Via Statilia ricorda l’antica gens romana che in questa zona ebbe molti possedimenti nella zona Est dell’Esquilino. Alcuni suoi membri erano seguaci di una setta neopitagorica dedita ai culti misterici per la cui celebrazione avevano anche costruito una basilica ipogea, ritrovata nel 1917 al di sotto di Porta Maggiore.
L’attribuzione dell’edificio sotterraneo alla gens Statilia è un’idea consolidata. Per alcuni archeologi si tratterebbe della tomba di Tito Statilio Tauro, luogotenente di Augusto e console nell’11 dopo Cristo; per lo storico francese Jérôme Ernest Joseph
Carcopino, il monumento apparteneva invece ad un omonimo membro della gens Statilia, il quale – citato in giudizio da Agrippina, madre di Nerone, con l’accusa di superstizione e pratiche magiche – nel 53 dopo Cristo preferì darsi la morte. I culti neopitagorici erano destinati a pochi “eletti” e spesso venivano confusi con riti stregoneschi. All’importante gens apparteneva anche Statilia Messalina, moglie di Nerone.
Un anno prima della scoperta della basilica neoplatonica, furono rinvenuti, tra via di Santa Croce in Gerusalemme e via Statilia alcuni Sepolcri Repubblicani, risalenti al 100 avanti Cristo circa e interrati nel secolo successivo.
Via Statilia ricalca in parte l’antica Via Coelimontana in parallelo all’Acquedotto Neroniano, fatto costruire nel 52 dopo Cristo, che diramandosi dall’Acquedotto Claudio nella vicinissima Porta Maggiore e, piegando verso sud all’interno di Villa Wolkonsky, sul terrapieno sovrastante i sepolcri, e proseguendo per via Domenico Fontana e per Via di Santo Stefano Rotondo e inglobando l’Arco di Dolabella, portava l’acqua nella zona della Domus Aurea andando ad alimentare un grande ninfeo nei pressi del Tempio del Divo Claudio, Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. L’Acquedotto Neroniano fu poi prolungato da Domiziano per portare acqua alla dimora imperiale del Palatino.
All’atto della scoperta, la zona dei Sepolcri era – ed è tuttora – sormontata da una
collina, su cui si trova la già citata Villa Wolkonsky, oggi sede dell’Ambasciatore Britannico, che ricopriva totalmente il complesso archeologico. Poichè la zona della Villa ha uno status di extraterritorialità, non è stato possibile proseguire gli scavi che forzatamente terminano nei contrafforti del poderoso muro di cinta. All’interno della Villa Wolkowsky corrono ben trentasei arcate dell’acquedotto Neroniano e tutta l’area ha un’estensione di undici ettari e, all’interno sono stati trovati molti resti archeologici esposti ora in due serre presso l’ingresso della villa.
Tornando ai Sepolcri Repubblicani tra via Statilia e via di Santa Croce in Gerusalemme, il più antico è probabilmente quello che mostra la facciata costruita in blocchi di tufo, nella quale si apre una porta centrale rettangolare, rinforzata con un restauro moderno in mattoni; questa è fiancheggiata da due scudi rotondi, ricavati dagli stessi blocchi della facciata. La camera funeraria interna è piccolissima, tagliata in parte nella roccia e ricoperta con una volta irregolare in opera cementizia. L’iscrizione ricorda che proprietari ne erano Publius Quinctius, liberto di Tito e libraio, la moglie Quinctia e la concubina Quinctia Agathea e che il sepolcro non sarebbe dovuto passare agli eredi, “Sepulcr(um) heredes ne sequatur“. La mancanza del cognome e l’aspetto ancora piuttosto antico del monumento permettono di datarlo intorno al 100 avanti Cristo, o poco prima.
Proprio i legami intercorsi tra questi personaggi, deducibili sia dall’onomastica sia dalla qualifica di uxor, moglie legittima, e di concubina, convivente, quest’ultima aggiunta in un secondo momento, permettono di ricostruire in via ipotetica la storia di questo nucleo familiare. Il rapporto tra Publius Quinctius e Quinctia nacque probabilmente come coabitazione senza rilievo giuridico tra due schiavi alle dipendenze dello stesso padrone: Titus Quinctius, e fu trasformato in nozze legittime quando la coppia acquisì con lo stato di liberti la capacità di contrarre un matrimonio legalmente riconosciuto. Solo allora Publius Quinctius liberò la schiava Agathea, insieme alla quale lui e la moglie costruirono il sepolcro, commissionando ad un’officina lapidaria l’iscrizione che sanciva il loro diritto alla proprietà. Dopo la morte di Quinctia, Publius Quinctius iniziò a vivere con Agathea in concubinato, una forma di convivenza stabile, ma giuridicamente illegittima, che differiva dal matrimonio perché mancava dell’affectio maritalis, ovvero la reciproca volontà delle parti di vivere come marito e moglie per la durata dell’intera esistenza. Nonostante questa premessa, la lunga durata dell’unione dei due liberti è provata dall’iscrizione sulla facciata in cui la qualifica di concubina fu aggiunta in coda all’onomastica della donna.
Il sepolcro seguente viene denominato “Sepolcro Gemino”, ossia doppio, in quanto è costituito da due vani, con celle ed ingressi distinti, ma con il prospetto e la parete divisoria in comune. La facciata è decorata con due gruppi di busti raffiguranti 5 defunti, una donna e due uomini a sinistra, due donne a destra, liberti delle famiglie Clodia, Marcia ed Annia. Il fatto che l’iscrizione si presenti alquanto rimaneggiata, con caratteri in parte erasi e che riporti i nomi di 6 persone, fa ritenere che non sia quella primitiva: a parte il nome di Anneo Quincione, gli altri quattro furono probabilmente aggiunti in un secondo momento. La presenza del cognome fa propendere per una data successiva rispetto al sepolcro precedente, probabilmente intorno all’inizio del I secolo avanti Cristo Più o meno contemporaneo segue un colombario, del quale rimangono scarse tracce, e poi un monumento ad ara, ampliato in un secondo momento in opera reticolata e che l’iscrizione assegna a due “Auli Caesonii“, probabilmente due fratelli, e ad una Telgennia. L’intero complesso di tombe risulta essere molto importante perché permette di seguire da vicino il passaggio dal tipo di tomba a camera, la più antica, quella di Publius Quinctius, al monumento isolato, il più tardo, quello dei Caesonii, passaggio che avviene appunto tra la fine del II e gli inizi del I secolo avanti Cristo. Immediatamente di fronte ai sepolcri è l’ingresso a una piccola area sotterranea in cui è possibile vedere i resti di due antiche condutture d’acqua, già in origine sotterranee, costituite da blocchi di tufo scavati al centro e incastrati l’uno nell’altro.
Roma, 25 novembre 2018.