prima pagina

  1. Racconto

    Massima sicurezza.

    Macariolita

    E’ davvero un grande piacere ricevere e pubblicare questo racconto breve di Macariolita, socia timidissima di Roma Felix. 

    Il percorso del tram che attraversa Roma in diagonale, da Ovest a Nord Est, riassume tutta la città. Trastevere, il Tevere a Ripa Grande, la Piramide Cestia.

    San Lorenzo.

    Il Circo Massimo, il Colosseo, Laterano. Porta Maggiore e la Tomba del Fornaio, San Lorenzo, il Cimitero del Verano. Policlinico, e poi i quartieri umbertini e i Parioli, fino al capolinea ombroso nei pressi di Villa Borghese.
    Il viaggio è lungo e lento, tranquillo per forza, su vetture più o meno nuove che ogni tanto si rompono comunque. I gradini da salire e da scendere non sono agevoli per tutti, eppure spesso si trova una mano che aiuta o una voce possente che grida al conducente di aspettare a ripartire.
    Torniamo al cimitero del Verano. All’imbocco della salita, sulla sinistra del piazzale, i binari svoltano e poi si snodano diritti lungo viale Regina Margherita. Qui la massima sicurezza possibile sta nel fissare lo sguardo sulle punte dei cipressi che fuoriescono dai muraglioni, dove tutto è già successo. Una fermata, poche centinaia di metri, e subito dopo l’Istituto Superiore di Sanità bisogna chiudere, o almeno socchiudere, gli occhi, perché sulla destra arriva l’oncologico Regina Elena e poco dopo, sulla sinistra, la clinica pediatrica del Policlinico Umberto I.
    continua…

  2. Foro Romano II: l’Età repubblicana

    La caduta della monarchia e la specializzazione monumentale del centro cittadino con la costruzione delle grandi basiliche consolari. La realizzazione del Comizio

    La cacciata di Tarquinio il Superbo

    dove si decidevano le sorti dello Stato, i templi, i portici, il grande piano monumentale di Giulio Cesare. Fino alle terribili vicende seguite alle Idi di Marzo raccontate sul luogo del rogo del grande dittatore romano.
    È quanto racconterà il secondo appuntamento al Foro Romano, dopo quello dedicato alla Roma arcaica e regia.
    Secondo la tradizione, con la cacciata dei Tarquini, attorno al 509 avanti Cristo, aveva fine a Roma la monarchia e a essa sottentrava la Repubblica. La caduta della monarchia era stata opera del patriziato che, concentrando nelle proprie mani tutti i poteri politici e militari e tutte le dignità religiose, ebbe il sopravvento all’interno della neonata repubblica. La conseguenza fu il rafforzamento del potere centrale dello Stato con la creazione di due magistrati supremi, detti pretori e poi consoli, che raccolsero l’eredità dei poteri politico-militari degli antichi re. Eletti dal popolo, riunito nei Comizi Centuriati, venivano confermati dai Comizi Curiati che ne sanzionavano l’imperium. Altri importanti magistrati erano i questori, incaricati delle inchieste giudiziarie e dell’amministrazione dell’erario pubblico. Il senato, che già formava il consiglio reale, si trasformò nel consiglio dei consoli, i cui membri venivano nominati a vita come prima erano nominati i re.
    Infine, il pontifex maximus, capo del collegio dei pontefici, ereditò gran parte delle funzioni religiose del re. Tutti i collegi sacerdotali esistenti al tempo del re rimasero anche nell’età repubblicana, anche se quello dei pontefici primeggiò tanto da diventare un formidabile strumento di dominio nelle mani del patriziato. I loro responsi tennero luogo di leggi.

    Tempio di Giove Capitolino – Ricostruzione.

    Il passaggio dall’età regia all’età repubblicana corrisponde all’inaugurazione del Tempio di Giove Capitolino e all’inizio della compilazione dei consoli: è quanto confermato dai risultati di scavi relativamente recenti. L’antico edificio della Regia, nel quale la tradizione riconosceva la casa di Numa, distrutta da un incendio, fu ricostruita in nuove forme proprio alla fine del VI secolo avanti Cristo.
    La cacciata dei Tarquini non costituisce però una rottura radicale nello sviluppo della città: la crisi più grave si avrà semmai poco prima della metà del V secolo dopo Cristo. Ciò si ricava, per quanto riguarda il Foro, dalla costruzione, nei primi anni della Repubblica, di due importanti santuari: quello di Saturno, forse iniziato anch’esso in periodo regio sul luogo di un antichissimo altare della divinità, e quello di Castore e Polluce: in quest’ultimo caso, si tratta dell’evidente importanza di un culto greco, come dimostrano tra l’altro i nomi, gli stessi delle corrispondenti divinità elleniche. La scoperta a Lavinio di un’iscrizione antichissima, VI secolo avanti Cristo, con una dedica alle due divinità conferma la loro provenienza dalla Magna Grecia e la cronologia tradizionale. Come del resto la città, la seconda metà del V secolo avanti Cristo costituisce un periodo oscuro nella storia del Foro. Accanto ai vari racconti leggendari trasmessi dagli scrittori latini, almeno uno, come già accennato, si riconosce come storico e fondamentale: la creazione, verso la metà del secolo, di un corpo di leggi scritte, ispirate forse a modelli greci e inciso su tavole bronzee affisse ai Rostra nel Comizio. Si tratta di quelle celebri «XII Tavole» che

    I Galli in vista di Roma – Evariste Vital Luminais.

    formarono a lungo la base del diritto romano. Una grande vittoria, questa, dei plebei sui patrizi. Fino ad allora, la mancanza di leggi scritte determinava sentenze ingiuste a spese della classe plebea attraverso il pontefice massimo, espressione diretta del patriziato romano. Per ritrovare nel Foro un’attività edilizia degna di nota dobbiamo scendere fino al IV secolo avanti Cristo. Intono al 390 avanti Cristo ebbero luogo il saccheggio e l’incendio della città da parte dei Galli, i cui effetti sono stati probabilmente esagerati dalla tradizione antica, almeno a giudicare dalla mancanza pressoché totale di indizi archeologici dell’evento. Il Comizio fu ristrutturato una prima volta nel 338 avanti Cristo quando alla tribuna degli oratori furono affissi i rostri delle navi di Anzio – dai quali la tribuna stessa prenderà il nome di Rostra – e, la seconda volta all’inizio della Prima Guerra Punica, a opera probabilmente del console del 264 avanti Cristo di Marco Valerio Messalla.
    All’attività del vincitore dei Galli, Furio Camillo, è attribuita la costruzione, nel 367 avanti Cristo, del Tempio della Concordia, ai piedi del Campidoglio. Un’edicola alla stessa divinità fu dedicata nel 305 avanti Cristo presso il Volcanal, antichissimo santuario dedicato al dio Vulcano collocato nel Foro Romano, sopra il Comizio, nell’area Volcani, un’area all’aperto ai piedi del Campidoglio situata nell’angolo nord-occidentale del Foro Romano, dall’edile C. Flavio, sul progetto del grande Appio Claudio, il censore del 312 avanti Cristo, e varie statue furono erette nel Comizio nel corso dei secoli IV e III avanti Cristo. Sempre nel III secolo avanti Cristo risale il più antico mercato di generi alimentari, il Macellum, sorto a nord della piazza.

    Pianta del Foro Romano in Età Repubblicana.

    Ma il grande sviluppo edilizio del Foro si ebbe più tardi, dopo la fine della Seconda Guerra Punica. Con le guerre contro gli stati ellenistici Roma allarga il suo dominio anche nel settore orientale del Mediterraneo, che diviene ormai un lago romano. Le necessità urbanistiche della capitale di un impero trovano evidente corrispondenza nell’intensa attività edilizia, che trasforma in pochi decenni l’aspetto del Foro. Sorgono così nel II secolo avanti Cristo, al posto della più antica, che è della fine del III, ben quattro basiliche: la Porcia, la Fulvia-Aemilia, la Sempronia, l’Opimia, e vengono ricostruiti interamente i templi della Concordia e dei Castori, per ricordare solo i maggiori.
    All’inizio del I secolo avanti Cristo la ricostruzione sillana del Campidoglio fornì alla piazza un fondale monumentale, il Tabularium. Precedentemente, due basiliche, la Sempronia , costruita sul luogo della futura Iulia, e la Fulvia-Aemilia, avevano regolarizzato i lati meridionale e settentrionale della piazza, creando le premesse per una sistemazione organica generale, che conoscerà la sua conclusione logica nell’opera di Cesare e di Augusto. Ciò trova corrispondenza nel trasferimento delle funzioni pubbliche e giudiziarie dal Comizio, divenuto troppo piccolo, al Foro, dove ormai, a partire dalla seconda metà del II secolo avanti Cristo, si svolgono i comizi legislativi e parte dei processi, mentre parallelamente gran parte delle sue funzioni economiche trasmigrano altrove, in edifici appositamente costruiti: il mercato, Macellum, sarà ricostruito in forme monumentali dai censori del 179 avanti Cristo.
    Alla fine della Repubblica, quando Roma è divenuta capitale di un impero che si estende dalla Gallia alla Siria, l’antico Foro repubblicano appare ormai insufficiente alle funzioni di centro amministrativo e di rappresentanza della città. Il primo a dare inizio alla costruzione di un nuovo complesso monumentale, che è presentato

    Il Tempio di Castore e Polluce nel Foro Romano in Epoca Repubblicana.

    all’inizio come un semplice ampliamento dell’antico, è Giulio Cesare, fin dal 54 avanti Cristo. I successivi interventi del dittatore nell’antica piazza repubblicana sono radicali: scompare praticamente il Comizio, sostituito in parte dal Forum Iulium, mentre l’antica sede del Senato, la Cura Hostilia, ricostruita in una nuova posizione, si trasforma, significativamente, in un’appendice del nuovo Foro, Curia Iulia. La Basilica Giulia, ricostruzione assai più imponente dell’antica Sempronia, e il rifacimento della Basilica Fulvia-Aemilia concludono la ristrutturazione integrale dei dati lunghi della piazza.

    Roma, 24 maggio 2018

  3. Sant’Agata de’ Goti e l’arianesimo a Roma

    Raramente un monumento è in grado di raccontarci momenti della storia e dell’architettura poco conosciuti come nel caso della chiesa di Sant’Agata dei Goti.

    Sant’Agata de’ Goti

    Eppure questa chiesa, che si trova alle spalle della Banca d’Italia, in via Mazzarino, a metà strada fra Quirinale e Suburra, resta quasi sconosciuta a molti romani.
    La chiesa, ora affidata ai padri Stimmatini, non se ne fa un cruccio abituata come è stata nei suoi sedici secoli di storia a passare da momenti di considerazione ad altri di totale abbandono. Dire che la sua fondazione si perde nella notte dei tempi non è ripetere una frase fatta, visto che della sua nascita non si hanno notizie certe. Il primo documento è quando Recimero, un ufficiale dell’esercito romano, famoso per avere fatto e disfatto imperatori nella fase finale dell’impero romano di Occidente, negli anni fra il 467 e il 470 fa adornare timpano e abside di un mosaico raffigurante Cristo nella mandorla circondato dai 12 apostoli. Una raffigurazione musiva che in quegli anni viene particolarmente utilizzata dall’architettura cristiana. Tale iniziativa è sufficiente per far dire a Richard Krautheimer, il padre della storia dell’architettura cristiana antica, che la chiesa è del 470, datazione della quale non abbiamo certezze.
    Ma chi era Recimero? Anche su questo personaggio non si sa molto. Probabilmente

    Monogramma di Ricimero su una moneta coniata da Libio Severo.

    era un goto che, come tanti altri soldati, era entrato nel cosmopolita esercito romano e vi aveva fatto carriera. Nulla a che vedere con le cosiddette invasioni di quei secoli. Come tutti i goti era pure ariano, l’eresia sviluppatasi in oriente, in particolare per effetto della conversione alla dottrina di Ario da parte di Costanzo II, figlio di Costantino, che regnò a Bisanzio dopo la morte del padre. Tanto bastò perché intere popolazioni barbariche che vivevano oltre i confini nord orientali dell’impero che si convertirono in massa proprio in quei decenni aderissero al cristianesimo nella sua eresia ariana. Tale eresia nega la consustanzialità del Figlio con il Padre, contraddicendo la dottrina cristiana secondo la quale Dio fin dall’origine è anche Verbo, cioè una cosa sola di Figlio e Padre, come sostenuto dall’incipit del Vangelo di Giovanni.
    La dottrina venne condannata come eretica dal Concilio di Nicea del 325. Ciò non toglie che Recimero possa abbellire una chiesa ariana proprio a Roma. Perché il papato lo permette? Perché in quegli anni era in polemica con Bisanzio che non voleva riconoscere il primato romano, quindi il papa cercava di rafforzarsi con alleanze politiche in funzione anti-Bisanzio. Il caso di questa chiesa romana non resta isolato, ma qualche decennio più tardi porterà Teodorico ad abbellire la capitale occidentale dell’Impero passata a Ravenna di uno stupendo battistero ariano e della chiesa di Sant’Apollinare. Con la nostra chiesa sono questi i più famosi monumenti ariani rimasti in Italia.

    Organo – Sant’Agata de’ Goti.

    La chiesa di Sant’Agata dei Goti ha però anche un grande valore architettonico perché conserva la sua struttura originale. Essa sorge in una zona che conosce un grande sviluppo urbanistico dopo che Costantino aveva fatto costruire le sue terme sul Quirinale. È a tre navate e le due laterali sono separate da quella principale da due file di sei colonne che sono ancora al loro posto, conservando nei secoli anche la loro colorazione, seppur restaurate centinaia di volte.
    Delle basiliche costantiniane conserva la struttura in formato ridotto: le file di colonne non sono da 12 ciascuna, come il numero degli apostoli, ma 12 in tutto.
    La fortuna della chiesa prosegue fino al 535 quando cambia la situazione politica: il papato si pacifica con Bisanzio e Giustiniano avvia la disastrosa guerra gotica contro gli ostrogoti che nel frattempo si erano insediati in Italia. La guerra termina con la sconfitta dei goti nel 553, sconfitta che coincide con l’abbandono della chiesa e la sua prima caduta in disgrazia. Si riprenderà solo nel 592 quando il papa Gregorio Magno la riconsacra come chiesa cattolica dedicandola ai santi Sebastiano ed Agata, la martire uccisa a Siracusa nel 251.

    Sant’Agata de’ Goti.

    Altre tappe fondamentali sono quando la chiesa, nei secoli XI e XII, diventerà sede di un cenobio benedettino, per tornare nel XIII al clero secolare. Nei secoli successivi verrà soppressa la parrocchia e la chiesa verrà affidata dapprima all’ordine religioso degli Umiliati per passare poi ai monaci di Montevergine.
    Il Cinquecento è il secolo di importanti interventi nella chiesa ad opera di cardinali, fino a che nel Seicento non diviene titolo di importanti cardinali della famiglia Barberini che ne commissionano il soffitto e le pitture della navata centrale come le vediamo oggi, con le Storie di Sant’Agata attribuite a Paolo Gismondi detto Paolo Perugino che del ben più noto pittore del ‘400 ha solo il nome. Notevole anche il ciborio, con quattro colonne in splendido pavonazzetto ed elementi cosmateschi, frutto del restauro ricostruttivo operato nel 1932 dalla Banca d’Italia quando occupò parte dell’annesso convento.

  4. Scoperte

    Cappella Funebre del Cardinal Bessarione, Dedicata alla Madonna e ai Santi Michele Arcangelo, Giovanni Battista ed Eugenia

    Fabio Prosperi

    In occasione della visita alla cappella funebre del Cardinal Bessarione nella chiesa dei santi Apostoli, Fabio Prosperi ci propone una lettura degli affreschi. Una storia che intreccia la Storia.

    Non c’è oggetto più prezioso, non c’è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto gli occhi. Senza i libri saremmo tutti dei bruti.”

    La Flagellazione – Piero della Francesca.

    Forse è proprio questo incredibile stralcio di lettera la chiave per entrare in sintonia con le corde dell’animo di Bessarione. L’immagine delle casse dei suoi libri, donati a Venezia, che vengono trasportate a bordo di barche che scivolano sulla laguna verso la città del leone di San Marco, evoca l’arca che pone in salvo questo inestimabile retaggio che passa di mano dall’Oriente bizantino all’Occidente umanista. Proprio quei libri, scampati al diluvio ottomano, andranno a costituire il fondo primo della Biblioteca Marciana, all’epoca in cui anche Novello Malatesta costituiva la sua biblioteca a Cesena.
    Bessarione non fu solo questo, non fu solo uomo di lettere. Lo vediamo impegnato a fianco di Giovanni Paleologo al concilio di Ferrara nel tentativo di ricucire lo Scisma di Michele Cerulario, tentativo nel quale si prodigò come teologo nel dibattere la questione del Filioque e come oratore sapiente nonostante la giovane età: a trent’anni fu lui a pronunciare il discorso di apertura.

    continua…