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  1. Alla scoperta delle antiche dimore: Palazzo Mattei di Giove

    Palazzo Mattei di Giove, detto anche Antici-Mattei fu costruito da Carlo Maderno tra il 1598 e il 1611 per Asdrubale Mattei, duca di Giove. È l’ultimo, in ordine di tempo, dei cinque palazzi Mattei che formano un unico complesso architettonico – la

    L’Insula Mattei in pianta.

    cosiddetta “isola Mattei” – tra via Caetani, via delle Botteghe Oscure, piazza e via Paganica, piazza Mattei e via dei Funari. È sede della Discoteca di Stato, del Centro Italiano di Studi Americani, dell’Istituto Storico per l’Età moderna e contemporanea e della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea.
    I Mattei, le cui case medievali si trovano in Piazza in Piscinula a Trastevere, vennero a risiedere in questa zona alla metà del Quattrocento e vi costruirono gradualmente una serie di palazzi con il nome dei feudi di spettanza dei diversi rami familiari. Discendendo dall’antico casato romano dei Papareschi, i Mattei detenevano tra l’altro il remoto privilegio di fungere da “Guardiani di Ponti e Ripe” in periodo di Sede Vacante. Tale funzione, analoga a quella dei Chigi di “Maresciallo del Conclave” comportava anche il diritto di esigere pedaggi. La custodia dei ponti veniva assicurata da una compagnia di fanti in uniforme rossa, provenienti dai feudi ducali.
    Prime ad essere costruite furono le due case corrispondenti ai portali di piazza delle Tartarughe. Esse vennero riunite ed ebbero un’unica facciata a metà del Cinquecento.
    Quello a destra, cui si accede attraverso il più portale interessante, con cornice marmorea e stemma, ha di fronte un arioso porticato a doppio ordine di archi su agili colonne. Si accede al secondo piano con un erto scalone esterno che attribuisce un particolare fascino all’insieme, la cui realizzazione viene attribuita a Nanni di Baccio Bigio, allievo di Michelangelo.

    Palazzo Mattei di Giove – Giuseppe Vasi.

    Il Palazzo Mattei Paganica della via omonima è del Vignola: ha il cortile con portico e loggia chiusa sul lato della facciata e sale decorate dagli Zuccari. L’esterno si nota soprattutto per un grandioso cornicione. Ha sede nel palazzo l’Istituto della Enciclopedia Italiana, fondato nel 1925 da Giovanni Treccani.
    Sotto il palazzo si trovano i resti del Teatro di Balbo la cui scena era in direzione di via Caetani. Al di là della strada attuale si trovava la Crypta Balbi i cui avanzi, nei quali si erano insediati i funari, tintori ed altri artigiani, presero nel Medioevo il nome di “botteghe oscure”. La Crypta Balbi era un annesso del Teatro omonimo; essa doveva aver forma di portico o di passaggio coperto per funzioni di pubblica accoglienza, collegate con la vita del teatro medesimo. Su via delle Botteghe Oscure insiste Palazzo Caetani, costruito però per un Alessandro Mattei.
    Infine, Palazzo Mattei di Giove, titolo di un altro possesso feudale della famiglia, all’angolo tra le vie dei Funari e Caetani, quindi con doppia ed analoga facciata. L’esterno ha imponenza massiccia, alternando laterizio e travertino, ed è concluso con un maestoso cornicione. Due atri uguali, corrispondenti ai due portoni, confluiscono con bell’effetto in un primo cortile che ha, su un lato, uno spazioso porticato con loggia e, di fronte, l’arco di passaggio a un secondo cortile.

    Palazzo Mattei di Giove – Cortile.

    Difficile descrivere l’effetto di stupore e di serenità che è ingenerato dalla ricchissima esposizione di antichi rilievi sui diversi prospetti, dalle statue che ritmano il cortile, dai busti che si affacciano alla loggia. Questi marmi, che possono dare l’idea di un tipo di decorazione che fu propria di alcune delle più ricche dimore, e che sono profusi anche lungo lo scalone, con stucchi sui cupolini dei ripiani, rappresentano gli avanzi di una raccolta di antichità di proprietà della famiglia, e per la cui esposizione fu realizzata la Villa Mattei, oggi indicata con il nome di Villa Celimontana. In questo primo cortile compare lo stemma dei Mattei associato con l’aquila dei Gonzaga: Asdrubale era, infatti, sposato con Costanza Gonzaga, imparentata con la potente famiglia degli Asburgo.
    Nelle sale del palazzo ora occupate dal Centro Studi Americani, si possono ammirare affreschi di Francesco Albani, Giovanni Lanfranco, Pietro da Cortona, Paul Brill. In una piccolissima cappella sono visibile anche degli affreschi di Antonio Pomarancio. In questo bellissimo palazzo ha soggiornato, tra il novembre 1822 e l’aprile 1823, Giacomo Leopardi, imparentato con il ramo Antici- Mattei. Estinta, infatti, la linea maschile dei Mattei di Giove all’inizio del XIX secolo, il palazzo fu ereditato da Marianna, figlia di Giuseppe Mattei e moglie di Carlo Teodoro Antici di Recanati, fratello di Adelaide, madre di Leopardi.
    Nel 1938 l’edificio fu acquistato dallo Stato.

    Roma, 29 aprile 2018

  2. Scipione Borghese: il collezionista incontenibile

    Scipione Borghese, il potente cardinale nepote, dopo aver iniziato, quasi in contemporanea, la realizzazione della villa sul Quirinale, oggi proprietà dei Pallavicini, e della villa sul Pincio, oggi nota come Villa Borghese, abbandona la prima vendendola ai Lante per dedicarsi totalmente alla seconda.

    Uccelliere - Villa Borghese

    Uccelliere – Villa Borghese

    Per fare ciò, in un brevissimo arco di tempo acquista proprietà diverse, diventando proprietario di una vastissima area, oggi di quasi 80 ettari, che in parte andrà ad insistere sugli Horti Luculliani. Appunto agli Horti Luculliani e alle altre ville di “otium” romano si ispira, riproponendone in qualche modo le caratteristiche, la grande villa del cardinale.
    La residenza sul Pincio sarà concepita come un’enorme villa di rappresentanza, dedicata esclusivamente al ristoro di mente e corpo, alla meditazione e al piacere, e forse destinata anche all’attuazione della politica di Paolo V e all’esercizio del potere. Soprattutto, però, sarà il luogo privato dove la complessa personalità di Scipione troverà una delle sue più grandi espressioni.
    Nella villa sul Pincio non ci accoglie più lo Scipione Borghese del Casino dell’Aurora, che si presentava ai suoi ospiti come l’Apollo che governa l’alternarsi del giorno con la notte, che proclamava al mondo intero la sua potenza, ma il raffinato e smodato collezionista di opere d’arte antica e moderna, di fiori, di uccelli, di animali “esotici” e di tutto il “collezionabile” che poteva esistere nel Seicento. Scipione sarà in pratica il primo collezionista in senso moderno, lanciando una moda che prenderà presto piede a Roma.

    I Termini - Pietro e Gian Lorenzo Bernini

    I Termini – Pietro e Gian Lorenzo Bernini

    La realizzazione degli spazi sia interni che esterni della villa fu affidata a Flaminio Ponzio, che però morì prima di riuscire a portare a termine la committenza. Della sistemazione del giardino e dei casini fu allora incaricato Giovanni Vasanzio, affiancato però da altri artisti, tra i più richiesti del Seicento, come Bernini.
    Il cardinale Scipione Borghese non fu un committente passivo, ma pose estrema cura nel definire gli spazi interni del casino nobile. Gli arredi, ad esempio, furono scelti in funzione delle opere stesse e del loro posizionamento, e fu il cardinale stesso a decidere, insieme a Bernini, dove posizionare i gruppi marmorei. Analoga cura dedicò alla definizione degli spazi esterni della villa, da subito concepiti come la prosecuzione all’aperto del casino, che respirano insieme al casino medesimo e che hanno una ragione d’essere proprio in virtù delle opere e delle collezioni che all’interno potevano (e possono) essere ammirate.
    E se le forme del casino ancora risentono del Rinascimento nella loro essenzialità, il giardino resta, nonostante le tante trasformazioni subite nei secoli, uno dei migliori esempi romani di giardino barocco, dove ancora si può riconoscere l’organizzazione in recinti e la separazione tra spazi privati e spazi pubblici.
    Tra gli spazi privati che i restauri hanno restituito al visitatore nella loro forma quasi originaria ci sono i “giardini segreti”, vere e proprie stanze verdi il cui accesso era possibile solo dal casino nobile e dove Scipione aveva la sua collezione di bulbacee, di piante da fiore e di agrumi.

    Platano - Villa Borghese

    Platano – Villa Borghese

    La passeggiata è un’occasione per conoscere la villa barocca, scoprire alcuni aspetti che spesso sfuggono all’attenzione pur essendo in realtà molto evidenti: è il caso della cosiddetta Grotta dei Vini o di alcuni dei maestosi platani piantati per volere di Scipione e che oggi hanno perciò più di 400 anni.
    Ma un giardino che attraversi un arco di tempo così lungo non può rimanere uguale a se stesso. Cambiano i gusti e le mode, e percorrerlo diventa l’occasione per raccontare queste trasformazioni, e passeggiare, per così dire, nella storia.
    D’altra parte Villa Borghese è forse uno dei pochi luoghi a Roma dove il passato, in particolare il Seicento e il Settecento, sposa il presente. Accanto al giardino barocco troviamo infatti il giardino neoclassico, ma anche alcune opere d’arte contemporanea come il monumento ad Umberto I, di Davide Calandra, e quello dell’Umile Eroe, probabilmente l’unico monumento mai dedicato ad un mulo, che oggi è collocato proprio davanti alla casa che fu di Pietro Canonica, lo scultore che lo realizzò nel 1940.

    Monumento ad Umberto I - Davide Calandra

    Monumento ad Umberto I – Davide Calandra

    Agli inizi del Novecento, prima che la villa passasse nella disponibilità dello Stato Italiano, alcune sue parti saranno destinate ad usi diversi. Quella che oggi è la casa del cinema, ad esempio, era una vaccheria, dove era possibile acquistare latte, burro o ricotta freschi, prodotti dal latte delle mucche allevate sui terreni della villa stessa.
    Nel 1911 il principe Borghese, inaugurerà, alla presenza delle più alte cariche dello Stato italiano, il primo nucleo di quello che sarà poi l’attuale Bioparco, lo zoo di Roma.

    Roma, 29 aprile 2018.

  3. La rinnovata primavera del Palatino, il colle degli imperatori

    La posizione del Palatino, situato al centro del sistema delle colline che saranno via via occupate dalla città, in prossimità del Tevere, ma più lontano del Campidoglio e dell’Aventino, era la più adatta a un insediamento umano. La sommità centrale, il Palatium, digradava verso il Foro Boario e il Tevere con un pendio, il Germalus, ed era collegata al retrostante Esquilino tramite una sella e la collina della Velia.

    Insediamento Età del Ferro – Palatino.

    La leggenda racconta di un’occupazione del colle da parte di Greci immigrati dall’Arcadia sotto la guida di Evandro e del figlio Pallante, due divinità minori nel pantheon arcadico, e questa tradizione trova la sua conferma nelle scoperte archeologiche che hanno documentato la presenza di commercianti greci nel Foro Boario relativa all’epoca della colonizzazione greca dell’Italia Meridionale.
    Ma esiste anche la tradizione ancora più antica che vuole la fondazione di Roma a opera di Romolo, che viene data intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo, nel 754 avanti Cristo secondo lo storico Varrone vissuto tra l’età di Cesare e quella di Augusto. La Casa Romuli era identificata, già in antico, in una capanna, continuamente ricostruita e restaurata, situata nell’angolo Sud – Ovest della collina – lo stesso occupato più tardi dalla Casa di Augusto – dove sono stati scavati resti di capanne dell’età del Ferro, scoperta che sembra quindi confermare la tradizione.
    Sul Palatino sono attestate tradizioni religiose antichissime quali quella della dea Pales, il cui nome potrebbe essere collegato etimologicamente a Palatium. La festa della divinità, dette Palilia o Parilia cadeva il 21 aprile, che gli storici antichi considerano giorno della fondazione della città. Anche la festa legata alla lupa, i Lupercalia, animale sacro della città, aveva luogo sul Palatino. La grotta – santuario della lupa era collocata ai piedi del Palatino, verso il Tevere; da essa i sacerdoti – lupi, vestiti di pelli caprine, muovevano per fare il giro della collina, per purificarla ritualmente, frustando quanti venivano loro a tiro, specialmente le donne. Il rito assumeva così valore esplicito di cerimonia della fecondità. Il Lupercale e riti connessi vennero più tardi collegati con la leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa.

    Resti del Palatium – Palatino.

    I culti di Apollo e di Vesta furono invece fondati da Augusto nell’ambito stesso della sua casa. Grazie agli scavi realizzati tra il 1865 e il 1870, è ormai accertato che il tempio di Apollo fu iniziato da Augusto nel 36 avanti Cristo, subito dopo la battaglia di Nauloco contro Sesto Pompeo, e terminato nel 28 avanti Cristo dopo Azio. Il tempio era compreso nella parte pubblica della Casa di Augusto, con il quale era intimamente collegato. La Repubblica segnò soprattutto la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana. Tra coloro che vi abitarono, Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, il celebre oratore Lucio Licinio Crasso, Cicerone e suo fratello Quinto e Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore Tiberio.
    L’episodio fondamentale della storia del Palatino è che Augusto, che vi era nato, scelse di abitarvi, in un primo tempo nella casa di Ortensio, che fu poi da lui ampliata con l’acquisto di altre abitazioni. Di conseguenza, gli altri imperatori elessero anch’essi a loro dimora il Palatino, sul quale furono costruiti i palazzi di Tiberio, ampliato da Caligola, di Nerone, la Domus Aurea che si estendeva fin qui, dei Flavi, la cosiddetta Domus Flavia e la Domus Augustana, di Settimio Severo.
    Alla fine dell’età imperiale la collina era occupata da un unico immenso edificio, che nel suo insieme costituiva l’abitazione degli imperatori. Il nome di Palatium, Palatino, passò così a indicare il palazzo per eccellenza, quello dell’imperatore, e successivamente diventò un nome comune, diffuso in tutte le lingue europee.

    Ricostruzione del Palatino.

    In questo modo, nella sontuosità dei palazzi imperiali, si creò il simbolo stesso del potere: per mille anni ogni idea di dominio universale s’incardinò alla residenza su questo colle, dove, infatti, si succedettero i monarchi Goti, gli esarchi di Bisanzio e i protagonisti del rinnovato Impero, detto Sacro e Romano, da Carlo Magno fino a Ottone III.
    All’avvento del nuovo millennio il destino del colle mutò, e qui s’insediarono, fra le rovine e i campi destinati all’allevamento, chiese, conventi e fortezze di baroni in lotta. Nel 1542 il cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, acquistò una serie di appezzamenti di terreno che occupavano le falde del Palatino, dal Foro alla cima del colle, fino a lambire il Circo Massimo. Quindi Alessandro incaricò il Vignola di disegnare e realizzare maestosi giardini che, oltre ad inglobare le rovine del Palazzo Imperiale, avrebbero ospitato piante non solo tipiche della macchia mediterranea, ma anche quelle provenienti dalle lontane Americhe, quali l’agave, la yucca, la mimosa, la passiflora e l’acacia. In molti casi queste piante venivano portate in Italia per la prima volta in questa occasione. Ma questi giardini avevano anche una parte destinata a vero e proprio orto dove per la prima volta vennero coltivati pomodori, peperoni, peperoncini e frutti come il fico d’India.
    Giardini di Alessandro Farnese avevano diversi scopi: far rivivere, anche dal nome Horti Palatini Farnesiorum, i fasti e il ruolo dei grandi Horti delle magnifiche domus della Roma classica che ricoprivano il Pincio o l’Esquilino e affermare la raggiunta e consolidata posizione politica e istituzionale della famiglia Farnese, e che, proprio per questo motivo, venivano a sorgere lì dove aveva avuto sede il potere da Augusto in poi.

    Horti Farnesiani – Charles Percier (1786-1790).

    D’altronde l’area dove Alessandro Farnese decise di far sorgere gli Horti era sempre stata un’area verde poiché la terrazza della Domus Tiberiana era stata un giardino pensile già al tempo degli imperatori della dinastia julio – claudia. Questa tradizione fu mantenuta anche successivamente visto che anche i Flavi e gli Antonini ebbero lì i loro giardini, sia per mantenere una sorta di unità di stile e di continuità architettonica, ma anche perché i giardini e i boschi avevano, per la cultura romana, una propria intrinseca sacralità che aveva, in questo caso, il ruolo di aumentare la sacralità dell’imperatore e in qualche modo ne legittimava l’autorità.
    La realizzazione degli Horti Farnesiani coprì un arco di tempo molto lungo e dopo il Vignola altri furono gli architetti che vi lavorarono come Giacomo del Duca e Girolamo Rainaldi.
    Gli Horti Farnesiani furono dotati d’ingresso monumentale, decorato da un portale disegnato e realizzato dallo stesso Vignola, aprirono la strada alla consuetudine delle più importanti, ricche e nobili famiglie romane, di dare vita a ville con suntuosi giardini. Poco dopo sarebbe stata la volta della Villa Mattei, oggi Celimontana, quindi a Villa Medici, a villa Borghese, villa Ludovisi, villa Pamphilji, Villa Giulia e via di seguito fino all’Ottocento, in una gara continua tra collezionismo e sfarzo.

    Portale d’ingresso – Horti Farnesiani – Vignola.

    Per due secoli gli Horti Farnesiani furono proprietà della famiglia Farnese che continuò a modificarli e ad adattarli alle mode e alle esigenze dei vari tempi tanto che nel 1718 essi verranno trasformati in “Reale Azienda Agricola. Nel 1861 gli Horti furono acquistati da Napoleone III per avviare delle campagne di scavo condotte da Pietro Rosa. Nel 1870 i giardini furono acquistati dal Governo Italiano e il direttore degli scavi divenne Rodolfo Lanciani, a cui seguirà Giacomo Boni che si occupò, all’inizio del Novecento, del primo tentativo di restauro e reintegro dei giardini.
    Grazie ad un accurato restauro iniziato nel 2013 e la cui prima fase termina proprio ora, aprile del 2018, viene data nuova vita agli Horti Farnesiani e si consente la visita, per la prima volta dopo più di 30 anni, alle Uccelliere, lì dove Alessandro raccolse ed espose la sua collezione di uccelli esotici e al Ninfeo della Pioggia che si mostra con il suo recuperato gioco d’acqua e le vasche sovrapposte.
    Arricchisce il nuovo percorso di visita, ma solo fino al 28 ottobre, una mostra dal titolo “Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani” che ha lo scopo di illustrare al visitatore proprio le trasformazioni a cui sono andati in contro, nel tempo, gli Horti.

    Uccelliera e Ninfeo – Horti Farnesiani.

    Completano la mostra un prestito eccezionale del Museo Archeologico di Napoli: le due statue in marmo policromo del Barbaro inginocchiato e dell’Iside Fortuna, che avevano qui la loro collocazione originaria.
    Nel Ninfeo della Pioggia sono invece collocate due giganteschi busti di Daci imprigionati che fino al Seicento facevano parte del criptoportico del ninfeo stesso e al suo interno viene realizzato un percorso multimediale che consente di comprendere come fossero gli Horti nel momento in cui essi furono realizzati.

    Roma, 28 aprile 2018

  4. La Crypta Balbi. Una macchina del tempo nel cuore di Roma

    La Crypta Balbi, uno dei quattro poli del Museo Nazionale Romano, è senza alcun dubbio uno dei siti archeologici più affascinanti di Roma: solo qui, probabilmente, è possibile seguire l’evoluzione di uno spazio urbano, in termini di insediamenti e di destinazioni d’uso, su un arco di tempo che va dal I secolo avanti Cristo all’epoca contemporanea.

    Crypta Balbi

    Il sito è inoltre allestito ponendo particolare attenzione a tutti quei ritrovamenti che documentano attività artigianali che furono condotte in questo luogo tra la caduta dell’Impero romano e l’Alto Medioevo, con particolare riguardo per i secoli che stanno tra il VII e il X dopo Cristo.
    Il complesso archeologico deve il suo nome a Lucio Cornelio Balbo, di origini spagnole, appartenente alla gens Cornelia, pensatore, letterato e uomo politico, amico di Augusto, in qualità di proconsole d’Africa intraprese numerose campagne militari che portarono alla sua vittoria sui Garamati, un popolo della Libia sahariana.
    Fu il primo cittadino non nato a Roma e l’ultimo non appartenente alla famiglia imperiale a ricevere l’onore di un trionfo nel Foro Romano proprio per questa vittoria.
    Con le ricchezze accumulate anche grazie a questa vittoria iniziò la costruzione del suo Teatro nel 19 avanti Cristo, in pietra. Il teatro Balbo terminato nel 19 avanti Cristo poteva contenere 7700 spettatori. Quando fu inaugurato, il Tevere aveva appena straripato, e, per questo motivo, gli spettatori lo raggiunsero in barca.

    Teatro di Balbo, con teatro di Pompeo e teatro di Marcello – Ricostruzione

    Era il terzo teatro a Roma per dimensione dopo quello di Pompeo e di Marcello e venne distrutto in un incendio intorno all’80 dopo Cristo.
    Accanto al teatro fu costruita la Crypta, ovvero un ampio quadrilatero porticato che racchiudeva un giardino decorato con nicchie che ospitavano statue e con un pavimento a mosaico.
    Nell’area insisteva anche il lato meridionale della Porticus Minucia, una struttura quadrangolare che racchiudeva i templi dell’area sacra di Piazza Argentina.
    Di fatto nell’area insistevano due Porticus, quella che cade nell’area della Crypta Balbi è la Porticus Minucia Frumentaria, ovvero quella dove avvenivano le elargizioni di frumento alla popolazione e che all’epoca di Claudio divenne il centro amministrativo di controllo e di effettiva distribuzione del grano alla plebe.
    L’identificazione del sito dove cadeva la Porticus è stata fatta in base ad un frammento della Forma Urbis severiana.
    Il Porticus Minucia si estendeva a comprendere anche il tempio delle Ninfe i cui resti sono visibili lungo la Via delle Botteghe Oscure proprio di fronte all’ingresso della Crypta Balbi, tempio distrutto anch’esso durante l’incendio dell’80 dopo Cristo.
    Dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo le nicchie esterne della Crypta furono tamponate e tra queste e la Porticus fu costruita una cisterna alimentata da una diramazione dell’acquedotto dell’Aqua Virgo.

    Fullonica – Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Non è possibile descrivere le numerose trasformazioni che l’area subisce, ma tra queste in epoca medievale il portico settentrionale della Crypta fu trasformato in una strada sulla quale si affacciavano botteghe e abitazioni di artigiani. Vista la scarsa illuminazione dei locali, perché essi erano stati ricavati negli archi di quello che si pensava potesse essere stato l’antico Circo Flaminio, il luogo era indicato con il toponimo ad apothecas oscuras, ovvero “presso le botteghe oscure”, toponimo che resta ancora oggi in Via delle Botteghe Oscure, che a partire dal XIII secolo sarà una via conosciuta per la concentrazione di mercanti di panni, tessitori e lavandai, e quale luogo dei tiratoria pannorum, ovvero aree aperte e porticate dove venivano stesi i panni.
    Il sito archeologico fu portato alla luce intorno al 1940 quando si decise di demolire un grande edificio del 1500 per costruirne uno nuovo. Lo scoppio della II Guerra Mondiale bloccò il progetto, e al termine della guerra i nuovi vincoli archeologici consentirono la destinazione del sito allo studio e alla sua valorizzazione.
    Si è potuto così comprendere che intorno al V secolo il Teatro di Balbo e la relativa Crypta furono abbandonati e il sito fu utilizzato prevalentemente per sepolture e deposito di rifiuti.
    In età Medievale in quest’area finirono con l’insistere sue chiese: San Lorenzo in Pallacinis, costruita in corrispondenza delle insulae esterne alla Crypta e Santa Maria Domine Rosae, che occupava la parte centrale del giardino porticato.
    Sempre in età medievale l’area che in epoca adrianea fu una latrina monumentale è occupata da una calcara, ovvero un forno utilizzato in epoca medievale per la preparazione della calce a partire dal marmo, e da un’osteria, impiantata nel vano della cisterna dell’acquedotto dell’Aqua Virgo, di cui si identificano con chiarezza la cucina e il bancone in marmo, proveniente da un altro monumento.

    Affresco – Santa Maria Domine Rosae. Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Alla fine dell’Alto Medioevo la chiesa di Santa Maria Domine Rosae entra a far parte di un complesso fortificato che nasce dall’unificazione di varie strutture dell’area, conosciuto come “Castellum” o “Castrum aureum”.
    Durante il Basso Medioevo l’area conosce una certa rinascita con la costruzione di un gruppo di case nobiliari e soprattutto la costruzione della chiesa di Santa Caterina della Rosa, in epoca rinascimentale, sulle rovine del monastero di Santa Maria Domine Rosae, di cui arrivano fino a noi bellissimi affreschi.
    Poiché lo studio dell’area è in continuo divenire, recentemente sono stati individuati un ambiente adibito a fullonica, ovvero lavanderia, dove gli operai, attraverso un sistema di immersione dei capi di vestiario nell’urina e poi di risciacquo in varie vasche, ne ottenevano la sbiancatura; un sacello per il culto delle divinità greche ed orientali tra cui Iside, Artemide, Meleagro e Dioniso, ed un mitreo risalente al III secolo che a partire dal V secolo venne distrutto ed utilizzato come stalla.
    L’area è stata poi un importante bacino di ritrovamento di tesori di arte tardo – bizantina e medievale che hanno contribuito alla comprensione di alcuni aspetti della vita della Roma medievale.

    Cattedra – Chiesa di San Lorenzo – Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Si può ancora ricordare che anche in questa area della città aleggia in qualche misura lo spirito di Carlo Magno. Sono venute alla luce infatti testimonianze e reperti che raccontano anche qui la Roma carolingia, come l’unica strada di questa epoca storica ancora visibile che attraversava il Foro.
    L’area archeologica è stata oggetto di una ristrutturazione minuziosa e rispettosa dei reperti che contemporaneamente permettesse la migliore fruizione e comprensione dell’area. Per questo motivo il sito si compone di tre ambiti principali:
    – quello del museo vero e proprio ospitato nell’edificio chef a angolo tra Via Caetani e via delle Botteghe Oscure;
    – quello dei sotterranei dove, da una passerella in acciaio, è possibile ammirare i resti della Porticus Minucia, stratificazioni stradali romane, medievali e rinascimentali;
    – quello esterno che porta all’antica esedra del teatro romano e al mitreo che si raggiunge percorrendo una passerella in acciaio che sovrasta i resti di Santa Maria Domine Rosae.

    Roma, 9 luglio 2017