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  1. Claude Monet. Capolavori dal Musée Marmottan al Vittoriano.

    Diceva Monet: «tutti discutono la mia arte e affermano di comprenderla, come se fosse necessario comprendere, quando invece basta amare».

    Claude Monet fotografato da Nadar nel 1899.

    Di fatto è proprio così. La sua arte entra nell’anima senza mediazioni capace di catturare il groviglio delle nostre emozioni più fanciullesche. Di fronte a un tramonto da sogno o ai riflessi della luce sull’acqua cristallina, non possiamo che pensare a questo strano omone dalla folta barba con l’inseparabile tavolozza, il cavalletto e le tele dove cerca di cogliere quel meraviglioso e irripetibile attimo fuggente prima che quella sensazione magica svanisca per sempre.
    È stato un pittore puro Monet: non ci sono tracce di bozze o disegni nelle sue opere, una dissoluzione della forma a favore del colore che sarà via via sempre più evidente nel corso della sua carriera.
    La mostra che gli dedica il Vittoriano ha molti pregi. Intanto si tratta di una retrospettiva monotematica composta da sessanta opere provenienti dal Musée Marmottan di Parigi, che custodisce il principale fondo mondiale di opere dell’artista donate dai collezionisti dell’epoca e soprattutto dal figlio Michel.
    Inoltre, un altro aspetto da non sottovalutare, è la provenienza delle opere: sono esposti tutti lavori che Monet teneva gelosamente custoditi nella sua ultima e amatissima dimora di Giverny, perché temeva che non sarebbero stati apprezzati. Si tratta di quadri che ripercorrono tutte le fasi della sua ricchezza espressiva sempre tesa a rinnovarsi nel tempo: ai paesaggi prodotti tra gli anni settanta dell’Ottocento e i primi del Novecento – realizzati in varie zone della Francia, ma anche in Inghilterra e in Italia – si affianca uno straordinario insieme di Ninfee monumentali, tele mai esposte durante la vita dell’artista. Una selezione operata dal pittore stesso dunque che ci restituisce un suo lato più emozionale e intimistico palesato anche dai teneri ritratti dei figli.
    La mostra è corredata anche da una sorta di passerella multimediale lungo la quale, con effetti speciali, sono proiettate le opere di Monet rimandando così la sensazione di camminare sulle acque dello stagno di Giverny.

    Ritratto di Michel Monet neonato – Calude Monet – 1878/1879.

    L’allestimento espositivo si compone di cinque sezioni tematiche introdotte da una serie di dipinti intimisti che Claude dedicò ai due figli di prime nozze, Jean e Michel. Una vera ‘chicca’ perché Monet dipinse pochissimi ritratti nella sua vita, alcuni appunto conservati nel museo Marmottan, e tutti dedicati ai propri figli. Questo gruppo di dipinti testimonia il profondo attaccamento dell’artista alla sua famiglia, e il suo bisogno di sentirsi circondato da chi ne faceva parte anche quando, per motivi di lavoro, non poteva condividere la quotidianità con chi amava.
    Tra i ritratti spicca il Ritratto di Michel Monet neonato che è datato tra il 1878 e il 1879, quando il figlio Michel aveva solo un anno.
    Di fronte ai ritratti, una sorpresa. Monet è uno di quei pittori che con le sue ninfee e le sue tele dedicate al paesaggio è entrato di forza nell’immaginario comune. Sorprenderà quindi vedere esposte un gruppo di caricature, datate alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, con le quali, Monet ancora ragazzo, si guadagnava qualche soldo in quella città di Le Havre dove la sua famiglia si era trasferita.
    Era lui stesso a raccontare che a quindici anni era molto famoso per questa sua attività di caricaturista tanto che le persone più disparate lo cercavano in città perché realizzasse per loro caricature.
    Le varie fasi della lunga vita artistica di Monet si susseguono in mostra, ma non solo, l’una all’altra accomunate da un unico fil rouge: un’empatia totale con la natura e le variazioni del tempo e della luce.
    Passando da una sala all’altra emerge una delle caratteristiche pregnanti dell’arte di Monet: il superamento della riproduzione degli elementi figurativi, tanto che gli ultimissimi lavori preludono all’informale e all’astrattismo.
    La sezione degli incantevoli paesaggi impressionisti en plein air, corrisponde agli

    Castello di Dolceacqua – Claude Monet – 1884.

    anni in cui l’artista vaga nel mondo alla ricerca di una fusione con l’inafferrabilità di quelle impressioni che solo la bellezza sconvolgente della natura o dei paesaggi urbani sa donargli: la campagna francese, Londra e anche qualche breve sosta in Italia. In mostra a testimoniare il suo passaggio in Italia è presente il delizioso Castello di Dolceacqua del 1884.
    Dal contatto con la cultura e l’arte giapponese avvenuta in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e soprattutto dall’aver potuto ammirare le due opere di Hokusai le Trentasei Vedute del Monte Fuji e le Cento Vedute del Monte Fuji, nasce l’idea/esigenza della “serie”: uno stesso soggetto ripreso più volte in diverse ore della giornata. Le serie sono di tipologie differenti. Esse affrontano, ad esempio, il tema dell’interazione della luce con le architetture come nell’opera Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi del 1905, o possono assumere il significato di diario quotidiano, come nel caso della serie dedicata alle iconiche ninfee, che il pittore riprendeva dal suo giardino acquatico stile giapponese, concepito come un dipinto, della sua definitiva dimora di Giverny.
    Anche nel caso della serie delle ninfee si può vedere come al passare del tempo, le prime tele su questo tema risalgono al 1840 e Monet continuerà a ritrarle fino al sopraggiungere della morte avvenuta nel 1926, il tratto pittorico diventi sempre più essenziale, finendo con il ridurre il soggetto del fiore a semplici linee astratte che suggeriscono la presenza dello stagno, dei fiori, delle foglie e dei relativi riflessi.

    Ninfee – Calude Monet – 1916.

    Le note ninfee divengono così pure dei misteriosi fiori acquatici, le acque dello stagno interagendo con la luce naturale creano effetti riflessi di alberi, cielo e nuvole, giochi che continuamente attraggono Monet, alimentandone la sperimentazione e la poetica.
    Analogamente sorprendenti i lavori dedicati al Ponte Giapponese, elemento essenziale del giardino di Giverny anch’esso tratto, per la sua caratteristica rotondità, da alcune immagini derivate direttamente dal mondo di Hokusai. Il ponte è ritratto innumerevoli volte, in diverse ore della giornata, a volte tal quale, altre come riflesso nello stagno, in altre occasioni, come accade già per le ninfee, il ponte sembra quasi solo evocato.
    La figurazione si dissolve, la visione prende il posto della descrizione. Certamente i problemi agli occhi di Monet, che andarono via via acuendosi, influirono notevolmente su questa evoluzione, ma è indubbio che si tratti anche di una visione artistica desiderata e ricercata, una naturale evoluzione della serialità che conduce all’essenziale e che si tramuta in anticipazione di ciò che accadrà più avanti nell’arte.

    Caricatura di un uomo con grande sigaro – Claude Monet – 1855.

    Il tema del ponte unito a quello del salice piangente costituiscono il momento forse più intimo ed emozionante dell’intera mostra. Nella poetica di Monet questi soggetti rappresentano il suo immenso dolore per la perdita della seconda moglie e del figlio Jean.
    L’ultima sezione della mostra è dedicata ai pannelli monumentali che Monet decise di donare allo Stato francese per celebrare la fine della Prima Guerra Mondiale. Un lavoro enorme al quale dedicherà gli ultimi anni della sua vita e solo una parte dei quali fu scelta per essere esposta al Musèe de l’Orangerie a Parigi.

    Roma, 20 febbraio 2018

  2. Articolo

    Le passeggiate romane del «Signor Nicola»

    di Sebastiano Scavo

    Pubblichiamo un articolo di Sebastiano Scavo, che in una delle sue recenti visite a Roma si è messo sulle tracce di Nikolaj Gogol’ a Roma e ne ha cercato e descritto per Roma Felix i luoghi e la memoria.

    Monumento a Nikolaj Gogol’ in Villa Borghese.

    «Ci si innamora di Roma molto lentamente, un po’ alla volta – ma per tutta la vita»
    Nikolaj Gogol’

    Un piccolo, insolito itinerario ha impegnato poche ore delle mie passeggiate romane, poche centinaia di metri tra la quiete sotto assedio di Villa Borghese e la vivacità di via Sistina, la via che collega piazza Barberini a Trinità dei Monti. Mi sono messo sulle tracce della presenza di Nikolaj Gogol’ a Roma, e infine sono andato a cercare il suo monumento nei Campi Elisi cittadini, in mezzo a statue e busti dedicati alle personalità più disparate, accomunate dall’amore per la Capitale o per l’Italia. Il nostro, ad esempio, occupa uno degli angoli del crocicchio intitolato a Paolina Borghese, di fronte all’ingresso della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, assieme allo scrittore peruviano Garcilaso de la Vega, al principe – vescovo montenegrino Petrović – Njegoš e al poeta egiziano Ahmed Shawqi.
    continua…

  3. EUR: CIAK SI GIRA!

    Nell’immaginario comune il quartiere dell’EUR è probabilmente l’esempio più evidente di architettura razionalista romana, e contemporaneamente l’immagine della forza politica e dell’innovazione che il fascismo volle dare di sé.

    L'E42 nel 1945 - Foto da Romasparita

    L’E42 nel 1945 – Foto da Romasparita

    In realtà la storia dell’E42 – come fu ufficialmente denominato alla sua nascita il quartiere che sarebbe dovuto sorgere nel 1942 per ospitare l’Esposizione Universale anche in funzione celebrativa della marcia su Roma  – di razionalista, dal punto di vista architettonico, ha molto poco.  Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i lavori, in quella vasta area di aperta campagna, erano appena iniziati e non furono mai portati a termine, così come non sarà mai compiuto nella sua interezza il progetto originario riguardante l’intera area. I pochi edifici ultimati verranno requisiti da ufficiali e soldati nazisti durante l’occupazione di Roma, successivamente sostituiti dagli Alleati che arrivarono con la liberazione. Alcune aree edificate vennero invece occupate dai profughi giuliano – dalmati che all’inizio della guerra erano stati alloggiati dentro Cinecittà, e che all’atto della liberazione si trovarono privati anche di quell’unico riparo che erano stati gli studi cinematografici malamente separati.

    Il Piccone Demolitore - Gaia - Metro San Paolo - Roma

    Il Piccone Demolitore – Gaia – Metro San Paolo – Roma

    Ancora occuparono alcuni edifici anche i tanti senza tetto romani che avevano perduto tutto a seguito dei bombardamenti alleati.
    Alla fine degli anni quaranta le strutture dell’E42 sono già in gran parte fatiscenti, tanto che in molti ne proporranno l’abbattimento. Sarà Alcide de Gasperi, pare su suggerimento di Giulio Andreotti, a decidere nel 1951 la ripresa dei lavori e il completamento del progetto, con le necessarie modifiche. E’ così che l’E42 lascerà il passo al nuovo quartiere che, negli anni sessanta, assumerà ufficialmente il nome di E.U.R. (Esposizione Universale Roma) e poi quello attuale – seppure pochissimo conosciuto e ancor meno utilizzato dai romani – di Quartiere Europa.
    Il nuovo progetto previde il restauro di quanto già costruito e fosse possibile restaurare, l’abbattimento delle strutture troppo degradate e soprattutto l’avvio di un’opera di riconversione avrebbe dovuto rispondere a diverse esigenze: attenuare il carattere “di regime” dell’EUR, renderlo più organico al resto della città e infine dar vita, almeno in certa misura, a un luogo di sperimentazione architettonico-urbanistica.

    Il Padre di Famiglia - Nanni Loy 1967 - Sullo sfondo il Palazzetto dello Sport - Foto da Romasparita.

    Il Padre di Famiglia – Nanni Loy 1967 – Sullo sfondo il Palazzetto dello Sport – Foto da Romasparita.

    È in quest’ottica che nascono per esempio il Palazzo dell’ENI, il Palazzetto dello Sport progettato da Vitellozzi e Nervi, il Palazzo della Democrazia Cristiana di Saverio Muratori e la scelta di destinare vaste aree all’edilizia residenziale cambiando radicalmente il carattere e la fisionomia del quartiere.
    Del progetto originario venne mantenuta la scelta di curare particolarmente il paesaggio e destinare ampi spazi al verde, così che l’EUR ancora oggi ha uno dei più estesi polmoni verdi della città. A completare la realizzazione delle aree verdi fu chiamato Raffaele de Vico, illustre paesaggista già voluto a tutti i costi dal direttore del progetto originario dell’E42, quel Marcello Piacentini che ebbe un così gran peso nell’architettura romana ufficiale del regime e che fu colui che impresse il carattere così fortemente monumentale al nuovo quartiere che molti avevano pensato razionalista.
    Nonostante il carattere monumentale ed autocelebrativo, le architetture bianche in mezzo al nulla, chissà quanto ispirate dalle opere metafisiche di  Giorgio de Chirico, entrarono molto presto nell’immaginario di artisti diversi, registi e non solo, tanto che ogni angolo del quartiere fu scelto, e ancora spesso lo è, come scenografia ideale di film e spot pubblicitari.

    Anita Ekberg - Le Tentazioni del Signor Antonio - Federico Fellini, 1962 - Foto da Romasparita.

    Anita Ekberg – Le Tentazioni del Signor Antonio – Federico Fellini, 1962 – Foto da Romasparita.

    Probabilmente la prima scena girata all’E2/EUR è una scena di Roma città aperta di Roberto Rossellini, ma subito dopo lo seguiranno Luchino Visconti con Bellissima, Elio Petri con La decima vittima, Federico Fellini con Boccaccio ’70, solo per ricordarne alcuni di cui il Titus di Julie Taymor e La grande bellezza di Paolo Sorrentino sono gli esempi tra i più recenti.
    La passeggiata si snoderà tra gli ampi viali dell’E42/EUR, e toccando alcune delle sue bianche architetture sarà l’occasione per raccontare il quartiere anche come set cinematografico, ma non solo. Il quartiere infatti nasconde anche tanta arte decorativa ed applicata: affreschi, mosaici, bassorilievi, mobili. La passeggiata sarà l’occasione anche per disvelare questo aspetto meno conosciuto dell’E42/EUR.

    Roma, 18 febbraio 2018

  4. Monet al Vittoriano

    Per chi desiderasse partecipare alla mostra su Monet in corso al Complesso del Vittoriano, dovrà comunicare la propria adesione entro il 1° marzo 2018.
    Per disposizioni museali, i biglietti devono essere, infatti, obbligatoriamente acquistati 15 giorni prima della partecipazione alla mostra.
    Si prega pertanto di effettuare la prenotazione solo se è certi della partecipazione, e di avvisare per tempo in caso di disdetta.
    In caso contrario, sarà necessario rimborsare la quota del biglietto all’Associazione Roma Felix.

    Quota di partecipazione:
    21,00 € adulti
    12,00 € bambini fino a 10 anni

    La quota comprende: Biglietto di ingresso + diritti di prenotazione + servizio auricolari (obbligatorio e a pagamento fornito dal gestore ufficiale autorizzato del Complesso del Vittoriano) + visita guidata.