Nel panorama urbanistico della Roma barocca Villa Borghese rappresenta un modello ed un’esemplificazione del gusto architettonico e del modo di conciliare l’arte e la natura. (cfr. Scipione Borghese, collezionista incontenibile ).
La sistemazione della villa inizia intorno all’anno 1606, quando Scipione Borghese acquista nuovi terreni da aggiungere all’iniziale proprietà della famiglia nei pressi dell’attuale Muro Torto. Due importanti strade pubbliche, la via delle Tre Madonne e la via Traversa, lambivano e delimitavano la nuova proprietà.
Nel progetto di Scipione Borghese la villa sarebbe stata un luogo di delizia e riposo, di rappresentanza e di accoglienza per gli ospiti, dove la cospicua raccolta antiquaria avrebbe trovato una sua collocazione e mostra. Una parte di questa collezione trovò dimora nelle stanze del Casino Nobile, oggi Galleria Nazionale Borghese, mentre altri arredi antichi, come rilievi e sarcofagi, statue e vasi, furono collocati a ornamento delle facciate dello stesso Casino Nobile, e sparsi nel giardino tra portoni, fontane, viali e piazzuole.
Il progetto, innovativo e complesso anche dal punto di vista della comunicazione, era il riflesso del clima di rinascita urbanistica che caratterizzò il pontificato di Paolo V, e contribuì all’ostentazione di magnificenza e potenza della famiglia Borghese.
Vari architetti parteciparono alla realizzazione della villa di Scipione: Flaminio Ponzio, 1560 – 1613, che progettò l’impianto architettonico della villa e dei giardini, poi, a causa della morte prematura di quest’ultimo, Giovanni Van Santen detto Vasanzio, 1550 – 1621 e ancora Girolamo Rainaldi, 1570 – 1665.
L’edificio principale era, ed è, il Palazzo, o Casino Nobile intorno al quale furono progettati gli spazi verdi, delimitati da veri e propri muri, e perciò chiamati recinti. Il Casino Nobile fu quindi concepito come il fulcro del complesso edifici – giardini, e lo spazio verde intorno ad esso fu organizzato in funzione di un costante dialogo reciproco, fatto di rimandi e richiami continui, con il Palazzo e con ciò che vi era contenuto.
Il Palazzo fu impostato su una doppia scalinata d’ingresso, una loggia scandita da cinque arcate, su cui insisteva una terrazza ornata di statue. Due torri completavano il prospetto anteriore impreziosito da un esuberante apparato decorativo. Una serie di nicchie e di ovali conteneva statue e busti di marmo, con lo scopo di evidenziare la funzione espositiva sia esterna che interna dell’edificio. Il vasto piazzale antistante fu delimitato da una balaustra arricchita di sedili e di fontanelle e sormontata da statue antiche.
All’interno del Casino Nobile si iniziò ad allestire quella che, ancora oggi, è definita “la regina delle raccolte private del mondo”, iniziata nel 1607, ovviamente, dall’eclettico cardinale Scipione Borghese.
Gli spazi, la decorazione degli ambienti e gli arredi del Casino Nobile furono pensati e scelti da Scipione Borghese, in accordo con i suoi architetti e artisti, in funzione delle opere che gli ambienti stessi avrebbero ospitato, secondo quel gusto scenografico proprio del Barocco che via via diveniva più maturo. Le pareti ad esempio furono foderate di cuoio azzurro e le statue del Bernini certamente collocate in maniera tale da sorprendere il visitatore che tra esse si sarebbe aggirato. Arrivano a noi documenti Ci sono che attestano che l’opera berniniana nota oggi con il nome di “Ratto di Proserpina”, ma nel Seicento nota come “Plutone e Proserpina”, fu collocata contro una parete di una sala aperta sulla loggia, che quindi dava sul giardino, incorniciata da una sorta di porta, che infatti era detta “Porta di Plutone”. In questa maniera allo spettatore sarebbe davvero parso che Plutone fosse appena uscito dalla porta del suo inferno e stesse proprio in quell’attimo afferrando Proserpina, la sua preda.
L’apparato scenografico era completato da un’iscrizione e da un busto di Paolo V e aveva anche un particolare messaggio politico rivolto a Ludovico Ludovisi a cui l’opera era in realtà destinata.
Il Palazzo e i giardini, in effetti, avevano più piani di lettura che andavano oltre la semplice necessità di esporre un’immensa collezione d’arte, creare un ambiente rilassante e utile per feste e banchetti.
Molti di questi piani comunicativi sono oggi andati persi soprattutto a seguito dell’imponente opera di ammodernamento avviato a partire dalla seconda metà del Settecento da Marcantonio IV Borghese, teso a portare il Casino Nobile e la villa più vicina al gusto Neoclassico che andava via via affermandosi.
Il Casino venne così ristrutturato sotto la direzione di Antonio e Mario Asprucci. Il rigore neoclassico fece scomparire parte dell’originale decorazione barocca, ad esempio quella in cuoio, e molti degli effetti scenografici, tra cui quelli che erano stati creati per esaltare la dinamicità e il significato politico dei gruppi del Bernini, e anche il giardino fu riorganizzato prendendo come modello il giardino neoclassico all’inglese, venendo così a perdere in parte il ruolo di controparte nel dialogo con il Palazzo.
Grazie all’azione di Scipione il nucleo originario della collezione d’arte antica, capace di conferire nel Seicento un’aura d’ideale universalità alle collezioni artistiche, andò ulteriormente arricchendosi dapprima con l’acquisto nel 1607 delle raccolte Della Porta e Ceuli, poi grazie a straordinari rinvenimenti occasionali, quali il celeberrimo Gladiatore, oggi al Louvre, trovato nei pressi di Anzio, e l’Ermafrodito, scoperto durante gli scavi nei pressi della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a cui Bernini regalò lo splendido materasso, anch’esso oggi al Louvre.
In questa maniera allo splendore dei marmi archeologici faceva eco la straordinaria novità della statuaria moderna, in costante competizione con i modelli classici. Dal 1615 al 1623 Gian Lorenzo Bernini eseguì per il cardinale i celeberrimi gruppi scultorei ancora oggi conservati nel Museo: la Capra Amaltea, l’Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, il David, l’Apollo e Dafne.
Un quadro abbastanza attendibile della collezione di opere d’arte di Scipione Borghese è fornito, in assenza di un preciso inventario di riferimento, dalla descrizione della villa edita nel 1650 a opera di Giacomo Manilli, che illustra, oltre l’interno del Casino Nobile, anche il suo esterno e i giardini. Alla fine del Seicento i Borghese potevano così contare su una raccolta di circa ottocento dipinti e su una delle più celebrate collezioni di antichità a Roma, oltre a uno sterminato patrimonio immobiliare. Per volere del cardinale, alla sua morte tutti i beni mobili e immobili furono sottoposti a uno strettissimo vincolo attraverso un fedecommesso, istituzione giuridica che preservò l’integrità della collezione fino a tutto il XVIII secolo.
Alla già cospicua collezione di arte antica altri pezzi si andarono ad aggiungere nel 1791 a seguito della scoperta dell’antica città dei Gabii, in una proprietà della famiglia lungo la via Prenestina. Fu così che Marcantonio IV chiese a Mario e Antonio Asprucci l’allestimento di un nuovo padiglione espositivo che fu realizzato ristrutturando uno degli edifici della villa, oggi il Casino dell’Orologio. Tra i diversi reperti fu qui esposta la “Diana dei Gabii”, oggi al Louvre di cui, nella seconda metà dell’Ottocento, Alessandro Torlonia si fece realizzare una copia in ghisa da esporre nel giardino della sua villa lungo la Nomentana.
La raccolta Borghese di arte antica subì numerose perdite quando la villa divenne proprietà di Camillo Borghese. Questi convinto che Napoleone non sarebbe mai caduto e ascoltando sua moglie Paolina, sorella di Napoleone, vendette a quest’ultimo, moltissime delle opere della collezione, che tra la fine del 1807 e il 1808, furono smontate dalla loro sede originaria e trasportate al Museo del Louvre, di cui oggi costituiscono uno dei nuclei fondamentali della collezione archeologica. La collezione di arte antica fu solo in parte reintegrate da nuovi acquisti e rinvenimenti in corso di scavi diretti dal nuovo architetto di famiglia: Luigi Canina, 1795 – 1856, il quale curò il nuovo ampliamento della villa verso la Flaminia e i nuovi arredi.
Camillo acquistò per integrare ulteriormente le perdite la Danae del Correggio e commissionò a Antonio Canova il Ritratto di Paolina quale Venere Vincitrice, con il pomo tenuto delicatamente tra le dita e adagiata su un meraviglioso materasso di marmo che lega indiscutibilmente l’opera dell’immenso scultore neoclassico a quella dell’immenso scultore barocco che aveva lavorato in quei medesimi ambienti ducento anni prima.
Nel Seicento però Scipione non fu solo un collezionista di opere d’arte antica, ma raccolse un’imponente collezione di opere di vari periodi e di diversa provenienza. Non tutte le opere arrivarono nelle sue mani sempre a seguito di acquisti. Ad esempio nel 1607, attraverso il sequestro dei dipinti dello studio del Cavalier d’Arpino seguiti ad una denuncia dello stesso per detenzione di armi di cui il d’Arpino era un collezionista, Scipione Borghese, entrò in possesso di circa cento dipinti, tra cui alcune opere giovanili di Caravaggio, di cui faceva parte il Bacchino malato. Nello stesso anno acquisì la collezione del patriarca di Aquileia, mentre nel 1608 furono acquistati settantuno straordinari dipinti appartenenti al cardinale Paolo Emilio Sfondrati, fra i quali, si ipotizza, la presenza dell’Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano, del Ritratto di Giulio II, oggi alla National Gallery di Londra, e della Madonna del velo di Raffaello, oggi al Musée Condé di Chantilly.
L’estrema spregiudicatezza di Scipione nell’accaparrarsi le opere d’arte e nell’assecondare la sua passione di collezionista moderno è testimoniata da numerose vicende, come quella dell’acquisto nel 1605 della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rifiutata dalla Confraternita poco tempo prima dell’esposizione nella cappella in San Pietro – forse per volontà dello stesso pontefice che esaudiva così un desiderio del cardinal nepote – o, ancora, dal rocambolesco trafugamento della Deposizione Baglioni di Raffaello, prelevata per volere di Scipione dal convento di San Francesco a Prato, fatta calare dalle mura della città nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608 e in seguito dichiarata “cosa privata del cardinale” da Paolo V. Altre opere di Raffaello erano presenti nella raccolta Borghese, quale prova evidente della sua indiscussa eccellenza: le Tre Grazie, oggi al Musée Condé di Chantilly, il Sogno del Cavaliere e la Santa Caterina, oggi alla National Gallery di Londra, facente parte del gruppo di opere vendute da Camillo durante gli anni d’impero di Napoleone.
Roma, 10 giugno 2018.