prima pagina

  1. Alla scoperta dell’Esquilino: il Macellum Liviae e la Chiesa di San Vito in macello Liviae

    L’Esquilino fu abitato fin da un’età assai antica, come è testimoniato dal ritrovamento di una necropoli risalente all’età del Ferro, il cui utilizzo inizia nei primi decenni dell’VIII secolo avanti Cristo. Qui sorse, successivamente, un sobborgo densamente popolato ma esterno alla città come il nome di Exquiliae, che significa probabilmente “la zona abitata fuori della città”, lascia ad intendere.

    Porta Esquilina poi trasformata in Arco di Gallieno – Ricostruzione

    Esso sarebbe stato incluso nella città, secondo una tradizione, da Servio Tullio, che vi avrebbe preso dimora, provvedendo a fortificare l’indifeso lato orientale a mezzo dell’agger, ovvero il terrapieno difensivo ottenuto ammassando del terreno a sostegno delle mura. Da allora l’Esquilino costituì una delle quattro tribù territoriali in cui il re suddivise la città, insieme con La Palatina, La Collina e la Suburana.
    In età arcaica e repubblicana, la zona orientale era occupata in gran parte da una grande necropoli, attraversata da strade e acquedotti. All’interno di questa, subito fuori della Porta Esquilina, detto anche Arco di Gallieno, va localizzato con tutta probabilità il santuario di Libitina, una divinità arcaica romana, e prima ancora italica, che aveva il ruolo di tutelare tutte le funzioni legate alla morte e quindi di presiedere ai funerali. In questa parte della città avevano perciò la loro sede i libitinarii, ovvero gli impiegati delle pompe funebri, e qui venivano conservati i materiali utilizzati nei funerali. Inoltre qui avevano luogo, in origine, le esecuzioni capitali.
    La porta Esquilina, è una delle porte più antiche della città, fu interamente ricostruita da Augusto, e successivamente trasformata in un arco a tre fornici, dedicata da Marco Aurelio Vittore a Gallieno, da cui il nome di Arco di Gallieno con cui la porta è più nota, e alla moglie di questi Solonina, incisa nella cornice sottostante all’attico, fu aggiunta in un secondo tempo. Quella originaria, di età augustea, doveva trovarsi sull’attico, dove sono visibili tracce di scalpellatura.

    Arco di Gallieno – giovan Battista Piranesi

    Con Mecenate, come ricorda Orazio, Satire I, 8, iniziò il risanamento della necropoli: a poco a poco nell’area si andò formando una corona di ville e parchi, che si estendeva fino a includere la parte orientale del Quirinale e l’intero Pincio, tanto che finì per prendere il nome di “Colle dei giardini”.
    I monumenti di carattere pubblico erano rari sull’Esquilino e la maggior parte di essi aveva un carattere di utilità. Tra questi vi era il Macellum Liviae, grande mercato alimentare inaugurato da Tiberio nel 7 avanti Cristo, e dedicato a Livia sua madre, e moglie di Augusto. Questo monumento ha posto diverse difficoltà d’identificazione. Per molto tempo si è ritenuto che esso potesse coincidere con l’edificio, presente nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore. Più recentemente si è tornati all’ipotesi originaria che vuole che i resti del Macellum Liviae siano da identificare con i resti di un grande edificio in mattoni a opera reticolata, scavata alla fine dell’Ottocento, subito fuori della Porta Esquilina.
    Il Macellum Liviae era probabilmente in rapporto con il Forum Esquilinum, una grande piazza con funzione di mercato di cui non ci pervengono tracce, ma le cui notizie più precise ci giungono dallo storico Appiano. Quest’ultimo, in un passo in cui descrive l’attacco di Silla alla città nell’88 avanti Cristo, dice che i sostenitori di Mario, che si erano asserragliati nella città, resistettero a lungo trovando rifugio proprio nel Forum. Il Forum Esquilinum viene localizzato sul, Cispio, una propaggine del colle Esquilino su cui sorge la basilica di Santa Maria Maggiore.

    Chiesa di San Vito e Arco di Gallieno

    Gli studiosi quindi ipotizzano che questa ampia piazza fosse posta immediatamente all’interno della porta Esquilina, come attesterebbero alcune iscrizioni ritrovate alla fine dell’Ottocento. Tra queste un’epigrafe che cita il magister vici, un magistrato incaricato della gestione di aree pubbliche, e un’altra che cita due argentarii che avevano la loro bottega all’interno del Forum Esquilinum. Una terza iscrizione ricorda che nel V secolo dopo Cristo il prefetto urbano si occupò del restauro del Forum Esquilinum attestando così l’uso di quest’area a lungo.
    Seguendo dunque la via Carlo Alberto, di fronte alla facciata di Santa Maria Maggiore, sta incastrato un frammento superstite delle Mura Serviane in blocchi di tufo di Grotta Oscura, un tufo poroso e giallastro proveniente dal costone posto tra Veio e la riva destra del Tevere: il suo andamento è obliquo rispetto alla strada moderna. Svoltando a destra nella viuzza immediatamente seguente, dove è la chiesa di San Vito, ci si trova di fronte all’Arco di Gallieno, che è orientato esattamente come le Mura Serviane e s’inserisce sul loro percorso.
    La chiesa di San Vito, definita già dai tempi di papa a Leone III (795-816) come “in Macello”, nome che è forse la testimonianza più forte della presenza del Macellum Liviae lì dove sorgeva la porta Esquilina, sta addossata all’Arco di Gallieno, e occupa uno dei fornici più piccoli della porta Esquilina. L’associazione tra Arco di Gallieno e chiesa è un elemento che appartiene alla memoria della città antica, tanto da apparire anche nella pianta di Roma disegnata da Pirro Ligorio nella metà del XVI secolo. La chiesa fu completamente ricostruita nel 1477 da papa Sisto IV. Particolarmente importante è un affresco di Antoniazzo Romano che raffigura la Madonna con il Bambino e Santi. Inserita su di una parete è la cosiddetta “pietra scellerata” cui sarebbe legato il ricordo della uccisione di numerosi primi cristiani. La tradizione popolare riteneva per questo motivo che la pietra avesse il potere di curare dall’idrofobia, e quindi da essa veniva grattata via la polvere da utilizzare come medicamento in casi di idrofobia.
    Il nucleo più antico della chiesa è ora visibile grazie all’apertura al pubblico del sito archeologico adiacente alla Cripta, insieme a quanto emerso da una campagna di scavo avviata quasi cinquanta anni fa e ripresa nel 1979: antiche porzioni di mura del VI secolo avanti Cristo fondate sulla Valle dell’Esquilino, nei pressi della prima Porta Esquilina, resti di basolato che lascia intuire il percorso che la strada seguiva passando sotto il fornice dell’arco al posto del quale la chiesa è stata edificata, opere idrauliche connesse all’acquedotto Anio Vetus, di particolare interesse per la storia della chiesa i resti del castellum aquae. In ambienti addossati al castellum aquae, infatti, sorse la diaconia. A questi ambienti si accedeva attraverso una porta che si apriva sulla strada romana. La diaconia risale al IV secolo dopo Cristo quando qui nel 303 dopo Cristo furono martirizzati diversi cristiani tra cui colui che diventerà San Vito, invocato nei casi di epilessia e di un disturbo nervoso detto “ballo di San Vito”.

    Roma, 22 aprile 2018

  2. Ritorno all’EUR

  3. San Nicola in Carcere: la chiesa e i tre templi

    L’abbondanza di costruzioni monumentali e di meraviglie archeologiche, che ancora ammiriamo ai piedi

    Ricostruzione degli edifici alle pendici del Campidoglio

    Ricostruzione degli edifici alle pendici del Campidoglio

    del Campidoglio, fa di quest’area una delle più significative per la vita dell’antica Roma. Anzi, per la sua stessa nascita. Cresciuta dentro la cinta quadrata del Palatino e negli altri aggregati sulle colline, Roma trovò proprio in questa zona pianeggiante, distesa lungo gli approdi del fiume, la sua ragion d’essere: grazie allo sviluppo di una primitiva attività commerciale, l’area divenne punto di scambio e di mediazione fra i popoli dell’opposta regione etrusca e quelli che inviavano i loro operatori dalla Campania Felix o dalle montuose terre del centro della penisola. Qui, nel luogo di incontro con gli stranieri, presso il Foro Olitorio e il Foro Boario (che si estendeva nella zona della Bocca della Verità), la Roma repubblicana elevò un magnifico fronte di aree marmoree e di templi con selve di colonne. Brillavano in alto le cuspidi monumentali del Campidoglio.
    La visita inizia dagli imponenti resti del Teatro di Marcello, che mostrano in maniera evidente una realtà comune a tante parti del centro storico di Roma: la stratificazione di successive edificazioni nelle varie epoche.
    Il teatro, iniziato da Cesare, fu compiuto da Augusto tra il 13 e l’11 a.C. e dedicato alla memoria

    Teatro di Marcello

    Teatro di Marcello

    dell’amatissimo Marco Claudio Marcello, nipote e genero prediletto (era infatti figlio della sorella Ottavia e marito di sua figlia Giulia), morto non ancora ventenne nel 23 a.C. e per il quale Virgilio scrisse i suoi famosi versi di rimpianto: «Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo» (Eneide, VI, 860 e sgg.). Il monumento, già interrato per qualche metro, con le arcate dell’ordine inferiore occupate da povere botteghe, è stato isolato e sistemato tra il 1926 e il 1932. L’imponente e severo monumento, che non di rado fu preso a modello dagli artisti del Rinascimento, era costituito da due ordini di 41 arcate ciascuno, coronati da un attico; la cavea, che si apriva ove attualmente è il giardino di Palazzo Orsini, poteva contenere circa 15.000 spettatori. Si cominciò a demolirne la scena e il portico annesso per restaurare il ponte Cestio; alla metà del sec. XII la parte rimanente del teatro fu trasformata in fortezza dai Fabi; a questi subentrarono i Savelli, che tra il 1523 e il 1527 vi fecero costruire da Baldassarre Peruzzi i due piani del palazzo, il quale acquistò forma definitiva quando nel 1712 passò agli Orsini.
    Davanti al teatro, su un alto podio, svettano le tre colonne angolari del Tempio di Apollo Sosiano, eretto nel 433 a.C., rifatto nel 179 quando assunse l’appellativo di Apollo Medicus e ricostruito nel 34 a.C. dal console C. Sosius, da cui il nome. Le tre colonne che oggi ammiriamo furono rialzate nel 1940. Accanto ad esse il basamento di un altro tempio, identificato con quello di Bellona, del 296 a.C. Qui il Senato accoglieva il generale vittorioso e ne decideva il trionfo.
    La via del Teatro di Marcello prosegue attraverso i resti dell’antico Foro Olitorio, il mercato degli ortaggi, che si estendeva dalle pendici del Campidoglio al Tevere e dal Teatro di Marcello al Foro Boario.

    San Nicola in Carcere

    San Nicola in Carcere

    Addossata a un modesto rialzo del terreno ove si apre la piazza di Monte Savello, sorge la chiesa di San Nicola in Carcere, eretta sui resti di tre templi, in parte visibili sul lato destro della chiesa e nei muri perimetrali della stessa. I templi erano allineati uno accanto all’altro, come i templi repubblicani di largo Argentina. Il primo a sinistra pare sia da identificare con il Tempio della Speranza, eretto al tempo della prima guerra punica; quello mediano, il maggiore, su cui sorge la chiesa, è stato identificato con Tempio di Giunone Sospita, eretto nel 197 a.C. durante la guerra gallica; il tempio di destra è dedicato a Giano.
    La chiesa di San Nicola in Carcere, nota fin dal sec. XI, è probabilmente più antica e fu una diaconia. Dovette presumibilmente ricadere nella colonia greca della zona, come dicono la sua intitolazione a un santo greco e soprattutto l’appellativo «in carcere», riferito alla prigione che vi sorse in epoca bizantina nell’ VIII secolo.
    Fu largamente rimaneggiata a partire dai lavori fatti eseguire dal cardinale Borgia, poi papa Alessandro VI, successivamente dal cardinale Federico Borromeo e dal cardinale Aldobrandini, il quale, nel 1599 fece

    San Nicola in Carcere con le demolizioni in corso

    San Nicola in Carcere con le demolizioni in corso

    costruire da Giacomo della Porta l’attuale facciata; restaurata e decorata sotto Pio IX nel 1865, fu liberata nel 1932 dai fabbricati che le erano addossati, così da mettere in luce i resti degli antichi templi. A destra della facciata si leva la massiccia torre medievale adattata a campanile. L’interno basilicale, a tre navate divise da 14 colonne (diverse per materiali e dimensioni e che provengono tutte da antichi templi), occupa in larghezza tutta l’area del tempio di Giunone. Le colonne incorporate nei muri laterali appartengono, invece, ai due templi minori. All’inizio della navata destra si ammira l’affresco Trinità e Angeli del Guercino; più avanti una Madonna col Bambino di Antoniazzo Romano.
    Davanti alla chiesa è situata una notevole costruzione medievale, detta Casa dei Pierleoni, che è affiancata da una torre e presenta bifore e trifore. In alto, sulla rupe capitolina, si scorge una caratteristica costruzione con loggia a colonne, di tardo stile neoclassico: è la cosiddetta Rupe Tarpea dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall’Urbe.
    Tra il Teatro di Marcello, la chiesa di San Nicola in Carcere e la pendice capitolina – corrispondente al Foro Olitorio o delle verdure – si trovava (fino alle demolizioni del 1932) la celebre piazza Montanara.

    Piazza Montanara

    Piazza Montanara

    Il nome veniva da una vecchia famiglia Montanari che possedeva case nella zona, e la notorietà derivava dall’essere il centro di convegno della gente di campagna che, da qui alla Bocca della Verità, aveva il principale luogo di mercato. Vi affluivano – come anche a piazza Farnese – pecorai dell’agro e butteri maremmani, fattori, capocci e vaccari: tutto il complesso mondo della campagna romana con la sua varietà di funzioni e di attribuzioni. Ma, soprattutto nell’Ottocento, convergevano qui anche i montanari d’Abruzzo, i contadini marchigiani, i vignaioli della Romagna e i braccianti in genere, in cerca di ingaggio per i lavori stagionali. A dimostrazione dell’antica vocazione mercantile della Roma alle pendici del Campidoglio.

    Roma, 4 aprile 2018