prima pagina

  1. Racconto

    Alberto Sordi racconta il quartiere Borgo

    Alberto Sordi

    In occasione della passeggiata che ricostruisce l’identità e la storia del rione Borgo pubblichiamo un piccolo frammento famoso: Alberto Sordi che racconta, nel corso di un’intervista, la prima volta che vide piazza San Pietro, prima che avvenissero gli abbattimenti della così detta Spina di Borgo il cui spazio lasciato libero permise la costruzione di Via della Conciliazione.

     

     

  2. Racconto

    La salamandra di San Luigi dei Francesi

    Alfredo Cattabiani

    In occasione della passeggiata serale dedicata al bestiario delle meraviglie, ovvero un racconto in cammino che comprende alcuni degli animali di pietra che vivono nelle strade e nelle piazze della città di Roma, pubblichiamo questo scritto tratto dal

    Nutrisco et extinguo – San Luigi de’ Francesi.

    volume di Alfredo Cattabiani “Simboli, miti e misteri di Roma” edito da Newton Compton.
    Sulla facciata di San Luigi dei Francesi due enormi salamandre, scolpite nel XVI secolo da Jean de Chenevières, eruttano lingue di fuoco. La prima, sulla sinistra, è accompagnata dal motto: «Nutrisco et extinguo», nutro e spengo; l’altra, sulla destra, da «Erit christianorum lumen in igne», sarà la luce dei cristiani nel fuoco.
    Sono imprese di Francesco I ovvero, come spiegava il Contile (Luca Contile, Cetona, 1505 – Pavia, 28 ottobre 1574 è stato un letterato, commediografo, poeta, storico, diplomatico e poligrafo italiano, ndr) componimenti di «figura e motto, rappresentando vertuoso e magnanimo disegno».

    continua…

  3. Alla scoperta di Borgo, il Rione ad limina Petri

    Nell’ager vaticanus, vale a dire nel vasto territorio compreso fra la riva del Tevere,

    Quartiere di Borgo dalle mura – Mappa di Roma del 1640.

    Castel Sant’Angelo e il Vaticano, si estendevano, in antico, i luoghi di delizia della corte imperiale. Qui sorsero le prime testimonianze del Cristianesimo in virtù della presenza della tomba dell’apostolo Pietro, martirizzato nel circo di Nerone nell’anno 64. Oltre il circo esisteva in quest’area un vasto sepolcreto dove, in una tomba terragna, fu deposto anche il primo papa. Il sito, divenne, da subito, meta di pellegrinaggi da parte della comunità cristiana di Roma.
    E’ interessante raccontare che la Roma cristiana si estese molto al di là delle mura Aureliane, perché, già a partire dall’inizio del VI secolo, si erano formati dei veri e propri suburbi intorno alle tre maggiori basiliche cristiane sorte nel IV secolo per volontà dell’imperatore Costantino, San Lorenzo sulla via Tiburtina, San Paolo sulla via Ostiense e San Pietro ai piedi del colle Vaticano. Questi suburbi erano connessi alle porte cittadine da lunghi porticati e costituivano delle propaggini di Roma nella campagna circostante. Essi formavano una specie di periferia dominata dalla presenza della Chiesa, cosparsa di edifici sacri ma anche di fattorie e di ville.
    Va detto che il sepolcro e il santuario di san Pietro superarono quelli dedicati a san Lorenzo e a san Paolo per ricchezza e importanza: romani e forestieri vi affluivano in numero sempre crescente per offrire doni, pregare e implorare la salvezza dell’anima. La basilica di San Pietro divenne così un centro di devozione popolare, in aperta concorrenza col centro ufficiale della Roma cristiana, vale a dire la basilica di San Giovanni in Laterano, la sede papale.

    San Pietro nella prima metà del 1500.

    Nei pressi di San Pietro s’insediarono numerosi sovrani britannici: Cadwalla del Wessex nel 668, Coinred della Mercia una generazione più tardi, Ina del Wessex nel 726, e infine Offa, proveniente dall’Anglia orientale, accompagnato da nobili, popolani inglesi d’ambo i sessi, digiunando e facendo elemosine. Intorno alla metà dell’VIII secolo, nordici di ogni condizione si stabilirono ad limina Petri, e dai loro paesi natali affluirono ricche donazioni destinati al soccorso dei poveri e alle lampade di San Pietro. Col passare del tempo, quindi, le varie colonie straniere, composte da ricchi col loro seguito, da poveri gregari e da eremiti, si raccolsero in appositi insediamenti o borghi nazionali. Erano nate le scholae nordiche. La prima di queste, fondata già nel 726, fu quella dei Sassoni, installata all’incirca nel luogo dove oggi sorgono l’ospedale e la chiesa di Santo Spirito in Sassia, il cui nome deriva proprio dall’antico toponimo di Burgus Saxonum, e fa sopravvivere questa presenza nordica nome quartiere di Borgo, compreso tra San Pietro e il Tevere, ancora oggi. Intorno al 770, a Nord della basilica s’insediò la schola dei Longobardi, con l’annessa chiesa di San Giustino, oggi non più esistente; verso la fine del secolo fu fondata a Sud dell’atrio la schola dei Franchi, e infine quella dei Frisoni, gruppo etnico germanico nativo delle zone costiere dei Paesi Bassi e della Germania, sorse nella zona di San Michele in

    Pianta della Antica Basilica di San Pietro – Tiberio Alfarano.

    Borgo, oggi chiesa dei SS. Michele e Magno, sulla collina a Sud-Est del portico berniniano. Nel 799 tutte queste scholae erano già strutturate come organismi civili e militari autonomi, e solo col passar del tempo furono assimilate nella vita cittadina.
    Importanza strategica allo sviluppo di Borgo era rappresentato da ponte Sant’Angelo, unico accesso per e da Roma. Esso era controllato dal castello omonimo, già mausoleo di Adriano: chi aveva possesso di questo caposaldo dominava il santuario di San Pietro e il circostante Borgo, potendo garantire un’efficace protezione o costruire una potenziale minaccia. Verso Sud, una sola strada stretta tra la pendice del Gianicolo e il Tevere, collegava la zona di San Pietro con Trastevere. Bisognerà attendere il 1576 per regolarizzare il Borgo e aprire una nuova strada a Nord, la via Alessandrina, parallela alla via di Borgo Nuovo.

    Mappa del rione Borgo e suoi confini nel XVIII secolo.

    Un momento determinante per l’evoluzione della storia topografica di Borgo fu il 547, l’anno in cui il re goto Totila, insediatosi a Roma dopo un assedio vittorioso, ma temendo l’arrivo del generale bizantino Belisario, demolite in parte le mura aureliane, fece attestare la propria scarsa guarnizione sulla destra del Tevere nella regione vaticana. Qui, appoggiandosi alla fortezza del Castello, dietro la sua parte posteriore eresse una breve cerchia di mura: nasceva in tal modo il primo recinto fortificato, detto appunto Burg da cui l’italiano Borgo, e con esso un primo tratto di mura, una parte delle quali, nell’855, sarebbe stata utilizzata da Leone IV per ampliare la cittadella di San Pietro. Le mura di papa Leone IV racchiusero la basilica di san Pietro e le chiese minori, i conventi e gli ospizi; fuori le mura, a Nord, si estendevano i campi, i cosiddetti Prati, da cui dipendeva in gran parte l’approvvigionamento della città. Partendo da Castel Sant’Angelo, le mura Leonine passavano alle spalle della basilica vaticana e tornavano sulla sponda del Tevere nei pressi dell’attuale ospedale di Santo Spirito, trasformando la zona in un recinto fortificato, anzi in una nuova città, che dal suo fondatore prese il nome di Città Leonina, ricca di tre porte e 44 torri. L’inaugurazione ebbe luogo il 27 giugno dell’852, antivigilia dei santi Pietro e Paolo.
    Nell’XI secolo il Borgo aveva assunto già da tempo la forma che avrebbe poi conservato ben oltre il medioevo, in sostanza fino al 1938, quando nell’antica rete di strade antistante San Pietro fu aperto lo squarcio di via della Conciliazione, e di cui abbiamo un’efficace rappresentazione, oltre che nelle fonti documentarie, nelle piante e nelle vedute dei secoli dal XVI al XIX secolo. La sua posizione lo proteggeva dai tumulti popolari e da eventuali forze occupanti la città; Castel Sant’Angelo e le

    La partenza del duca di Choiseul da piazza San Pietro – Giovanni Paolo Pannini.

    mura Leonine garantivano una difesa, seppure non sempre pienamente efficace, contro gli assalti dall’esterno. In particolare, poiché Borgo ospitava la basilica dedicata al primo vescovo di Roma, i suoi successori ne fecero il loro rifugio: un recinto fortificato e consacrato, parte integrante di Roma ma situato ai margini della città, facile da difendere e utilizzabile come base di partenza per un eventuale contrattacco.
    Ecco perché i papi, per tornare da Avignone, nel 1377, chiederanno come condizione assoluta di entrare in possesso della Mole Adriana per attestarsi sicuri e difesi nella regione vaticana.
    Furono Sisto IV e Alessandro VI, in vista del Giubileo del 1475 e del 1500 a dare una nuova sistemazione a Borgo, riplasmando il Borgo Santo Spirito e il Borgo Vecchio e creandone di nuovi come il Borgo Sant’Angelo, detto inizialmente Sistino perché promosso da Sisto IV, e quello che – chiamato poi per antonomasia Borgo Nuovo – fu detto inizialmente Via Alessandrina dal nome di Alessandro VI. Questi si impegnò con ogni forma di incentivo per la sua realizzazione. Infatti, per agevolare il successo di questa impresa non lesinò con l’opera di persuasione verso la gente di Curia, né con gli stimoli economici né con le esenzioni di oneri vari. Si arrivò a concedere l’immunità a chi, avendo carichi pendenti con la giustizia, venisse a stabilirsi a Borgo. Tali allettamenti e agevolazioni dovevano in seguito ripetersi in occasione della realizzazione delle principali opere urbanistiche della città papale.
    In seguito, un secondo gruppo di borghi fu creato, sempre con il medesimo andamento verso la zona vaticana, fra il muro leonino, declassato a passetto, e il nuovo muro di Pio IV.

    La Spina di Borgo prima degli abbattimenti.

    Questa zona della città rimase a lungo avulsa dalla vita comunale romana, con propria, anche se non definita, giurisdizione. Solamente nel 1586, con il riordinamento amministrativo di Sisto V, Borgo divenne il quattordicesimo rione cittadino, ma continuò sempre ad aleggiare su di esso una speciale atmosfera di autonomia. Questo spiega, per reazione, il fermo proposito espresso dai borghigiani di non restare separati da Roma, dopo il 20 settembre 1870, quando l’orientamento governativo propendeva a lasciare la zona in una sfera di sovranità pontificia.
    Per l’apertura della via della Conciliazione fu distrutta, nel 1936, la “spina” di edifici che stava tra i Borghi Vecchio e Nuovo. Anche parecchie costruzioni dei due fianchi superstiti delle due strade furono ugualmente abbattute per dar luogo ad un’edilizia di mole consistente.

    Roma, 12 luglio 2018

  4. L’Appia Antica e l’eclissi di Luna. Passeggiata serale dal Mausoleo di Cecilia Metella a via Erode Attico.

    Il fascino di una delle passeggiate archeologiche più classiche di Roma, quella che si svolge nel tratto dell’Appia Antica tra il IV e il V miglio detto proprio per questo il “belvedere”, sarà questa volta accresciuto dal camminare tra rovine antiche di imponente bellezza durante l’eclissi totale di Luna più lunga del secolo in corso.

    Appia Antica – Giovan Battista Piranesi.

    Nella notte fra il 27 e il 28 luglio 2018, infatti, si verificherà una lunghissima eclissi, della durata di un’ora e quarantatré minuti. Il fenomeno completo, dall’entrata all’uscita della Luna dal cono d’ombra della Terra, durerà quasi quattro ore. In Italia esso sarà visibile a partire dalle 22.24 del 27 luglio alle 2.19 del 28 luglio. Durante l’eclissi la Luna assumerà un particolare colore rosso grazie alla posizione particolare occupata sia dalla Luna stessa che dalla Terra, che alla presenza dei raggi rifratti del Sole che entrano in atmosfera.
    Il tratto tra il IV e il V miglio dell’Appia Antica, oggetto d’interesse dei viaggiatori in maniera continua, ricostruito grazie all’opera di Luigi Canina e interventi di Antonio Canova, che si occuparono non solo della costruzione/ricostruzione effettiva di alcuni monumenti, ma anche del recupero di frammenti archeologici e del loro reintegro, inizia subito dopo la tomba – mausoleo di Cecilia Metella e raggiunge l’incrocio tra Via Erode Attico e Tor Carbone. Di fatto lungo questo tratto della via Appia erano presenti numerosi monumenti funerari di tipo diverso, eretti a partire dall’età repubblicana fino all’età tardo imperiale, e sia Canina che Canova seguirono il criterio di preservare anche scenograficamente questo susseguirsi di tombe, piccoli mausolei, colombari, e are. La seduzione scenografica è ancora maggiore poiché questo è il tratto più lungo della via che conserva gli originali basoli romani.
    L’itinerario parte dalla tomba – mausoleo di Cecilia Metella, figlia del console Quinto Metello Cretico, e nuora del triumviro Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi della Roma tardo-repubblicana, che aveva accumulato la sua fortuna acquistando a basso prezzo i beni delle vittime delle proscrizioni di Silla. Cecilia assunse, però, una fama postuma. È dovuto a lei, o per lo meno al fatto che la sua afflitta famiglia le avesse innalzato tra il 30 e il 20 avanti Cristo un così vasto e solido monumento funebre, in un punto strategico e sopraelevato, e quindi visibile anche a distanza, se l’antica strada consolare abbia conservato il suo carattere e molti dei suoi monumenti.

    Mausoleo di Cecilia Metella.

    La tomba è costituita da una base a pianta rettangolare sormontata da un tamburo cilindrico. Della base, alta 8 metri, rimane solo il nucleo in calcestruzzo di selce, mentre del rivestimento si vedono solo i blocchi di travertino che non fu conveniente asportare; il cilindro, alto ben 11 metri e dal diametro di 30 metri, è ancora rivestito di travertino; la sua forma lo collega al genere architettonico del mausoleo di tradizione ellenistica, che proprio in quel periodo raggiungeva a Roma la massima diffusione. Sul tamburo un’iscrizione in marmo pentelico ricorda brevemente Cecilia Metella, mentre un fregio in rilievo rappresenta dei trofei di guerra, insieme a bucrani sormontati da festoni di foglie e frutta. Proprio dai crani bovini che decorano il festone la zona ha assunto il curioso toponimo di “Capo di Bove”.
    La sommità del tamburo è delimitata da una cornice, al di sopra della quale, si trova il ballatoio con la merlatura medievale; è però ancora parzialmente visibile la merlatura antica in travertino, che, assieme ai fregi guerreschi, richiama la tradizione italica che voleva il sepolcro simile ad una fortezza. Sul cilindro si trovava anche un tumulo di terra a forma di cono rovesciato, dove probabilmente crescevano dei cipressi, tipologia caratteristica dei sepolcri etruschi, che a Roma ritroviamo nel contemporaneo mausoleo di Augusto.
    Nel 1300, papa Caetani, Bonifacio VIII, donò la tomba di Cecilia Metella ai suoi familiari, che, sfruttando il fatto che la tomba sorgeva in posizione dominante, la trasformarono in roccaforte, così da poter controllare il traffico lungo l’Appia ed esigere il pagamento del pedaggio da tutti i viaggiatori. Le grosse mura sgretolate, allietate da biforette medievali che si trovano da ambo i lati della tomba, sono tutto ciò che sopravvive della roccaforte dei Caetani. Nel 1300 questi costruirono l’ormai diroccata chiesa gotica di fronte al mausoleo, dedicata a san Nicola.

    Bifore – Mausoleo di Cecilia Metella.

    Subito dopo l’imponente monumento di Cecilia Metella si erige la Torre di Capo Bove, cioè ciò che resta di un sepolcro su cui si può leggere una targa che ricorda gli studi fatti dall’astronomo Angelo Secchi nel 1865, e che recita: “Nell’anno 1865 Padre Angelo Secchi sulla traccia del P.Boscowich rigorosamente misurava lungo la via Appia una base geodetica e nell’anno 1870 collo stabilire presso i due estremi di essa questo punto trigonometrico e l’altro alle Frattocchie costituiva una base sulla quale fu verificata la rete geodetica italiana ordita nell’anno 1871 dagli ufficiali del Corpo di Stato Maggiore per la misura del grado europeo”.
    Seguono poi alcune realtà quali il Complesso di Capo di Bove che oltre un edificio moderno, tempestato di reperti archeologici, che ospita la biblioteca dedicata ad Antonio Cederna, conserva anche i resti di un importante impianto termale.
    Poco oltre, dopo due ville private e il Mausoleo degli Equinozi, si erge la tomba del liberto Marco Servilio Quarto e la così detta tomba di Seneca, entrambi restaurati da Antonio Canova.
    La tomba di Seneca è in realtà un pilastro che sorge in corrispondenza del punto in cui si ergeva la pietra miliare che segnava il IV miglio dell’Appia. Qui Seneca, il poeta e precettore di Nerone, fece costruire la sua villa, e qui Nerone, ritenendolo una dei principali attori della congiura dei Pisoni, lo fece raggiungere dai messi imperiali e lo indusse al suicidio. Canova aveva decorato il pilastro con numerosi reperti raccolti nelle immediate vicinanze. Oggi la maggior parte di essi sono stati trafugati e sopravvive solo una testa di leone.

    Sepolcro di Seneca.

    Passeggiando tra steli antiche e ville moderne le cui mura esterne mostrano spesso lacerti di epoca antica si incontra il sepolcro dei figli di Sesto Pompeo Giusto. Anche in questo caso il pilastro è stato innalzato da Canova e su di esso ha trovato collocazione un’epigrafe ricostruita quasi per intero. In essa, in esametri, Sesto Pompeo Giusto ricorda i suoi figli morti prematuramente.
    Ancora più avanti una tomba di età sillana restaurata dal Canina, come la così detta tomba di Ilario Fusco, caratteristica perché sotto il frontone triangolare si possono vedere i calchi di cinque busti, quelli originali sono esposti al Museo Nazionale Romano. Al centro una coppia di sposi mostrati nell’atto della Dextrarum Iunctio, il momento culminante del matrimonio romano, e una giovinetta, interpretata come la loro figlia, mentre ai lati si vedono due busti di due figure maschili.
    Canina ricostruì la tomba di Tiberio Claudio Secondino, appartenuta a una famiglia di liberti dell’imperatore Claudio, dove erano sepolti il capofamiglia Tiberio Claudio Secondino, divenuto esattore di banca, messo e copista, sua moglie Flavia Irene e due figli, e il poco distante mausoleo dei Rabiri, una tomba a forma di ara del I secolo dopo Cristo. Nell’edificio tombale Canina murò un rilievo rivenuto nei pressi, oggi sostituito da una copia mentre l’originale è esposto al Museo Nazionale Romano. Dall’iscrizione posta sul rilievo si trae l’informazione che i Rabiri fosse a sua volta una famiglia di liberti. L’iscrizione infatti restituisce i nomi di Gaio Rabirio Ermodoro, liberto di Postumo, di sua moglie Rabiria Demaris, e di Usia Prima, che si definisce sacerdotessa di Iside riconoscibile per la presenza dei relativi simboli del culto egizio. Gaio Rabirio e sua moglie sono ritratti in maniera che suggerisce una separazione dal terzo personaggi. Essi sono i titolari del sepolcro, e non sono ritratti fedelmente, ma con caratteristiche personali piuttosto generiche com’è tipico di questa fase tardo – repubblicana. La datazione è confermata dalla capigliatura della donna che è una variante dell’acconciatura con trecce e cerchio tipica dell’età repubblicana.

    Tomba dei Rabiri.

    Il terzo personaggio è un ritratto molto diverso dai precedenti, innanzitutto perché la donna è ottenuta rilavorando un busto maschile togato; anche lo sfondo del ritratto è stato rilavorato e abbassato di livello per poter inserire nella rappresentazione il sistro, strumento musicale che accompagna sempre la rappresentazione di Iside, e la patera, il piatto delle offerte rituali a Iside stessa. Probabilmente questa aggiunta postuma, poiché sia la capigliatura di Usia Prima che le tecniche di lavorazione fanno collocare il rilievo alla prima metà del I secolo dopo Cristo, è un riferimento al sacerdozio della defunta Rabiria Demaris.
    Poco prima del bivio tra Via Erode Attico e Tor Carbone si trova poi un altro monumento caratteristico: la tomba del Frontespizio, una tomba a torre a cui nell’Ottocento fu aggiunto un timpano triangolare e il calco di un rilievo, l’originale è al Museo Nazionale Romano, che mostra quattro busti: al centro una coppia ripresa nell’atto della Dextrarum Iunctio, e ai suoi lati i busti di un uomo e una donna più giovani. Il rilievo originale risale al I secolo avanti Cristo.

    Roma, 5 luglio 2018