L’Esquilino fu abitato fin da un’età assai antica, come è testimoniato dal ritrovamento di una necropoli risalente all’età del Ferro, il cui utilizzo inizia nei primi decenni dell’VIII secolo avanti Cristo. Qui sorse, successivamente, un sobborgo densamente popolato ma esterno alla città come il nome di Exquiliae, che significa probabilmente “la zona abitata fuori della città”, lascia ad intendere.
Esso sarebbe stato incluso nella città, secondo una tradizione, da Servio Tullio, che vi avrebbe preso dimora, provvedendo a fortificare l’indifeso lato orientale a mezzo dell’agger, ovvero il terrapieno difensivo ottenuto ammassando del terreno a sostegno delle mura. Da allora l’Esquilino costituì una delle quattro tribù territoriali in cui il re suddivise la città, insieme con La Palatina, La Collina e la Suburana.
In età arcaica e repubblicana, la zona orientale era occupata in gran parte da una grande necropoli, attraversata da strade e acquedotti. All’interno di questa, subito fuori della Porta Esquilina, detto anche Arco di Gallieno, va localizzato con tutta probabilità il santuario di Libitina, una divinità arcaica romana, e prima ancora italica, che aveva il ruolo di tutelare tutte le funzioni legate alla morte e quindi di presiedere ai funerali. In questa parte della città avevano perciò la loro sede i libitinarii, ovvero gli impiegati delle pompe funebri, e qui venivano conservati i materiali utilizzati nei funerali. Inoltre qui avevano luogo, in origine, le esecuzioni capitali.
La porta Esquilina, è una delle porte più antiche della città, fu interamente ricostruita da Augusto, e successivamente trasformata in un arco a tre fornici, dedicata da Marco Aurelio Vittore a Gallieno, da cui il nome di Arco di Gallieno con cui la porta è più nota, e alla moglie di questi Solonina, incisa nella cornice sottostante all’attico, fu aggiunta in un secondo tempo. Quella originaria, di età augustea, doveva trovarsi sull’attico, dove sono visibili tracce di scalpellatura.
Con Mecenate, come ricorda Orazio, Satire I, 8, iniziò il risanamento della necropoli: a poco a poco nell’area si andò formando una corona di ville e parchi, che si estendeva fino a includere la parte orientale del Quirinale e l’intero Pincio, tanto che finì per prendere il nome di “Colle dei giardini”.
I monumenti di carattere pubblico erano rari sull’Esquilino e la maggior parte di essi aveva un carattere di utilità. Tra questi vi era il Macellum Liviae, grande mercato alimentare inaugurato da Tiberio nel 7 avanti Cristo, e dedicato a Livia sua madre, e moglie di Augusto. Questo monumento ha posto diverse difficoltà d’identificazione. Per molto tempo si è ritenuto che esso potesse coincidere con l’edificio, presente nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore. Più recentemente si è tornati all’ipotesi originaria che vuole che i resti del Macellum Liviae siano da identificare con i resti di un grande edificio in mattoni a opera reticolata, scavata alla fine dell’Ottocento, subito fuori della Porta Esquilina.
Il Macellum Liviae era probabilmente in rapporto con il Forum Esquilinum, una grande piazza con funzione di mercato di cui non ci pervengono tracce, ma le cui notizie più precise ci giungono dallo storico Appiano. Quest’ultimo, in un passo in cui descrive l’attacco di Silla alla città nell’88 avanti Cristo, dice che i sostenitori di Mario, che si erano asserragliati nella città, resistettero a lungo trovando rifugio proprio nel Forum. Il Forum Esquilinum viene localizzato sul, Cispio, una propaggine del colle Esquilino su cui sorge la basilica di Santa Maria Maggiore.
Gli studiosi quindi ipotizzano che questa ampia piazza fosse posta immediatamente all’interno della porta Esquilina, come attesterebbero alcune iscrizioni ritrovate alla fine dell’Ottocento. Tra queste un’epigrafe che cita il magister vici, un magistrato incaricato della gestione di aree pubbliche, e un’altra che cita due argentarii che avevano la loro bottega all’interno del Forum Esquilinum. Una terza iscrizione ricorda che nel V secolo dopo Cristo il prefetto urbano si occupò del restauro del Forum Esquilinum attestando così l’uso di quest’area a lungo.
Seguendo dunque la via Carlo Alberto, di fronte alla facciata di Santa Maria Maggiore, sta incastrato un frammento superstite delle Mura Serviane in blocchi di tufo di Grotta Oscura, un tufo poroso e giallastro proveniente dal costone posto tra Veio e la riva destra del Tevere: il suo andamento è obliquo rispetto alla strada moderna. Svoltando a destra nella viuzza immediatamente seguente, dove è la chiesa di San Vito, ci si trova di fronte all’Arco di Gallieno, che è orientato esattamente come le Mura Serviane e s’inserisce sul loro percorso.
La chiesa di San Vito, definita già dai tempi di papa a Leone III (795-816) come “in Macello”, nome che è forse la testimonianza più forte della presenza del Macellum Liviae lì dove sorgeva la porta Esquilina, sta addossata all’Arco di Gallieno, e occupa uno dei fornici più piccoli della porta Esquilina. L’associazione tra Arco di Gallieno e chiesa è un elemento che appartiene alla memoria della città antica, tanto da apparire anche nella pianta di Roma disegnata da Pirro Ligorio nella metà del XVI secolo. La chiesa fu completamente ricostruita nel 1477 da papa Sisto IV. Particolarmente importante è un affresco di Antoniazzo Romano che raffigura la Madonna con il Bambino e Santi. Inserita su di una parete è la cosiddetta “pietra scellerata” cui sarebbe legato il ricordo della uccisione di numerosi primi cristiani. La tradizione popolare riteneva per questo motivo che la pietra avesse il potere di curare dall’idrofobia, e quindi da essa veniva grattata via la polvere da utilizzare come medicamento in casi di idrofobia.
Il nucleo più antico della chiesa è ora visibile grazie all’apertura al pubblico del sito archeologico adiacente alla Cripta, insieme a quanto emerso da una campagna di scavo avviata quasi cinquanta anni fa e ripresa nel 1979: antiche porzioni di mura del VI secolo avanti Cristo fondate sulla Valle dell’Esquilino, nei pressi della prima Porta Esquilina, resti di basolato che lascia intuire il percorso che la strada seguiva passando sotto il fornice dell’arco al posto del quale la chiesa è stata edificata, opere idrauliche connesse all’acquedotto Anio Vetus, di particolare interesse per la storia della chiesa i resti del castellum aquae. In ambienti addossati al castellum aquae, infatti, sorse la diaconia. A questi ambienti si accedeva attraverso una porta che si apriva sulla strada romana. La diaconia risale al IV secolo dopo Cristo quando qui nel 303 dopo Cristo furono martirizzati diversi cristiani tra cui colui che diventerà San Vito, invocato nei casi di epilessia e di un disturbo nervoso detto “ballo di San Vito”.
Roma, 22 aprile 2018