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  1. Storia e arte

    Piranesi e l’Aventino: la Piazza dei Cavalieri e la chiesa di Santa Maria del Priorato

    Ornella Massa

    Nel 1761 Giovanni Rezzonico diventava Gran Priore romano dell’Ordine di Malta per nomina di suo zio Clemente XIII. In quello stesso anno Piranesi dedicava alla nobile

    Autoritratto – Giovan Battista Piranesi

    famiglia veneziana dei Rezzonico il trattato “Della Magnificenza ed Architettura dei Romani”, nel quale esaltava il primato architettonico degli Etruschi e dei Romani contro le idee del Winckelmann, che diceva i Greci superiori. Poco dopo il cardinale Rezzonico lo incaricava di effettuare una ristrutturazione e un ammodernamento della chiesa di Santa Maria del Priorato. I lavori iniziarono il 2 novembre del 1764 e terminarono il 31 ottobre 1766. Santa Maria del Priorato con la sua piazza, i suoi giardini e la villa costituiscono l’unica opera architettonica che l’architetto Giovan Battista Piranesi abbia mai realizzato.
    L’incarico prevedeva che la chiesa e la villa, già esistenti, fossero adattati ai nuovi gusti e dotati di un accesso più agevole, poiché, in quel momento, li si poteva raggiungere solo salendo per una via piuttosto impervia dal lungotevere.
    Dove ancora oggi sorge la chiesa, che è parte della Villa del Priorato del Sovrano Militare Odine di Malta, infatti, sorgeva una piccola cappella dedicata alla Madonna che si trovava al termine della salita che si arrampicava sul colle a partire dalla riva del Tevere, in prossimità di quella oggi è Piazza dell’Emporio.
    Non è noto, con certezza, se questa cappella facesse parte del presidio fortificato sorto tra il VII e l’VIII secolo sull’Aventino con funzione difensiva e di controllo del guado, ma si sa che il presidio fortificato sarebbe divenuto fortezza di Alberico II, e che, a un certo punto, una cappella che ne faceva parte fu trasformata in chiesa vera e propria quando il nobile patrizio romano donò il tutto a Oddone di Cluny. Da questo momento la piccola cappella sarà indicata con il nome di Santa Maria de Aventino.

    Antica incisione in cui si vede l’antica strada che dal Tevere consentiva di raggiungere Santa Maria de Aventino.

    Il complesso passò poi nelle mani dell’Ordine dei Templari, monaci guerrieri che avevano combattuto i Musulmani a difesa della cristianità, e nel 1312, con la soppressione dell’Ordine dei Templari, passò nella proprietà dei Cavalieri di Rodi, la confraternita religiosa istituita in Terra Santa dal monaco amalfitano Gerardo per dare assistenza ospedaliera e alberghiera ai pellegrini in visita al Santo Sepolcro. L’Arciconfraternita dei Cavalieri di Rodi, nel 1522 cambiò nome per assumere quella dei Cavalieri dell’Ordine di Malta.
    A lungo la piccola chiesa sull’Aventino, che guardava verso la foce del Tevere, rimase dimenticata. Se ne ricordò Pio V, nella seconda metà del Cinquecento, donandola al Priorato romano dei Cavalieri di Malta che fino a quel momento avevano avuto la loro sede dentro il Foro di Augusto. Lo stesso Pio V contestualmente trasferì alla Chiesa di Santa Maria de Aventino il titolo di San Basilio, titolo che era appartenuto alla chiesa che sorgeva vicino all’Arco dei Pantani. La piccola chiesa, però, rimase comunemente nota come Chiesa di Santa Maria del Priorato.
    L’attenzione su Santa Maria del Priorato si riaccese nuovamente nel Settecento con il cardinale Rezzonico, che scelse un architetto, Piranesi, che, pur avendo una grandissima influenza sullo sviluppo architettonico in senso neoclassico di Roma e influenzando l’architettura e le arti dei paesi del Nord Europa, non aveva avuto modo di realizzare nessuno dei suoi progetti.
    La fase iniziale dei lavori fu costituito da uno scavo in corrispondenza dell’attuale Piazza dei Cavalieri, che riportò alla luce i resti del romano Vicus Armilustri, dal quale secondo Livio e Varrone, i Salii, sacerdoti consacrati a Marte e a Quirinus, accedevano al sacro recinto dell’Armilustrum dove, il 19 ottobre di ogni anno, erano purificate le armi degli eserciti romani.

    Piazza dei Cavalieri – G.B. Piranesi

    I Salii erano uno dei collegi sacerdotali più importanti dell’antica Roma, e avevano il compito di aprire e chiudere ogni anno il tempo che poteva essere dedicato alla guerra, che, per gli antichi romani, andava da marzo a ottobre, coprendo così il periodo nel quale era possibile effettuare gli approvvigionamenti. Questo tempo di passaggio aveva un’importanza fondamentale per il cittadino romano, che era allo stesso tempo civis, cittadino e miles, soldato. Con il mese di marzo, il cittadino romano diventava quindi miles e passava sotto la giurisdizione militare e la tutela del dio Marte. Questo passaggio era segnato da una serie di riti guidati dai Salii Palatini. Nel mese di ottobre il cittadino romano tornava a essere civis, a occuparsi delle attività produttive sotto la tutela del dio Quirino e i riti guidati dai Salii Quirinales segnavano questo momento purificando uomini, armi e animali che avevano partecipato alle attività di guerra. Le tre feste di purificazione di chiusura della stagione della guerra si svolgevano in ottobre ed erano il Tigillum Sororiun, per la purificazione dei soldati, l’October Equium, per la purificazione dei cavalli e l’Armilustrium, per la purificazione delle armi, che si svolgeva appunto il 19 ottobre nel sacro recinto antistante il tempio di Marte che sorgeva sull’Aventino.
    Il ritrovamento del recinto in cui si svolgeva il rito dell’Armilustrium indusse Piranesi a pensare la piazza come un recinto chiuso su stesso su cui si appoggiano le steli e gli obelischi che richiamano la spina del Circo Massimo poco distante, che egli stesso, in una delle sue incisioni più note, aveva immaginato come affastellato di oggetti.

    Antichità Romane – Spina del Circo Massimo – G.B. Piranesi.

    Nella Piazza dei Cavalieri il richiamo alle armi e alla tradizione romana trovano la loro giusta fusione con la tradizione guerresca dei Cavalieri che è perciò narrata sull’intera piazza, dove si fondono la gloria del passato romano con la realtà concreta e presente del Settecento. Nelle steli si mescolano elementi decorativi desunti dallo stemma dei Rezzonico, come la torre, l’iconografia navale e militare dei Cavalieri e il repertorio iconografico etrusco e romano. Tra gli elementi dell’iconografia etrusca Piranesi cita su queste steli la lira, il cammeo, la cornucopia, il serpente, l’ala d’uccello, la siringa. Molti degli elementi dell’iconografia romana sono invece desunti dalla Colonna Traiana.
    La piazza, quale recinto chiuso, aveva lo scopo, oggi andato completamente perso, di escludere la vista degli orti e delle vigne circostanti. I due muri che cingono la piazza sono il solo elemento ex novo ideato da Piranesi, che per il resto era vincolato dagli edifici pre – esistenti.
    Quello che dovrebbe essere l’ingresso alla chiesa è un portone che Piranesi realizza probabilmente nel muro cinquecentesco esistente. Il muro nel quale il portone si apre resta sostanzialmente anonimo se non fosse elegantemente impreziosito dal festone, e da due pannelli decorativi che sono desunti dai sei rilievi cerimoniali conservati nei Musei Capitolini, uno dei quali con elementi navali. L’aquila con la corona di quercia è invece desunta dal rilievo del II secolo murato sulla parete esterna della facciata dei Santi Apostoli, ma qui all’Aventino quest’aquila diviene bifronte, richiamando così lo stemma dei Rezzonico. Nei pannelli decorativi compaiono pure gli elementi navali propri dell’attività militare dei Cavalieri e, quale elemento di contemporaneità, un cannone e un fucile. Di fatto però sulla piazza monumentale non si apre il portone del palazzo o della chiesa, ma un viale definito da una doppia fila di allori, con funzione di cannocchiale, che prepotentemente porta sull’Aventino il Cupolone di San Pietro.

    Piazza dei Cavalieri – G.B. Piranesi.

    Se si entrasse da questo portone, così come Piranesi aveva di fatto immaginato, si scoprirebbe che, una volta oltrepassato il lungo filare di allori, questo conduce al belvedere che si apre su Roma consentendo di scoprire così quanto il Cupolone di San Pietro sia ben lontano.
    Per raggiungere l’ingresso vero e proprio della chiesa sarebbe quindi necessario attraversare il giardino con le aiuole che una volta avevano forme attorcigliate e ritorte, incontrare quindi il severo palazzo della Villa e infine raggiungere la piccola piazza su cui si erge la facciata della chiesa, che Piranesi conserva praticamente uguale a quella dell’edificio del Cinquecento, ma a cui va ad aggiungere un’elaborata decorazione in stucco.
    Il portale centrale è simmetricamente affiancato da un elemento decorativo che è da considerarsi come rielaborazione di una grottesca, un abbellimento pittorico di origine romana che qui assume l’aspetto di un vessillo, analogo a quelli che si trovano sull’arco di Costantino. La scelta decorativa crea direttamente una serie di collegamenti, all’arte romana di cui Piranesi sosteneva la supremazia su quella greca, con le armi dei Cavalieri e dei romani e quindi con l’Armilustrum e la piazza dei Cavalieri.
    I simboli di questa particolare grottesca in stucco sono scelti con cura e hanno molteplici significati. Dal basso s’incontrano: gli strumenti del muratore, che vengono interpretati, da alcuni, come un rimando alla simbologia massonica; la targa con la scritta FERT “Fortitudo Eius Rhodum Tenuit”, un motto che ricorda l’impegno dei Cavalieri di Malta nella difesa di Rodi; la rappresentazione della fortuna romana, così come descritta da Cicerone, con il timone poiché governa le sorti umane e nella destra un mazzo di spighe; il monogramma PX, Pax Christi, sovrastato dalle due mezze lune incatenate, dalla torre dei Rezzonico e dalla Croce di Malta.

    Facciata di Santa Maria del Priorato – G. B. Piranesi.

    Se questa grottesca/insegna è un codice si può leggere che la saldezza dell’Ordine e del suo Gran Priore, in questo momento il cardinale Rezzonico, è costruita, attraverso gli strumenti del muratore, sulla Pax Christi, sulla fortuna e la fortitudo.
    Il portale e le insegne sono racchiuse in una coppia doppia di paraste strigilate a ricordare che l’edificio ha anche valore di sacello funerario, come ribadito nell’ordine superiore della facciata in cui si apre un oculo, con funzione di clipeo, posto al centro di una coppia di elementi decorativi strigilati, che di nuovo richiamano il sarcofago. Ai lati di questo complesso elemento decorativo una coppia di serpenti che sono contemporaneamente il simbolo della medicina, e quindi ruolo medico svolto ancora oggi dai Cavalieri di Malta, un richiamo al nome antico dell’Aventino, mons Serpentarius, e simbolo della morte, della resurrezione e della vita eterna.
    La decorazione della facciata è completata da due spade con fodero e impugnatura dalla decorazione complessa costituita da vari elementi, che vengono inserite nelle paraste strigilate e i semicapitelli di queste ultime dove compare la torre, derivante dallo stemma araldico della famiglia Rezzonico, tra due sfingi affrontate
    La facciata si conclude oggi con un timpano triangolare ornato di un fastigio militare che si richiama ai trofei di Domiziano, mentre i bombardamenti francesi che determinarono la caduta della Repubblica Romana del 1849 fecero crollare un elemento architettonico che sovrastava il timpano e che rappresentava l’unica aggiunta di Piranesi alla facciata originaria. Questa sorta di attico aveva lo scopo di slanciare la facciata e di conferirle una maggiore incisività nel panorama romano, rendendo la chiesa così più facilmente identificabile da lontano. Questo elemento architettonico era decorato solo con elementi desunti dallo stemma della famiglia Rezzonico.

    Disegno del prospetto di Santa Maria del Priorato – G.B. Piranesi.

    Piranesi non intervenne sulla volumetria della chiesa che dopo i lavori del Settecento rimase sostanzialmente uguale a quella della chiesa del Cinquecento, ma l’intervento si tradusse una nuova distribuzione degli spazi interni con alcuni espedienti, per cui la chiesa, alla fine dei lavori, apparve profondamente mutata rispetto a quella originaria.
    Il primo intervento riguardò lo spostamento in avanti dei tre gradini di accesso al presbiterio in modo che questo spazio venisse a includere anche due nicchioni laterali. Con questo espediente la chiesa veniva, di fatto, divisa in due parti uguali, con la formazione di un deambulatorio appena accennato, la cui presenza suggerita piuttosto che reale, è sufficiente a legare l’architettura interna dell’edificio a quella di chiese tipiche del Nord Europa.
    Lungo la navata si sviluppano ritmicamente i nicchioni che con la loro regolarità e con l’alternarsi delle paraste scanalate costringono il visitatore a porre lo sguardo direttamente e immediatamente sull’elemento focale della chiesa: l’altare.
    L’altare è forse l’intervento più incisivo di Piranesi, come forse può testimoniare il fatto che l’artista dedica alla sua elaborazione grafica ben quattro disegni, mentre la realizzazione effettiva è opera di Tommaso Righi. Il nuovo altare sostituisce del tutto quello medioevale e risulta originarsi dalla sovrapposizione di tre sarcofagi, di cui quello inferiore riprende il tema dell’oculo circondato da una decorazione strigilata, analogo a quello posto nella facciata principale.
    Il sarcofago superiore termina con due speroni, che svolgono funzione di prora e che, facendolo assomigliare a una nave, richiamano nuovamente la natura duale, militare e religiosa, dei Cavalieri di Malta. Su questa sequenza di tre sarcofagi s’innesta la gloria di San Basilio portato in cielo dagli angeli.
    Altro momento di grande complessità decorativa, dell’interno della chiesa, è il fastigio del soffitto della navata, che riprende il tema già adottato in facciata del labaro, qui chiuso in una ghirlanda con i sigilli del monogramma PX, Pax Christi. A questi sigilli da un lato è appeso uno stendardo con la figura del Battista, santo onomastico di Rezzonico e protettore dell’Ordine, una nave, una vela con la croce di Malta, un trofeo di scudi, la tonaca dell’Ordine e la tiara papale.

    Fastigio del soffitto – Santa Maria del Priorato – G.B. Piranesi.

    L’elemento triangolare oltre che come vela, rinnovato riferimento alle imprese navali dei Cavalieri, è anche simbolo trinitario e come tale riverbera intorno a se raggi di luce. Completano la decorazione del soffitto lo stemma dei Rezzonico con il cappello cardinalizio e la croce di Malta. Tutta questa sequenza decorativa a soffitto induce a guardare al lanternino, decorato con quattro petali che contengono episodi della vita di San Giovanni.
    Altri dodici medaglioni con le immagini degli apostoli sono sopra ogni nicchia e intorno all’abside.
    Il 13 ottobre del 1766 la chiesa fu presentata al cardinale Rezzonico e a Clemente XIII che, entusiasta del risultato, insigniva Piranesi dello Speron d’oro.
    I più interessanti architetti e intellettuali dell’epoca, quali Winckelman, Mengs e Vanvitelli, diedero dell’opera giudizi sostanzialmente negativi.
    L’interno della chiesa ospita il monumento funebre di Piranesi che, secondo le volontà dell’artista, non avrebbe dovuto trovarsi qui. Pranesi, infatti, aveva lasciato scritto di voler essere seppellito in Santa Maria degli Angeli e che un antico candelabro romano tratto dal suo museo e da lui restaurato fosse posto sulla sua tomba.
    In realtà quando Piranesi morì nel 1778 a seguito di una malattia dopo il suo ultimo viaggio a Paestum, fu seppellito in Santa Andrea delle Fratte, e solo successivamente il corpo fu traslato a Santa Maria del Priorato per volontà del Cardinale Rezzonico. Per il monumento funebre il cardinale fece realizzare una statua da Giuseppe Angelini in cui Piranesi è effigiato abbigliato con la toga di antico romano, mentre regge un rotolo nella mano sinistra, su cui è incisa la pianta del tempio di Poseidon di Paestum, ultima meta di lavoro e studio del grande intellettuale, architetto e archeologo.
    La Piazza dei Cavalieri di Malta nasconde un’altra affascinante leggenda: è quella secondo cui tutto il colle dell’Aventino non sarebbe altro, in realtà, che un’immensa nave simbolica, sacra ai Cavalieri Templari, che quando verrà il momento salperà diretta verso la Terra Santa. Il Piranesi, da sempre ammiratore dell’Ordine del Tempio, ben conosceva la leggenda, e nella sua opera di ristrutturazione del colle inserì tutta una serie di riferimenti, strutture e simbolismi che richiamano più o meno apertamente anche questa leggenda.

    Decorazione del lanternino – Santa Maria del Priorato – G.B. Piranesi.

    Secondo la tradizione la nave è idealmente ancorata al porto fluviale di Ripa, sul Tevere, attraccata al molo ideale costituito dai resti del Ponte Rotto. La parte meridionale del colle, che si adagia sulle rive del Tevere con una forma a “V”, sarebbe la prua di questo veliero. Nella simbologia piranesiana, perciò, l’intera piazza, circondata da mura, ne costituisce il castello, mentre gli obelischi alternati alle lastre marmoree simboleggiano gli alberi e le vele. Il portale della Villa dei Cavalieri costituisce l’entrata al cassero, il famoso viale alberato sagomato a formare una galleria è il ponte di coperta. Gli intricati giardini a labirinto che si trovano a lato rappresentano le funi e il sartiame della nave, mentre il belvedere del parco, dal quale si ammira il panorama di tutta Roma, è la coffa. Così, la Chiesa di Santa Maria del Priorato, finisce con il rappresentare la cabina di comando.
    Inoltre, poiché la natura geologica dell’Aventino è tale che il monte si presenta ricco di grotte e anfratti, sfruttate da sempre dall’uomo per ricoverare greggi e materiali, si pensi a questo punto all’episodio mitologico in cui il gigante Caco sottrae le mandrie a Ercole e le nasconde proprio alle pendici dell’Aventino, il vasto sistema di gallerie e cavità ipogee assume valore di stiva di questa immaginaria nave.

    Roma, 15 aprile 2018

  2. I porti di Claudio e Traiano a Fiumicino

    Nel II secolo avanti Cristo, in età repubblicana, il sistema portuale a servizio di Roma si basava sui porti marittimi di Ostia, alla foce del Tevere, di Pozzuoli, Puteoli, nel

    Cartina degli scavi di Ostia antica dove si evince il cambio di corso del Tevere.

    golfo di Napoli e sullo scalo fluviale interno della città, l’emporium, realizzato sulla riva sinistra del Tevere nella pianura ai piedi dell’Aventino, attualmente compresa nel territorio del rione di Testaccio, che divenne rapidamente il centro logistico della città.
    Il porto di Ostia, realizzato secondo la leggenda dal re Anco Marcio, non è mai stato localizzato, e le ipotesi più accreditate, a questo proposito, sono due. La prima sostiene che la città fondata da Anco Marcio sia, probabilmente, da identificarsi con Ficana, i cui resti sono stati ritrovati presso l’attuale Acilia. Questa ipotesi è sorretta dal fatto che, a tutt’oggi, gli scavi di Ostia la sua parte più antica, ovvero il castrum, che è di epoca successiva al regno di Anco Marcio. La seconda ipotesi è che il porto di Ostia antica sulla sponda del Tevere sia stato completamente cancellato dalla disastrosa inondazione del 1557 che cambiò completamente il corso del fiume, allontanandone, per altro, il percorso dal centro della città e dal sistema di magazzini.

    Mosaico dal Piazzale delle Corporazioni in cui è mostrato il trasbordo delle merci da un’imbarcazione all’altra.

    Dai dati, anche iconografici, che si hanno a disposizione, è certo, invece, che l’utilizzo dell’antico porto di Ostia era reso difficoltoso dai continui insabbiamenti causati dall’azione congiunta del Tevere, che portava una gran massa di detriti, e del mare, tanto che le navi più grandi di fatto non attraccavano quasi mai nel porto. Esse venivano perciò scaricate, o caricate, a largo della foce con l’uso d’imbarcazioni più piccole. Queste poi risalivano il fiume fino a raggiungere l’approdo in città, l’emporium.
    L’importanza per Roma di disporre di un porto più sicuro, indusse l’imperatore Claudio a far costruire, a partire dal 42 dopo Cristo, un nuovo scalo marittimo a circa 3 km a nord di Ostia. Il progetto comprese la realizzazione di un grande scalo che occupava una superficie di circa 150 ettari. Il nuovo porto, terminato da Nerone e inaugurato nel 64 dopo Cristo, era costituito da un bacino portuale scavato in parte a terra e in parte del mare. Per la realizzazione del faro, copia di quello di

    Porto di Claudio e Traiano, ricostruzione.

    Alessandria d’Egitto, fu creato un isolotto artificiale, affondando e riempendo di terra e enormi pietre la grande nave mercatile con cui l’imperatore Caligola aveva trasportato l’obelisco egizio, destinato al circo Vaticano, che ancora oggi si trova in piazza San Pietro. Il bacino fu dotato di canali che assicuravano il collegamento tra il mare, il porto di Claudio e il porto fluviale di Ostia antica. In questo modo le navi potevano risalire il Tevere raggiungendo il punto di attracco urbano dell’emporium.
    In pochi anni però le condizioni ambientali cambiarono e le correnti marine provenienti da Nord – Ovest provocarono il progressivo e inarrestabile insabbiamento del bacino portuale.
    Questo fu uno dei motivi principali, insieme al fatto che l’Impero Romano raggiunse il massimo della potenza economica e militare, che spinse l’imperatore Traiano, ad affidare il progetto per la realizzazione di una nuova struttura portuale all’architetto Apollodoro di Damasco. Il porto di Traiano vide la luce tra il 110 e il 112 dopo Cristo.
    Il fulcro del nuovo scalo marittimo era rappresentato dal bacino dalla caratteristica forma esagonale, che, si calcola, permetteva l’attracco contemporaneo di 200 grandi navi e che fu interamente scavato nella terraferma e collegato al Tevere da un nuovo sistema di canali. Il faro del nuovo porto fu costruito quale copia di quello del porto di Leptis Magna, nell’attuale Libia.

    Porto di Traiano

    Il grande porto esterno di Claudio non fu dismesso, ma continuò a funzionare come rada, il cui uso era assicurato da dragaggi programmati. Analogamente continuarono a essere utilizzati i canali fatti costruire da Claudio. Il bacino esagonale era collegato a quello di Claudio, attraverso un canale interno, mentre dalla Darsena un canale trasverso permetteva di raggiungere la Fossa Traiana. Da qui le merci potevano risalire il Tevere e raggiungere l’emporium, o andare verso ostia e la foce. Oltre a queste due vie d’acqua le merci potevano muoversi via terra attraverso la Via Portuense e la via Flavia-Severiana.
    Intorno al bacino esagonale e sui moli lungo i canali di collegamento del porto di Traiano fu edificata una serie di grandi edifici di servizio destinati soprattutto all’immagazzinamento, un tempio e un complesso termale. In un’area compresa tra i bacini di Claudio e di Traiano, in un punto centrale del sistema, fu costruito il

    Porto di Claudio e Traiano – Cartina d’epoca.

    Palazzo Imperiale e altri edifici amministrativi a esso associati. Nella stessa area sono stati recentemente individuate strutture forse pertinenti ad arsenali, i probabili cantieri navali.
    Nasceva così il nuovo centro abitato di Portus, che divenne il principale scalo marittimo di Roma, capace di assolvere la sua funzione almeno fino al VI-VII secolo dopo Cristo. Questa cittadina ottenne, nel 314 dopo Cristo, dall’imperatore Costantino il tutolo di civitas, fatto che le garantiva la totale autonomia amministrativa da Ostia.
    Così come prima a Ostia anche a Portus la maggior parte degli edifici erano horrea, ovvero magazzini. Questi insieme a quelli dell’emporium costituiscono una delle più grandi aree logistiche di epoca antica, così come il porto di Traiano è il porto romano che è arrivato meglio conservato fino a noi.

    Rapporti tra il porto di Claudio, quello di Traiano e i collegamenti con Roma e Ostia.

    Negli stessi anni, Traiano fece costruire anche il porto di Centumcellae, Civitavecchia, 80 km a nord di Roma. Con la costruzione di Portus sia Pozzuoli che Ostia non cessarono di funzionare, ma anzi furono potenziati: il primo in quanto organizzato centro portuale a Sud di Roma in un’area di grande importanza economica, la seconda soprattutto come grande polo amministrativo e commerciale, legato direttamente alla città attraverso il Tevere e la via Ostiense, collegata a Portus con un canale e al Sud per mezzo della via Flavia-Severiana.
    A oggi l’area archeologica del Porto di Traiano è formata da realtà distinte. Quello che resta del porto di Claudio è un’area in prossimità dell’aeroporto di Fiumicino, territorio in cui ricade anche il Museo delle Navi Romane.
    Il porto di Traiano, ovvero il bacino esagonale, separato dal primo, nonostante oggi si trovi in piena terraferma, effetto dell’azione del Tevere nei secoli, è ancora perfettamente leggibile. Il parco del Porto di Traiano è attualmente una riserva naturale protetta di grandissimo valore culturale e naturale, in cui i resti dell’antico impianto portuale si legano al patrimonio arboreo e agli specchi d’acqua, in una

    Oasi di Porto.

    unità armonica resa suggestiva dalle tracce del tempo e dall’ambiente creato con la bonifica delle paludi nei primi decenni del 1900. Il parco sorge sul terreno di sedimentazione depositatosi in circa duemila anni nell’antico bacino portuale che, all’inizio dell’età moderna, XV secolo, era ormai completamente insabbiato e trasformato in palude. Nel 1924 Giovanni Torlonia, con l’intento di trasformare il sito in tenuta agricola modello, iniziò quelle opere di bonifica idraulica e di piantumazione che trasformarono radicalmente l’area quale oggi si può vedere, nelle sue linee essenziali. Dell’iniziale tenuta Torlonia 32 ettari sono tornate al demanio.

    Roma, 7 agosto 2018

  3. La Basilica di San Clemente: il registro archeologico dell’Urbe

    San Clemente sorge lungo l’antica via di San Giovanni, via stretta, tortuosa e fiancheggiata da siepi fino alla sistemazione che le diede Sisto V.

    San Clemente – Mosaico dell’abside.

    La via era chiamata ‘Strada maggiore’ o ‘sacra’ o ‘papalis’ perché costituiva il normale percorso delle processioni pontificie verso la basilica di San Pietro. Fino alla fase della moderna edificazione, prospettavano su di essa solamente chiese e conventi, come la chiesa di San Giacomo de Culiseo con cimitero, distrutta nel 1815, o i conventi di San Clemente e dei Santi Quattro Coronati e gli annessi dell’Ospedale di San Giovanni. Per quanto piuttosto banalizzata da molta edilizia moderna senza linea, la strada – osservata per esempio dal Colle Oppio – rivela ancora i suoi vecchi caposaldi pittoreschi nella severa massa delle costruzioni raggruppate attorno alla Chiesa dei Santi Quattro Coronati.
    Pare che il corteo papale evitasse in antico la prima parte della strada, quella che passa nei pressi del Colosseo, dirottando piuttosto per la via dei Santi Quattro Coronati a causa delle voci popolari che a questa zona collegavano lo scandaloso evento di un inopinato parto durante il corteo papale, attribuito alla papessa Giovanna, un leggendario racconto dell’Alto Medioevo.
    E proprio da via di San Giovanni si accede alla basilica minore di San Clemente, una delle mete assolutamente imperdibili di Roma: una vera e propria propria stratigrafia delle varie epoche non solo dell’edificio sacro, ma della stessa storia di questa zona dell’Urbe.
    La chiesa attuale si affaccia con un piccolo protiro e con l’atrio del XII secolo sulla via di San Giovanni. Essa è il risultato della ricostruzione promossa dal grande papa

    San Clemente – I tre livelli di visita.

    Pasquale II nel 1108, dopo la decisione di abbandonare e interrare l’edificio precedente che era stato devastato dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084, quando dalla vicina Porta Asinaria essi avevano fatto irruzione in soccorso a Gregorio VII, appiccando incendi e applicando una dura legge di guerra alla città.
    Nonostante i rimaneggiamenti interni degli inizi del Settecento, e il relativo soffitto, a cassettoni dorati, la chiesa presenta sostanzialmente la sua struttura medievale: pianta basilicale a tre navate divise da due file di sette colonne di spoglio, i cui capitelli appartengono però al restauro barocco, la schola cantorum, con elementi provenienti dalla chiesa più antica, i due amboni e il candelabro, un recinto marmoreo che separa il presbiterio e il pavimento cosmatesco. Nel presbiterio stesso c’è un ciborio a quattro colonne di pavonazzetto del XII secolo che corrisponde alla cripta con il corpo di San Clemente; nella semicalotta dell’abside risplende nelle sue dimensioni grandiose il mosaico del “Trionfo della Croce” della prima metà del secolo XII. Altri mosaici, però del secolo successivo, sono nell’arcone trionfale.
    A questo livello della chiesa vanno osservate alcune belle cappelle aggiunte. In primo luogo la Cappella di Santa Caterina, a destra dell’ingresso, voluta dal cardinale Gabriele Condulmer, poi papa Eugenio IV, il quale commissionò il ciclo di affreschi a Masolino da Panicale, eseguiti prima del 1431, forse con un intervento di Masaccio: si tratta di una delle prime testimonianze della pittura rinascimentale in Roma e nel complesso della basilica sono esposte anche le sinopie rinvenute nel restauro del 1956.

    Morte e riconoscimento di Sant’Alessio.

    Sono da osservare alcuni bei sepolcri, di cui quello del cardinale Venerio attribuito alla scuola di Mino da Fiesole e quello del cardinale Roverella, forse opera di Andrea Bregno e Giovanni Dalmata. La Cappella di San Giovanni, del Quattrocento, ha una bella statua del santo e un altare, entrambe opere moderne di Raoul Vistoli. Nel 1886 fu costruita la cappella dedicata ai Santi Cirillo e Metodio, che ulteriormente sottolinea il legame della basilica di San Clemente con i popoli Slavi.
    Una cappella posta al lato destro dell’altare conserva una Madonna del Sassoferrato. Nella Cappella di San Domenico sono conservate opere di Sebastiano Conca, 1715, che raccontano la vita del santo.
    Al di sotto di questa chiesa si trova la primitiva basilica di San Clemente, risalente al 385, portata alla luce dagli scavi inizialmente condotti nel 1857 da padre Mulloly, dei religiosi irlandesi che hanno in custodia il complesso. L’edificio del IV secolo, sempre a pianta basilicale, assai più largo del successivo era preceduto da un nartece. Vi si accede dalla sagrestia percorrendo una scala lungo le cui pareti sono raccolti i reperti marmorei antichi ritrovati in loco.
    Questa chiesa primitiva, gradualmente messa in luce dagli scavi voluti dai successivi rettori irlandesi della chiesa, si presenta oggi ingombra dei muri di sostegno della chiesa superiore e dei supporti creati durante i lavori di liberazione e in sostituzione del pietrame di costipazione che è stato eliminato. Una fila di colonne originarie è incapsulata in uno dei muri.

    Iscrizione nell’affresco del miracolo di San Clemente con Sisinno.

    La basilica di San Clemente del IV secolo prende vita dalla trasformazione di edifici pre-esistenti e raccoglie in se documenti storico – artistici di notevole pregio. Tra questi l’affresco che racconta della morte e del riconoscimento di Sant’Alessio,che è datato all’epoca del papato di Leone IV tra l’847 e l’855, e un ciclo di affreschi piuttosto esteso e ben riconoscibile che invece narra vari momenti della vita di San Clemente e che conserva una delle prime documentazioni del passaggio dalla lingua latina al volgare.
    Il documento è costituito da una serie di iscrizioni inserite in un affresco che rappresenta un frammento della Passio Sancti Clementis, in cui il patrizio Sisinnio è nell’atto di ordinare ai suoi servi, Gosmario, Albertello e Carboncello, di legare e trascinare san Clemente. I servi, accecati come il loro padrone, trasportano invece una colonna di marmo. Si leggono queste espressioni, la cui attribuzione ai singoli personaggi è incerta: Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!», San Clemente: «Ob duritiam cordis vestrum, saxa trahere meruistis». Traduzione: Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo», San Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi». La prima parte è tutta in volgare, con chiare influenze romanesche.

    Il vicus negli scavi di San Clemente.

    Da notare che le espressioni de le e co lo sono già preposizioni articolate, che non esistevano nella lingua latina. La seconda parte è scritta in latino, ma vi sono varie stranezze; duritiam, ad esempio, è un accusativo, ma dovrebbe essere un ablativo: è un chiaro segnale che ormai non si usino più i casi latini, ma ci si affidi a un caso unico. Inoltre, in luogo del latino trahere si nota la caduta dell’h, traere.
    La basilica del IV secolo venne realizzata al piano superiore di un horreum, ovvero un magazzino di epoca romana, già a sua volta modificato in precedenza. Dalla basilica del IV secolo perciò è possibile scendere a un livello di scavo ancora più basso dove si trovano due edifici principali separati da un vicus della larghezza di circa 70 cm che gli scavi archeologici hanno reso percorribile.

    L’horreum è un edificio dalle spesse murature in tufo la cui costruzione viene fatta risalire all’epoca flavia. Esso era interpretato, soprattutto per la sua prossimità con il Colosseo, come un magazzino connesso con questa struttura e con i giochi che in esso prendevano vita. Ma una nuova ipotesi si è fatta più concreta: questo grandissimo magazzino può infatti per dimensione e per collocazione essere la Zecca Imperiale, qui trasferita nel IV secolo dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo. Questa ipotesi sarebbe confermata dal ritrovamento di epigrafi databili al 115 dopo Cristo che i funzionari e gli operai della Zecca avevano dedicato ad Apollo, Ercole e Fortuna.
    Il secondo edificio è un mitreo realizzato tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo in alcuni ambienti di un’insula più antica. Di queste tre stanze quella datata al III secolo, con volte a botte, è interpretata come “Scuola Mitraica”, la seconda stanza

    Il mitreo di San Clemente.

    è il vestibolo del mitreo e si presenta ornata di stucchi, mentre la prima è il mitreo vero e proprio, coperta da una volta a botte molto bassa, presenta lungo le pareti undici aperture, costituenti i simboli astrologici legati al culto di Mitra. Lungo le pareti sono disposti anche i sedili di pietra.
    Al centro di questa stanza è disposta un’ara sulla quale si può chiaramente distinguere la scena di Mitra nell’atto di sacrificare il toro.
    Durante gli scavi che hanno portato alla luce questi ambienti è stato necessario creare una canalizzazione che permettesse il drenaggio delle acque di un lago che si era formato sotto la basilica di san Clemente. Questa canalizzazione è stata aperta attraverso un’insula di abitazioni, preesistenti all’incendio neroniano, e in quest’occasione si è trovata anche una piccola zona catacombale del V o del VI secolo dopo Cristo, riferibile al periodo successivo all’invasione di Alarico, quando cominciò a essere disatteso il divieto di seppellimento dentro la linea del pomerio.

    Roma, 2 settembre 2018