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  1. Spezieria di Santa Maria della Scala

    L’antica Spezieria di Santa Maria della Scala, si trova al primo piano del convento dei Carmelitani Scalzi. La tradizione della preparazione di medicamenti da parte dei

    Antica Spezieria – Sala Principale.

    Carmelitani nasce dal fatto che i frati di quest’ordine hanno nella loro regola l’obbligo non solo di coltivare un orto, ma nell’ambito di quest’ultimo di coltivare piante medicinali allo scopo di elaborare medicamenti atti a curare i frati stessi della comunità.
    I Carmelitani hanno acquisito nel tempo una grande competenza non solo nel riconoscimento delle specie vegetali con proprietà medicinali, ma anche una grande abilità nell’isolare principi attivi e capacità nella loro combinazione al fine di preparare nuove ricette a scopo medicinale.
    La piccola Spezieria del convento divenne così via via un vero e proprio laboratorio farmaceutico che nel Seicento fu aperta al pubblico, divenendo la prima farmacia di Roma e una delle farmacie più note in tutta Europa. Essa si guadagnò inoltre l’appellativo di “Farmacia dei Papi”, poiché, a partire da Pio VIII, divenuto papa nel 1829, ricorrevano ai suoi preparati anche principi e cardinali. La farmacia ha funzionato ininterrottamente alla preparazione dei farmaci galenici fino al 1954 e ha venduto farmaci fino al 1978.
    Tra i frati quello che fu maggiormente apprezzato per le sue capacità nel combinare erbe e principi per ottenerne medicamenti fu certamente Fra Basilio della Concezione. Vissuto tra il 1727 e il 1804, fu colui che mise a punto due medicamenti che resero particolarmente famosa la Spezieria: l’Acqua di Melissa, un estratto di droghe che avevano lo scopo di curare l’isterismo e le convulsioni, e l’Acqua Antipestilenziale, che veniva utilizzata per proteggersi dalle malattie contagiose e di cui Fra Basilio non rivelò mai la composizione.

    Pubblicità per l’Acqua di Melissa.

    Fra Basilio è ritenuto anche l’autore del Trattato delli Semplici, un erbario di duecentoquaranta pagine, considerato uno dei più completi testi, giunto fino a noi, in cui sono descritte e illustrate decine di varietà di piante, conservate essiccate attaccate alle pagine del libro stesso. Il Trattato è ancora oggi conservato presso la Spezieria.
    Nel dipinto conservato anch’esso presso la spezieria Fra Basilio è ritratto mentre insegna ad un gruppo di discepoli. La Spezieria, infatti, era completata da una scuola, diretta a frati e laici, nella quale si potevano imparare i segreti delle erbe, loro trattamento e la preparazione dei diversi medicamenti. Dal pontificato di Pio VIII alla Spezieria furono concessi privilegi, purché, come stabilì Gregorio XVI, i “capi – speziali si munissero dell’alta matricola, e i giovani e i subalterni della bassa”.
    Un altro dei medicamenti famosi era la così detta Acqua della Scala, una lavanda antinevralgica usata per curare le affezioni delle prime vie respiratorie e i dolori reumatici.
    Molti dei vasi, delle bottiglie e dei contenitori originali contengono ancora le preparazioni che si affollavano sugli scaffali della farmacia. Di particolare interesse è la vasca di alabastro che contiene ancora la theriaca, un farmaco elaborato da Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, sulla base di una ricetta divenuta bottino di guerra di Pompeo quando questi sconfisse Mitridate.
    La leggenda narra infatti che Mitridate era ossessionato dalla paura di morire in seguito ai morsi della vipera e per questo chiese che venisse preparato un antidoto al veleno di questo animale. Il medicamento fu così preparato dai sacerdoti del Tempio di Apollo a Colofone nel regno di Pergamo. La sua composizione fu descritta in un poemetto didascalico in esametri composto da Nicandro nel 130 avanti Cristo e probabilmente fu proprio questo poemetto ad entrare nel bottino di guerra di Pompeo. La leggenda narra pure che Mitridate, temendo di essere portato a Roma quale schiavo, prima cercò di avvelenarsi, ma essendo divenuto immune al veleno dovette subire l’onta di morire per mano dei suoi nemici.

    Avventori nella Spezieria.

    La morte di Mitridate fu descritta da Cassio Dione nella sua “Storia Romana”: “Mitridate, dopo aver tentato di togliere di mezzo assieme a lui, col veleno, prima le sue mogli e poi i figli rimasti, aveva mandato giù il contenuto della fialetta; però, né in quei termini né per la spada, era stato in grado di perire con le sue stesse mani. Il veleno, infatti, era sì letale, ma non prevalse su di lui (dal momento che egli aveva plasmato la sua costituzione per resistergli, prendendo ogni giorno l’antidoto ad esso in grandi dosi); e il colpo di spada non fu portato con forza, se si tiene conto della debolezza della sua mano, causata dall’età e dalle attuali sventure nonché risultato del veleno, qualsiasi cosa esso fosse. Quando, perciò, fallì nel tentativo di togliersi la vita con le sue sole forze, ed essa sembrò attardarsi oltre il momento giusto, quelli che lui aveva mandato contro suo figlio gli si lanciarono addosso e ne affrettarono il trapasso con le lame delle spade e le punte delle lance. Tuttavia Mitridate, che aveva sperimentato nella vita le cose più varie e notevoli, non ebbe comunque una fine ordinaria a quella sua esistenza. Poiché desiderava morire, anche se non di sua sponte; e benché fosse smanioso di suicidarsi, non poté riuscirvi; ma in parte per mezzo del veleno ed in parte per mezzo della spada, egli si suicidò e contemporaneamente fu ammazzato dai suoi nemici.”

    Mitridate VI di Ponto.

    La theriaca messa a punto da Andromaco il Vecchio aveva però una formulazione nuova e faceva uso di cinquantasette sostanze diverse tra cui la carne della vipera, considerata un antidoto infallibile proprio contro il veleno della vipera, poiché si è a lungo pensato che, nelle carni di un animale velenoso, dovesse essere contenuto pure l’antidoto a quel veleno.
    La ricetta della theriaca è andata nel tempo modificandosi tanto che ne esistevano diverse molteplici versioni; queste l’avevano trasformata da un antidoto al veleno di vipera a quello di medicamento in grado di combattere diverse malattie. Ancora tra il XVI e il XVIII secolo le theriache basavano la loro composizione sulla carne essiccata di vipera, considerata elemento base imprescindibile a cui venivano aggiunte una componente amara fornita da erbe come il tarassaco, il timo, l’incenso, l’angelica, una componente sedativa costituita da valeriana, oppio a altre erbe, una componente astringente, una addolcente costituita da miele attico e liquirizia, elementi fetidi, elementi acri, elementi carminativi e anche polvere di mummia e vino di Spagna.
    Nelle ricette che si erano tramandate nel corso dei secoli venia specificato che carne doveva essere quella di una vipera dei Colli Euganei, femmina, non gravida, catturata qualche settimana dopo il risveglio dal letargo invernale. La carne essiccata doveva essere preparata dopo che il corpo dell’animale era stato privato della testa, della coda, dei visceri, e previa bollitura in acqua di fonte salata e aromatizzata con aneto. A questo punto la carne poteva essere triturata, impastata con pane secco, ridotta in palline della dimensione di una noce e messa a essiccare all’ombra.
    Questo preparato non era però subito efficace; esso doveva maturare per almeno sei anni, e veniva considerato ancora efficace per i trentasei anni successivi a quello della sua maturazione.
    La theriaca divenne un rimedio così richiesto che in alcuni momenti la numerosità della popolazione della vipera, in particolar modo quella dei Colli Euganei, fu messa a rischio. In casi di penuria le vipere erano importate dall’Egitto e trasportate a bordo di navi appositamente allestite dette “viperaie”.

    Bottiglie sugli scaffali della Spezieria.

    La grande richiesta era dovuta proprio alla molteplicità di ambiti nel quale il medicamento veniva ritenuto efficace: essa era considerata rimedio d’elezione in caso di numerosissime malattie che potevano andare dall’emicrania all’insonnia, alle coliche addominali alla tosse, dalle malattie respiratorie ai morsi di vipera, ne facevano grande uso i viperai, ovvero i raccoglitori di vipere vive, estinti verso la metà del Novecento, ai morsi dei cani.
    Il dosaggio e la somministrazione della theriaca variavano in funzione della malattia, dell’età e del grado di debilitazione del paziente. Così essa poteva essere disciolta in acqua o nel vino, mescolata al miele o avvolta in foglia d’oro, ma bisognava aver purgato il corpo se no il rimedio sarebbe stato peggiore del male. Il periodo migliore per assumere la theriaca era l’inverno. Da evitare assolutamente l’estate.
    In età moderna ebbero particolarmente successo la theriaca veneziana e quella bolognese. La prima, consigliata per i disturbi gastrointestinali, è ancora preparata, e può essere acquistata ad esempio presso la farmacia della basilica di San Paolo Fuori le Mura, a partire da erbe provenienti dai quattro continenti quali aloe, mirra, zafferano, assenzio, cassia, manna, rabarbaro, ecc…, che vengono fatte macerare a lungo in alcool e acqua senza l’aggiunta di altri ingredienti e coloranti. Si consiglia di assumerla a fine pasto, anche diluita in acqua calda.
    La sala principale della Spezieria è un ambiente rettangolare il cui arredamento è costituito da scaffalature e armadi originali del Settecento, il pavimento è decorato con maioliche policrome originali e il soffitto è decorato ad affresco e con ricchi tessuti. Sulle ante degli armadi sono dipinti i ritratti dei medici più famosi

    Uno degli armadi dipinti.

    dell’antichità come Ippocrate, Galeno, Avicenna e lo stesso Andromaco. All’interno degli armadi sono riprodotte le effigi di Vittorio Emauele I e Maria Teresa d’Austria che visitarono la Spezieria nel 1802. Non sono però gli unici ritratti presenti nei locali della farmacia, poiché moltissimi furono i visitatori noti tra cui ancora Umberto I e Elena la duchessa d’Aosta.
    In una sala dietro il bancone di vendita si custodivano le così dette sostanze elementari in scatole in legno di sandalo utilizzate per custodire le sostanze elementari. Il legno di sandalo era utilizzato perché non essendo attaccato dai tarli preservava le sostanze che vi erano conservate.
    Alle spalle del salone principale si aprono i locali destinati alla vera e propria preparazione dei diversi medicamenti e che ospitano le centrifughe, le imbottigliatrici, le presse per la spremitura, i torchi e i setacci necessari. Inoltre tra i diversi macchinari originali si può vedere una sterilizzatrice e una pilloliera che permetteva di trasformare gli impasti in pillole.
    Un altro locale è una vera è propria distilleria dotata di quanto necessario per preparare i distillati medicamentosi e i liquori, alcuni dei quali ancora oggi preparati e venduti nella farmacia.

    Roma, 7 ottobre 2018.