianto. Il Foro di Cesare sarà preso a modello dai suoi successori.
    Il Foro di Augusto nacque per onorare la memoria di Giulio Cesare: nel 42 avanti Cristo, alla vigilia della battaglia di Filippi contro la coalizione dei cesaricidi, il giovane Gaio Ottaviano fece voto solenne di edificare in caso di vittoria, un tempio a Marte Vendicatore, Ultore. Ottaviano era nipote di Giulio Cesare, sua madre, Azia, era figlia di Giulia, sorella di Cesare, e dal 45 avanti Cristo suo figlio adottivo ed

    Il Quartiere Alessandrino. Si ringrazia Romasparita.

    erede. Vinta la battaglia e vendicato così Cesare, al proprio ritorno a Roma Ottaviano sciolse il voto e avviò i lavori per la costruzione del tempio, che egli volle inserire in un nuovo Foro, replicando così il modello architettonico creato pochi anni prima proprio da Cesare quando fece realizzare il Foro a lui intitolato. Il pretesto per la costruzione di un altro Foro fu dato dalla crescita vertiginosa del numero dei processi, per accogliere i quali erano diventati insufficienti il Foro Romano e quello di Cesare, pure inaugurato da poco nel 46 avanti Cristo.
    Nel 70 – 75 dopo Cristo, a conclusione delle guerre civili per la successione all’Impero e della sanguinosa repressione della rivolta giudaica, l’imperatore Vespasiano, 69 – 79 dopo Cristo, fece costruire un santuario dedicato alla Pace, detto in antico Tempio della Pace, Templum Pacis, o Foro della Pace, costituito da una grande piazza con portici. Al centro del portico meridionale era l’aula di culto, affiancata da due aule per lato. Il complesso entrò a far parte dei cinque Fori Imperiali, il terzo in ordine cronologico dopo i Fori di Cesare, 46 avanti Cristo, e di Augusto, 2 avanti Cristo, e prima di quelli di Nerva, 97 dopo Cristo, e di Traiano, 112 – 133 dopo Cristo.
    Nello spazio compreso tra l’estremità orientale del foro di Traiano e quella settentrionale del Foro di Augusto si trova uno svettante edificio al quale fu sovrapposta, nella seconda metà del XV secolo, l’elegante Loggia dei Cavalieri di Malta, insediatisi nell’area dal XII secolo. La struttura è convenzionalmente denominata, dagli studiosi, “Terrazza Domizianea” con riferimento alle sue caratteristiche edilizie e alla prevalenza di bolli laterizi risalenti all’epoca di Domiziano rinvenuti nelle sue murature.

    I Fori Imperiali – Ippolito Caffi – 1841.

    Essa, in realtà, racchiude al suo interno diverse fasi di costruzione. La più antica, costituita da un edificio porticato con arcate su pilastri in opera quadrata di travertino, di età tardo-repubblicana, identificata con l’abitazione del console del 14 dopo Cristo, Sesto Pompeo è attualmente occupata dalla cappella di culto dei Cavalieri di Malta, dedicata a San Giovanni Battista. A questo edificio si addossarono, nella seconda metà del I secolo avanti Cristo, l’aula del Colosso e la grande abside settentrionale del portico Nord del Foro di Augusto.
    Gli studiosi ritengono che il grande edificio potesse far parte di un progetto domizianeo di sistemazione urbanistica dell’intera area, che non fu mai portato a termine poiché contro la sua facciata furono addossate le strutture della testata del portico orientale del Foro di Traiano le cui impronte scalpellate sono ancora oggi ben visibili.
    L’area attribuita al Foro di Nerva era occupata da edifici di carattere prevalentemente commerciale e dagli ingombranti perimetri delle due gigantesche absidi del lato meridionale del Foro di Augusto. Nel suo sottosuolo correva la Cloaca Maxima,

    Terrazza Domizianea.

    monumentale condotto fognario che la tradizione fa risalire all’epoca dei re, più esattamente al VI secolo avanti Cristo. Essa proveniva dalla Suburra, attraversava il Foro Romano e il Velabro e sboccava nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina. Sulla base dei dati degli scavi recenti e delle notizie fornite dagli autori classici è possibile stabilire che la trasformazione di questo tratto dell’Argiletum in Foro avvenne a opera dell’imperatore Domiziano, 81 – 96 dopo Cristo e che forse già negli anni 85 – 86 il nuovo complesso doveva avere assunto una sua fisionomia ben precisa. Tuttavia Domiziano fu assassinato nel 96 e così non poté inaugurare il suo nuovo Foro, cosa che fu invece fatta nell’anno 97 dal suo successore Nerva, 96 – 98 dopo Cristo, a nome del quale il Foro è infatti tuttora conosciuto.

    Roma, 8 agosto 2018.

  4. Villa Borghese. Da privato a pubblico: la rivoluzione del giardino nella Roma neoclassica

    Il Giardino del Lago a Villa Borghese, il Pincio, Piazza del Popolo: in uno spazio tutto sommato ridotto, nel giro di una quarantina d’anni – dalla fine del Settecento ai primi decenni del secolo successivo – si assiste a un cambiamento del gusto e del modo di vivere dei romani, che forse qui più che altrove emerge chiaramente.

    Il Giardino del Lago di Villa Borghese.

    È qui che il giardino all’italiana lascerà il passo ai primi tentativi di creazione del giardino all’inglese. E il periodo napoleonico, essenziale per questo cambiamento, segnerà l’ulteriore passaggio dal giardino privato, a tratti concesso come pubblico, al giardino realmente pubblico. È ancora qui che alla fine del Settecento vediamo il neo-classicismo muovere i primi passi, per poi crescere e maturare divenendo sempre più sobrio ed elegante nel corso dell’Ottocento.
    L’itinerario che proponiamo parte dai propilei neoclassici, ispirati ai modelli greci, realizzati da Luigi Canina e inaugurati nel 1829, che segnano imponenti l’entrata a Villa Borghese da Piazzale Flaminio, per poi giungere al Giardino del Lago. Il Giardino del Lago, però, è una creazione di fine Settecento, quando Marcantonio IV Borghese, arrivato in Villa dopo più di cento anni dalla sua creazione, decide di apportare significativi cambiamenti al giardino barocco per trasformarlo in qualcosa di più attuale. In accordo con le teorie illuministiche che esercitarono un notevole influsso sul modo di concepire la natura e l’arte dei giardini, incaricò Antonio Asprucci e suo figlio Mario di ridefinire il cosiddetto Terzo Recinto – un’area di 40 ettari, la più estesa della Villa – abbellendolo con templi, statue, fontane ed edifici di vario genere. A tal fine fu richiesta anche la collaborazione di Jacob More, pittore paesaggista che avrebbe dovuto disegnare la scenografia del Giardino. Ma le cose non andarono così e il contributo maggiore venne da un giardiniere autodidatta, Francesco Pettini, che forse non sapeva nulla di pittura e scenografia, ma sapeva molto di piante e giardini. Fu così che nacque il Giardino del Lago con il Tempio d’Esculapio, in stile ionico, con iscrizione dedicatoria in greco al dio della medicina Esculapio Salvatore e con l’innesto di una quarantina di tipi di piante, alcune delle quali, per quel periodo storico, potevano essere considerate delle vere e proprie rarità esotiche.

    I Giardini del Pincio.

    Dal Giardino del Lago, attraversando un ponte creato solo nel 1908, si arriva al Giardino del Pincio, quella parte del colle all’interno delle Mura Aureliane che si estende dalla terrazza fino a Villa Medici. Questo è, a tutti gli effetti, il primo giardino veramente pubblico di Roma, fortemente voluto da Napoleone Bonaparte, a cui è dedicato l’ampio piazzale che si affaccia su uno dei più suggestivi panorami della città. Per la sua realizzazione fu scelto l’architetto Giuseppe Valadier, che iniziò a lavorare all’allestimento nel 1816, contemporaneamente alla sistemazione della piazza del Popolo. La fine del governo napoleonico non arrestò il progetto, che fu  completato al ritorno di Pio VII a Roma e inaugurato nel 1824, quando il colle venne unito alla piazza dai due splendidi tornanti che ancora oggi si possono percorrere: una soluzione tecnica che costò al Valadier lunghi anni di studio. Da quel momento, e almeno fino alla prima metà del Novecento, il Pincio è stato il vero e proprio parco cittadino, la promenade urbana, il  giardino dove i romani hanno potuto assistere a innumerevoli eventi e spettacoli.
    Due maniere completamente nuove e diverse di vivere il verde e lo scopriremo attraverso le voci, i ricordi, le musiche e le emozioni di coloro che questi viali affollavano e ci si incontravano.

    Roma, 10 ottobre 2018