prima pagina

  1. Racconto

    Viola

    di Macariolita

    Stazione Centrale – Milano.

    Con grande piacere pubblichiamo un secondo breve racconto della nostra amica Macariolita.

    La prima impressione era stata l’odore di metallo, gomma fusa e fumo attaccato alle mani e ai vestiti, forse anche alle pareti del naso. Lo aveva sentito entrare dal finestrino aperto poco prima che il treno imboccasse l’ultimo scambio prima che apparisse la pensilina di Milano Centrale.
    Le arcate immense della stazione amplificavano i rumori, soprattutto quelli dei freni delle locomotive, e ad ogni fischio l’odore acquistava intensità. Claudio immaginò una nuvola aromatica trattenuta dalla copertura a vetri, immensa serra ferroviaria, e contenuta a sua volta dalla cappa di smog della città. Si catapultò giù dalla scaletta ripida incespicando sui propri piedi, impacciato e contento.

    continua…

  2. Area archeologica dei Fori Imperiali

    Chi almeno una volta nella vita non ha espresso il desiderio di poter passeggiare tra le imponenti vestigia dei gloriosi Fori Imperiali? Dal 26 novembre 2016, dopo

    Roma Moderna da Campo Vaccino – James Turner – 1839.

    vent’anni di scavi, è finalmente possibile godere di un percorso affascinante e carico di storia. Questo si sviluppa in senso topografico e non cronologico: toccherà una parte del Foro di Traiano, passerà sotto via dei Fori Imperiali percorrendo le cantine delle antiche abitazioni del Quartiere Alessandrino, attraverserà il Foro di Cesare e terminerà in prossimità del Foro di Nerva.
    L’itinerario prende il via ai piedi dell’immensa colonna che Traiano volle far edificare nel cuore del suo nuovo e imponente Foro, opera del suo architetto di fiducia, Apollodoro di Damasco, agli inizi del II secolo dopo Cristo. Sulla colonna si dipana un lungo e particolareggiato racconto per immagini: le importanti vittorie dell’imperatore ottenute contro i Daci. I rilievi corrono lungo tutto il fusto della colonna alta quasi trenta metri, senza contare la base, segnando con la sua estremità superiore l’altezza della sella collinare che univa il Quirinale al Campidoglio e che fu sbancata per fare spazio all’immensa spianata necessaria per la costruzione del Foro. Nel suo nuovo centro politico e amministrativo Traiano volle far erigere, oltre alla Colonna, anche due Biblioteche, una Basilica, una serie di imponenti portici e l’edificio detto dei Mercati di Traiano, un vero e proprio centro polifunzionale dell’antichità.

    I Fori Imperiali.

    Attraversando l’area ci s’imbatte nella grandezza, nell’imponenza e nel lusso dell’opera traianea. Un esempio sono le colonne della Basilica Ulpia, edificata tra il 106 e il 113, data d’inaugurazione del Foro di Traiano, che era la più grande basilica di Roma, intitolata alla famiglia dell’imperatore, di cui oggi è visibile solo il tronco centrale, con l’abside occidentale, che arriverebbe fino alle pendici del Vittoriano, nascosto sotto via dei Fori Imperiali, e quella orientale, che arriverebbe sotto la scalinata di Magnanapoli e degli edifici adiacenti.
    Dall’epoca imperiale si passa poi a quella medievale grazie alla presenza di abitazioni edificate sopra le imponenti strutture di età romana. È questo il momento in cui inizia a sorgere quello che in epoca rinascimentale sarà il quartiere Alessandrino: la prima sistemazione urbanistica moderna realizzata attorno al 1570 per opera di Michele Bonelli, nipote di Pio V Ghisleri, detto l’Alessandrino poiché nato a Bosco Marengo, vicino ad Alessandria. Questi provvide a bonificare l’area e a renderla edificabile, tracciandovi la via detta, Alessandrina, sempre dal suo appellativo. La strada tagliava l’antico Argiletum raggiungendo il Tempio della Pace, al di là dell’odierna via Cavour. Il quartiere fu poi completamente smantellato negli anni Trenta per far posto a via dei Fori Imperiali. Ma non tutto andò perduto: restano, al di sotto della via, le cantine e altri locali di fondazione, attraverso i quali è possibile raggiungere il Foro di Cesare. Questi angusti ambienti sono stati utilizzati come depositi e magazzini dagli archeologi che nel corso degli ultimi anni hanno scavato l’intera area, ma qua e là sono ancora visibili anche le scale che collegavano le cantine con le abitazioni delle palazzine dell’antico quartiere.

    I Mercati di Traiano e la Torre delle Milizie.

    Al termine di questo percorso, che passa sotto la Via dei Fori Imperiali, ci si ritrova a pochi metri di distanza dalle imponenti colonne del celebre Tempio di Venere Genitrice, edificato al centro del Foro per volere di Giulio Cesare. La necessità di rinnovare le strutture amministrative e giudiziarie più antiche e di adeguarle alla nuova dimensione – fisica e politica – della città di Roma fu il pretesto che Giulio Cesare utilizzò per portare a termine un’innovativa e brillante iniziativa di autocelebrazione. Così, in aperta competizione con il suo rivale Gneo Pompeo, che nel 55 avanti Cristo aveva inaugurato il suo splendido teatro in Campo Marzio, nel 54 avanti Cristo Cesare incaricò un gruppo di stretti collaboratori di progettare un nuovo complesso monumentale, la cui costruzione fu giustificata come un necessario ampliamento del Foro Romano. L’area scelta per costruire il nuovo foro era fittamente abitata: dopo aver fatto demolire gli edifici espropriati, Giulio Cesare fece eseguire dei consistenti lavori di livellamento dell’intera area allo scopo di ottenere i piani destinati a ospitare i corpi di fabbrica del nuovo impianto. Il Foro di Cesare sarà preso a modello dai suoi successori.
    Il Foro di Augusto nacque per onorare la memoria di Giulio Cesare: nel 42 avanti Cristo, alla vigilia della battaglia di Filippi contro la coalizione dei cesaricidi, il giovane Gaio Ottaviano fece voto solenne di edificare in caso di vittoria, un tempio a Marte Vendicatore, Ultore. Ottaviano era nipote di Giulio Cesare, sua madre, Azia, era figlia di Giulia, sorella di Cesare, e dal 45 avanti Cristo suo figlio adottivo ed

    Il Quartiere Alessandrino. Si ringrazia Romasparita.

    erede. Vinta la battaglia e vendicato così Cesare, al proprio ritorno a Roma Ottaviano sciolse il voto e avviò i lavori per la costruzione del tempio, che egli volle inserire in un nuovo Foro, replicando così il modello architettonico creato pochi anni prima proprio da Cesare quando fece realizzare il Foro a lui intitolato. Il pretesto per la costruzione di un altro Foro fu dato dalla crescita vertiginosa del numero dei processi, per accogliere i quali erano diventati insufficienti il Foro Romano e quello di Cesare, pure inaugurato da poco nel 46 avanti Cristo.
    Nel 70 – 75 dopo Cristo, a conclusione delle guerre civili per la successione all’Impero e della sanguinosa repressione della rivolta giudaica, l’imperatore Vespasiano, 69 – 79 dopo Cristo, fece costruire un santuario dedicato alla Pace, detto in antico Tempio della Pace, Templum Pacis, o Foro della Pace, costituito da una grande piazza con portici. Al centro del portico meridionale era l’aula di culto, affiancata da due aule per lato. Il complesso entrò a far parte dei cinque Fori Imperiali, il terzo in ordine cronologico dopo i Fori di Cesare, 46 avanti Cristo, e di Augusto, 2 avanti Cristo, e prima di quelli di Nerva, 97 dopo Cristo, e di Traiano, 112 – 133 dopo Cristo.
    Nello spazio compreso tra l’estremità orientale del foro di Traiano e quella settentrionale del Foro di Augusto si trova uno svettante edificio al quale fu sovrapposta, nella seconda metà del XV secolo, l’elegante Loggia dei Cavalieri di Malta, insediatisi nell’area dal XII secolo. La struttura è convenzionalmente denominata, dagli studiosi, “Terrazza Domizianea” con riferimento alle sue caratteristiche edilizie e alla prevalenza di bolli laterizi risalenti all’epoca di Domiziano rinvenuti nelle sue murature.

    I Fori Imperiali – Ippolito Caffi – 1841.

    Essa, in realtà, racchiude al suo interno diverse fasi di costruzione. La più antica, costituita da un edificio porticato con arcate su pilastri in opera quadrata di travertino, di età tardo-repubblicana, identificata con l’abitazione del console del 14 dopo Cristo, Sesto Pompeo è attualmente occupata dalla cappella di culto dei Cavalieri di Malta, dedicata a San Giovanni Battista. A questo edificio si addossarono, nella seconda metà del I secolo avanti Cristo, l’aula del Colosso e la grande abside settentrionale del portico Nord del Foro di Augusto.
    Gli studiosi ritengono che il grande edificio potesse far parte di un progetto domizianeo di sistemazione urbanistica dell’intera area, che non fu mai portato a termine poiché contro la sua facciata furono addossate le strutture della testata del portico orientale del Foro di Traiano le cui impronte scalpellate sono ancora oggi ben visibili.
    L’area attribuita al Foro di Nerva era occupata da edifici di carattere prevalentemente commerciale e dagli ingombranti perimetri delle due gigantesche absidi del lato meridionale del Foro di Augusto. Nel suo sottosuolo correva la Cloaca Maxima,

    Terrazza Domizianea.

    monumentale condotto fognario che la tradizione fa risalire all’epoca dei re, più esattamente al VI secolo avanti Cristo. Essa proveniva dalla Suburra, attraversava il Foro Romano e il Velabro e sboccava nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina. Sulla base dei dati degli scavi recenti e delle notizie fornite dagli autori classici è possibile stabilire che la trasformazione di questo tratto dell’Argiletum in Foro avvenne a opera dell’imperatore Domiziano, 81 – 96 dopo Cristo e che forse già negli anni 85 – 86 il nuovo complesso doveva avere assunto una sua fisionomia ben precisa. Tuttavia Domiziano fu assassinato nel 96 e così non poté inaugurare il suo nuovo Foro, cosa che fu invece fatta nell’anno 97 dal suo successore Nerva, 96 – 98 dopo Cristo, a nome del quale il Foro è infatti tuttora conosciuto.

    Roma, 8 agosto 2018.

  3. Villa Borghese. Da privato a pubblico: la rivoluzione del giardino nella Roma neoclassica

    Il Giardino del Lago a Villa Borghese, il Pincio, Piazza del Popolo: in uno spazio tutto sommato ridotto, nel giro di una quarantina d’anni – dalla fine del Settecento ai primi decenni del secolo successivo – si assiste a un cambiamento del gusto e del modo di vivere dei romani, che forse qui più che altrove emerge chiaramente.

    Il Giardino del Lago di Villa Borghese.

    È qui che il giardino all’italiana lascerà il passo ai primi tentativi di creazione del giardino all’inglese. E il periodo napoleonico, essenziale per questo cambiamento, segnerà l’ulteriore passaggio dal giardino privato, a tratti concesso come pubblico, al giardino realmente pubblico. È ancora qui che alla fine del Settecento vediamo il neo-classicismo muovere i primi passi, per poi crescere e maturare divenendo sempre più sobrio ed elegante nel corso dell’Ottocento.
    L’itinerario che proponiamo parte dai propilei neoclassici, ispirati ai modelli greci, realizzati da Luigi Canina e inaugurati nel 1829, che segnano imponenti l’entrata a Villa Borghese da Piazzale Flaminio, per poi giungere al Giardino del Lago. Il Giardino del Lago, però, è una creazione di fine Settecento, quando Marcantonio IV Borghese, arrivato in Villa dopo più di cento anni dalla sua creazione, decide di apportare significativi cambiamenti al giardino barocco per trasformarlo in qualcosa di più attuale. In accordo con le teorie illuministiche che esercitarono un notevole influsso sul modo di concepire la natura e l’arte dei giardini, incaricò Antonio Asprucci e suo figlio Mario di ridefinire il cosiddetto Terzo Recinto – un’area di 40 ettari, la più estesa della Villa – abbellendolo con templi, statue, fontane ed edifici di vario genere. A tal fine fu richiesta anche la collaborazione di Jacob More, pittore paesaggista che avrebbe dovuto disegnare la scenografia del Giardino. Ma le cose non andarono così e il contributo maggiore venne da un giardiniere autodidatta, Francesco Pettini, che forse non sapeva nulla di pittura e scenografia, ma sapeva molto di piante e giardini. Fu così che nacque il Giardino del Lago con il Tempio d’Esculapio, in stile ionico, con iscrizione dedicatoria in greco al dio della medicina Esculapio Salvatore e con l’innesto di una quarantina di tipi di piante, alcune delle quali, per quel periodo storico, potevano essere considerate delle vere e proprie rarità esotiche.

    I Giardini del Pincio.

    Dal Giardino del Lago, attraversando un ponte creato solo nel 1908, si arriva al Giardino del Pincio, quella parte del colle all’interno delle Mura Aureliane che si estende dalla terrazza fino a Villa Medici. Questo è, a tutti gli effetti, il primo giardino veramente pubblico di Roma, fortemente voluto da Napoleone Bonaparte, a cui è dedicato l’ampio piazzale che si affaccia su uno dei più suggestivi panorami della città. Per la sua realizzazione fu scelto l’architetto Giuseppe Valadier, che iniziò a lavorare all’allestimento nel 1816, contemporaneamente alla sistemazione della piazza del Popolo. La fine del governo napoleonico non arrestò il progetto, che fu  completato al ritorno di Pio VII a Roma e inaugurato nel 1824, quando il colle venne unito alla piazza dai due splendidi tornanti che ancora oggi si possono percorrere: una soluzione tecnica che costò al Valadier lunghi anni di studio. Da quel momento, e almeno fino alla prima metà del Novecento, il Pincio è stato il vero e proprio parco cittadino, la promenade urbana, il  giardino dove i romani hanno potuto assistere a innumerevoli eventi e spettacoli.
    Due maniere completamente nuove e diverse di vivere il verde e lo scopriremo attraverso le voci, i ricordi, le musiche e le emozioni di coloro che questi viali affollavano e ci si incontravano.

    Roma, 10 ottobre 2018

  4. Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto.

    Le Donne e le Armi -Augusto Bompiani – 1915/1918

    Un tributo alla Capitale d’Italia attraverso gli artisti che l’hanno vissuta e gli stili con cui si sono espressi. Una rassegna unica che ripercorre le correnti artistiche protagoniste del ‘900 con in primo piano la città di Roma, da sempre polo d’attrazione di culture e linguaggi diversi. Presentate oltre180 opere, tra dipinti, sculture, grafica e fotografia, di cui alcune mai esposte prima e/o non esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, in una rilettura ideale della cultura artistica di Roma, una città ipercentrica, seppur multiculturale, nella quale, nei decenni, si sono andate sedimentando diversità e univocità non sempre o non solo in conflitto fra di loro. Proprio come nella specificità cronologica individuata che, lungo il Novecento, si svolge fra Modernità e Tradizione, da Ernesto Nathan, Sindaco di Roma (1907-1913) di dichiarata ispirazione mazziniana negli anni di complessa gestione della capitale, fino al decennio dei grandi movimenti di massa e della rivoluzione artistica e culturale ormai universalmente identificata col nome dell’anno in cui si manifestò in maniera più preponderante: il Sessantotto. La mostra si muove quindi su di un tracciato storicizzato, con il preciso obiettivo di immergere le opere d’arte selezionate nel contesto geo-artistico, temporale e sociale in cui sono state create. Con in primo piano la città, quindi, la sua storia e i suoi luoghi, nelle dissimili ramificazioni territoriali, dal centro alla periferia e viceversa. Ma anche i suoi stili artistici, nei diversi periodi che si sono andati affiancando oppure sovrapponendo e sostituendo, in un avanzamento artistico e intellettuale che ha fatto di Roma il perno della cultura nazionale e internazionale del Novecento, molte volte anticipando temi e stili rispetto ad altri capoluoghi italiani così come per altre capitali europee. In mostra opere che riproducono paesaggi e figure con valenze simboliste e decadenti realizzate tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo (Duilio Cambellotti,

    Tetti di Roma – Renato Guttuso

    Onorato Carlandi, Nino Costa, Adolfo De Carolis, Camillo Innocenti, Auguste Rodin, Adolf Wildt, Ettore Ximenes, ecc.). Si tratta di opere che anticipano quella voglia di rinnovamento e modernità fondamentale per il lavoro degli esponenti della Secessione romana negli anni Dieci (Felice Carena, Nicola D’Antino, Arturo Dazzi, Arturo Noci,ecc.), così come per il gruppo dei futuristi e degli aeropittori degli anni Venti e Trenta (Benedetta Cappa Marinetti, Tullio Crali, Sante Monachesi, Enrico Prampolini, Tato, ecc.). Una parte sostanziale della mostra è dedicata a quella tendenza artistica, per così dire, di “recupero”, spesso teorico oltre che concettuale, dell’antico e della tradizione dell’arte italiana che caratterizza, seppur con distinguo, le molteplici correnti artistiche degli anni Venti-Trenta, dal Tonalismo al Realismo Magico, dalla Metafisica, al Primitivismo, tramite le quali gli artisti “guardano” Roma con un nuovo seppur “antico” sguardo (Giacomo Balla, Giuseppe Capogrossi, Felice Casorati, Emanuele Cavalli, Giorgio de Chirico, Achille Funi, Franco Gentilini, Arturo Martini, Roberto Melli, Fausto Pirandello, Mario Sironi, ecc.). Si prosegue con l’approfondimento della Scuola Romana che offre una notevole rosa di capolavori dell’arte italiana del Novecento con focus sulle demolizioni che hanno caratterizzato Roma nella distruzione/ricostruzione del centro città e il conseguente, dissennato, sviluppo delle periferie (Afro, Mario Mafai, Scipione, ecc.), per immettersi nella fase della figurazione e dell’astrazione – il segno – che ha caratterizzato la cultura post-bellica degli anni Quaranta, Cinquanta e primi Sessanta (Renato Guttuso, Leoncillo, Carlo Levi, Gastone Novelli, Achille Perilli, Giulio Turcato, Lorenzo Vespignani, Alberto Ziveri, ecc.). A chiusura, intesa però come apertura verso un’“altra” Roma, i riscontri urbani della Pop Art romana e delle sperimentazioni concettuali della

    La strada che porta a San Pietro – Scipione.

    seconda metà degli anni Sessanta che hanno definitivamente dilatato il centro dell’arte e del pensiero artistico di Roma, da Roma oltre la stessa città, per un afflato internazionale (Franco Angeli, Mario Ceroli, Tano Festa, Mario Schifano, Pino Pascali, Luca Maria Patella, Mimmo Rotella, ecc.). Anche l’’allestimento della mostra, che coinvolge tutto il museo, è stato pensato tenendo presente il nesso tra i diversi ambienti artistici, tra luoghi temporali e iconografici contigui, al fine di rappresentare la vivace e intensa vita artistica della Capitale. A tal fine anche i tradizionali apparati didattici sono affiancati, in ciascuna sezione, da strumenti multimediali realizzati in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma e l’Istituto Luce. Attraverso l’individuazione di tre concetti chiave – Architettura e urbanistica / Società/ Arte – sarà consentito visualizzare insieme immagini e brevi testi scientifici utili a dimostrare le stringenti relazioni fra, appunto, la città, il suo sviluppo e le arti. Grazie alla collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, la mostra viene anche arricchita da una specifica sezione dedicata ai FILM D’ARTISTA degli anni Sessanta, realizzati dai maggiori artisti che hanno lavorato a Roma, reinventando il linguaggio cinematografico a fini artistici: Franco Angeli, Gianfranco Baruchello, Mario Schifano e Luca Maria Patella. Da luglio 2018 e per tutto il periodo della mostra sono visibili: MARIO SCHIFANO Ferreri (n.d.), Fotografo (n.d.), Reflex (1964), Vietnam (1967), Film (1967), Souvenir (1967); GIANFRANCO BARUCHELLO – Non accaduto, (1968); LUCA MARIA PATELLA – Terra animata (1967), SKMP2 (1968); FRANCO ANGELI – [Attualità] (1967), Schermi (1968), New York (1969).

    (Presentazione ufficiale della Mostra “Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto. http://www.galleriaartemodernaroma.it/en/node/1001288).

    Roma, 20 settembre 2018