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  1. Gli antichi luoghi di culto a Trastevere: basilica e titulus di San Crisogono

    La visita alla basilica di San Crisogono e ai suoi sotterranei è momento essenziale per comprendere le trasformazionisubite dal quartiere di Trastevere. Forse oscurata dalle sublimi Santa Maria in

    San Crisogono – Cappella Arcivescovile di Ravenna.

    Trastevere, Santa Cecilia e San Francesco a Ripa, San Crisogono è  altrettanto rilevante. Il titulus Crysogoni è il più antico di Trastevere e tra i più importanti di Roma  insieme al titulus Callisti e al titulus Ceaciliae. Edificato su  due o forse tre domus romane del II e III secolo, prima di assumere la definitiva pianta basilicale intorno al IV secolo, sotto papa Silvestro I, e dedicata a san Crisogono di Aquileia, città i cui il santo fu martirizzato e sepolto nel IV secolo.
    A onor del vero quale sia il Crisogono a cui la basilica venne dedicata resta ancora oggi una questione da chiarire, poiché le notizie sulla vita di Crisogono, il cui nome di origine greca vuol dire “nato dall’oro”, sono assai contradditorie e diverse sono le tradizioni riportate.
    Si sa che un certo Crisogono, soldato convertitosi alla fede cristiana fu fatto martirizzare e quindi uccidere da Diocleziano nel IV secolo ad Aquileia. Questo episodio è descritto in una passio a lui dedicata dove si dice: “Nello stesso giorno il natale di san Crisogono Martire, il quale, dopo aver lungamente sofferto catene e prigionia per la costantissima fede di Cristo, per ordine di Diocleziano fu condotto ad Aquileia, e finalmente, decapitato e gettato in mare, compì il martirio”.
    Secondo un’altra fonte Crisogono effettivamente sarebbe vissuto a Roma e Diocleziano lo avrebbe confinato nella casa di un certo Rufino che fu poi convertito insieme a tutta la sua famiglia. Mentre Crisogono si trovava costretto nella casa di Rufino avrebbe intrattenuto uno scambio epistolare con Anastasia grazie all’intermediazione di una anziana donna. Anastasia era figlia di Pretestato e moglie di Publio che avversava drasticamente la sua fede in Cristo, impedendole di aiutare i cristiani che in quel periodo non potevano svolgere alcun mestiere, arrivando a

    Santa Anastasia di Sirmio.

    segregarla in casa e a maltrattarla. Alla morte del marito Anastasia godette per un breve periodo di tempo di libertà e quando Crisogono fu trasferito ad Aquileia lei lo accompagnò nel suo viaggio. Qui Diocleziano riconoscendo il valore di Crisogono, gli offrì la prefettura e il consolato, a patto che abiurasse la sua fede in Cristo, ma Crisogono rifiutò e Anastasia assistette al suo interrogatorio, al suo martirio e alla sua morte per decapitazione avvenuta il 24 novembre 303 alle Aquae Gradatae, località a circa dodici miglia da Aquileia. Il suo corpo fu abbandonato sulla riva del mare, nei pressi di una proprietà detta Ad Saltus, dove abitavano tre sorelle cristiane Agape, Chionia, Irene, le quali con l’aiuto del santo Zoilo, gli diedero in un loculo sotto la casa dello stesso Zoilo.
    Anastasia morì successivamente arsa viva sempre a causa della sua fede cristiana a Sirmio, da dove il suo culto si diffuse prima a Costantinopoli e poi a Roma. Altre fonti ancora narrano che Crisogono fosse un vescovo di Aquileia. Dati storici tramandano che tra la fine del III e l’inizio del IV secolo vissero in quella città due vescovi con il nome di Crisogono.
    E’ anche possibile che un Crisogono sia stato proprietario di una o più domus che oggi insistono sotto la basilica in Trastevere e che solo successivamente il suo nome sia stato assimilato a quello del santo di Aquileia. Ad ogni modo, la chiesa trasteverina conserva la reliquia di una mano e della calotta cranica attribuite a san Crisogono, la reliquia giunse alla basilica nel XV secolo. La reliquia fu portata via per la prima volta nel 1806 e restituita nel 1850. Successivamente il prezioso reliquiario fu rubato negli anni Sessanta del Novecento. Le reliquie furono ritrovate dopo pochi giorni nei pressi della basilica di Santa Maria in Trastevere prive del prezioso reliquiario.
    La basilica di San Crisogono a cui si accede oggi dal viale Trastevere, non

    San Crisogono in un’incisione di Giuseppe Vasi del 1747.

    corrisponde all’iniziale chiesa, la cui esistenza viene documentata per la prima volta nel 499, quando il titulus, viene per la prima volta inserito nell’elenco dei tituli invitati a partecipare al Concilio di Roma. In questo caso i presbiteri del titulus Crysogoni vengono invitati a partecipare al Concilio indetto da papa Simmaco. Questa chiesa era stata probabilmente eretta nel IV secolo su una domus privata del II secolo e i suoi resti sono stati ritrovati nel corso di uno scavo risalente al 1907 a circa sei metri più in basso rispetto all’attuale chiesa.
    L’edificio risalente al 499 fu restaurato una prima volta nel 731 per volere di Gregorio III che ne fece riparare il tetto e adornare l’abside con affreschi. Quest’antica chiesa vide anche l’elezione di papa Stefano III nel 768. Successivamente, a causa delle frequenti inondazioni del Tevere e probabilmente perché le strutture di questa chiesa dovevano apparire molto deteriorate, nel 1126 il cardinale titolare Giovanni da Crema, colui che aveva fatto arrestare l’antipapa Baudino e che era stato legato in Inghilterra e Scozia alla corte di David I, decise di avviare la costruzione di una nuova chiesa di forme basilicali, e a questo momento è certamente ascrivibile il campanile romanico che ancora oggi si erge sulla destra della chiesa attuale.
    I due edifici ecclesiastici, quello citato nell’elenco dei tituli e quello attuale, non sono completamente sovrapposti, ma la nuova costruzione è spostata leggermente sulla destra rispetto a quella più antica e la usa parzialmente come fondazione.

    San Crisogono – Soffitto a lacunari. Si ringrazia vigoenfotos per la fotografia.

    Nel 1157 il cardinale Guidone Bellagio arricchì la chiesa di un nuovo altare, mentre nel 1480 i canonici di San Salvatore, che fino ad allora avevano abitato nel convento di pertinenza della chiesa, dovettero lasciare la loro casa a favore dei Carmelitani i quali vi rimasero fino al pontificato di Pio IX, quando furono sostituiti dai Trinitari.
    Si accede alla chiesa attuale attraversando un portico la cui costruzione risale al 1626, coeva alla facciata, entrambe realizzate grazie all’interessamento di Scipione Borghese, fatto che viene ricordato da un’iscrizione posta sull’architrave del portico e sottolineato dalla presenza dei simboli araldici della famiglia: il drago alato e l’aquila.
    Il 1626, d’altro canto, è l’anno in cui la chiesa fu profondamente restaurata dall’architetto Giovan Battista Soria, che realizza anche il ciborio definito dalle quattro colonne di alabastro, probabilmente di spoglio. L’interno mantiene la sua forma absidale con tre navate separate da ventidue colonne di granito che probabilmente provengono dalle Terme di Settimio Severo e decorato a soffitto da uno dei più bei lacunari dipinti della città d Roma che ospita al centro una copia della tela del Guercino La Gloria di San Crisogono. L’originale fu trafugato nel 1808 e venduto in Inghilterra, dove può ancora essere ammirato.
    L’interno della basilica ospita anche la cappella del Santissimo Sacramento che è opera del Bernini, alcune opere attribuite al Cavallini, come ad esempio il mosaico absidale, e un bel pavimento cosmatesco.

    Pianta delle due basiliche di San Crisogono.

    Dalla sacrestia, percorrendo una scala moderna, si può accedere alla chiesa più antica, quella che fu eretta sul titulus Crysogoni. La prima struttura che appare dell’antica basilica è l’abside e di essa ben conservata è la parte inferiore, riccamente decorata a imitazione delle sontuose stoffe del VIII secolo e che risalirebbero quindi alle decorazioni volute da papa Gregorio III. L’abside appare serrata tra due ambienti diversi per funzione e dimensioni.
    Sulla destra è visibile un ambiente quadrato, detto secretarium, che serviva probabilmente per riporre le vesti sacre, documenti e arredi liturgici, ha un pavimento a tessere marmoree con disegni di fiori. A un certo punto l’uso di questo locale cambiò, come testimonia la presenza di un sarcofago a motivi marini che fu ritrovato in loco.
    L’ambiente sulla sinistra dell’abside ha, invece, dimensioni maggiori e poiché contiene una struttura bassa e circolare che ricorda una vasca per il battesimo viene oggi interpretato come battistero. La vasca circolare è visibile solo per metà, poiché l’altra metà è ostruita da un muro traversale, questo perché intorno al X secolo il battesimo cominciò a essere somministrato per aspersione e non più per immersione, e il battistero circolare cadde in disuso. Il battistero della basilica più antica deriverebbe a sua volta, da una precedente fullonica che si trovava nel medesimo posto, come indicato dai reperti rivenuti in una più recente campagna di scavo e costituiti da recipienti per l’acqua intercomunicanti e canali di scolo che immettevano in una fogna a cappuccina. Alla fullonica si accedeva da Via di San Gallicano.
    L’abside era ed è percorribile mediante un corridoio processionario che conduceva i

    San Crisogono che guarisce il lebbroso – San Crisogono – Basilica paleocristiana.

    fedeli alla fenestella confessionis attraverso la quale essi potevano venire in contatto con le reliquie dei santi: in questo caso, come si è detto, con una mano e la calotta cranica di San Crisogono. Qui è possibile ancora ammirare affreschi risalenti all’VIII secolo e che raffigurano i santi Crisogono, Rufino e Anastasia, sia Rufino che Anastasia, come si è detto, secondo una delle tradizioni relative a San Crisogono ebbero un ruolo nella vita del santo. Anche questi affreschi farebbero parte dell’apparato decorativo voluto da Gregorio III.
    Dall’abside si diparte l’aula basilicale a navata unica, oggi divisa in due ambienti a causa della presenza del muro di fondazione della basilica superiore. Proprio in questa sorta di finta navata è possibile ammirare degli affreschi risalenti al X – XI secolo: San Benedetto che guarisce un lebbroso, il salvataggio di San Placido, San Silvestro che cattura il drago e San Pantaleone che guarisce un cieco.
    La basilica antica termina nel nartece, il vestibolo, spesso esterno, delle basiliche paleocristiane dove i catecumeni e i penitenti dovevano fermarsi per seguire la liturgia.
    Lungo il decorso dell’altra parete è possibile ammirare affreschi che vengono datati tra il VI e il VII secolo, che riportano scene del Nuovo Testamento, ma solo una di queste è ancora ben leggibile.

    Roma, 14 gennaio 2018

  2. I gioielli della Regina Viarum: il Sepolcro degli Scipioni

    Lungo via di Porta San Sebastiano, ultimo tratto del percorso urbano dell’Appia Antica, dopo il muro che cinge il parco degli Orti di Galatea, si erge il Sepolcro degli

    Il Sepolcro degli Scipioni – Giovan Battista Piranesi

    Scipioni, un insieme di gallerie dove continuarono a essere deposti per lungo tempo i membri della famiglia degli Scipioni uno dei rami più importanti della nobile gens Cornelia, i cui membri, a partire dagli inizi del V secolo avanti Cristo, avevano ricoperto importanti incarichi pubblici.
    Il sepolcro degli Scipioni è un monumento fondamentale per la conoscenza della Roma repubblicana. Identificato per la prima volta nel 1614 con il ritrovamento di due sarcofagi: quello di Lucio Cornelio Scipione, questore del 167 avanti Cristo rimasto intatto e quello di Lucio Cornelio Scipione, figlio di Scipione Barbato e console del 259 avanti Cristo, che fu privato dell’iscrizione originale successivamente venduta a un tagliapietre, e in seguito acquistata dai Barberini, che la collocarono nella loro biblioteca. Di qui l’iscrizione pervenne poi ai Musei Vaticani.
    Il Sepolcro verrà quindi “riscoperto” 1780, quando, nel mese di maggio, i fratelli Sassi, proprietari del terreno su cui insisteva una vigna, trovarono le sepolture durante lo scavo di una cantina. In quest’occasione l’area fu esplorata con metodi distruttivi. I sarcofagi furono spezzati e le iscrizioni portate in Vaticano, molti oggetti dispersi e le copie degli epitaffi collocate nei punti sbagliati. L’intervento di Angelo Quirini, senatore di Venezia, consentì di organizzare degli scavi più rigorosi tanto che nel giro di un pio di anni tutte le gallerie furono scavate e portati alla luce i diversi sarcofagi, a partire da quello, con iscrizione originale, di Publio Cornelio Scipione augure nel 180 avanti Cristo. Dagli scavi emersero anche una testa di tufo dell’Aniene , forse raffigurante il poeta Ennio, e un ritratto in marmo di età imperiale.

    Pianta del Sepolcro degli Scipioni

    Nel 1880 l’area fu acquistata dallo Stato e tra il 1926 e il 1929 viene avviata una nuova campagna di scavo, di restauro e di sistemazione dell’area. L’ultimo restauro dell’area che ha interessato anche la casa medievale che insiste sul sepolcro, oltre che il colombario di Pomponio Hylas, risale al 2008 e ha consentito la messa in sicurezza della struttura e la sua apertura al pubblico nell’ambito del Parco degli Scipioni, nonché la corretta ricostruzione di alcune iscrizioni e il riposizionamento di alcune sepolture.
    Dell’area archeologica fa parte anche una calcara di epoca medievale, ovvero un impianto destinato alla produzione di calce a partire dal marmo.
    La costruzione del Sepolcro degli Scipioni risale ai primi decenni del III secolo avanti Cristo e il progetto fu realizzato da Lucio Cornelio Scipione Barbato, capostipite della famiglia, console nel 298 avanti Cristo, il cui sarcofago di fatto si trovava di fronte all’ingresso principale del monumento. Oggi il sarcofago originale è sostituito da una copia, conservata in Vaticano, ma ugualmente è possibile apprezzarne l’eleganza.
    Nella memoria rimangono scolpiti i nomi Publio Cornelio Scipione Africano, noto come Scipione l’Africano, che sconfisse i Cartaginesi nella battaglia di Zama nel 202 avanti Cristo, e di Publio Scipione Emiliano, detto l’Emiliano o Africano Minore, che distrusse Cartagine a seguito di un lungo assedio nel 146 avanti Cristo. Entrambi i condottieri non furono però deposti nel sepolcro sull’Appia Antica: secondo quanto riportato dal poeta Livio e da Seneca entrambi furono inumati a Liternum in

    Busto presunto di Scipione l’Africano dalla Villa dei Papiri di Ercolano – Museo Nazionale di Napoli

    Campania, mentre Scipione l’Ispanico sarebbe seppellito in Spagna. L’Africano morì proprio nella villa di Liternum nel 183 avanti Cristo, mentre l’Emiliano si spense a Roma nel 129 avanti Cristo e fu portato nella villa in Campania. Nel sepolcro comunque non trovano dimora le sepolture di tutti gli Scipioni ma sembra solo quelli dei rami detti Africani, Asiatici e Ispanici a eccezione quindi proprio dei relativi capostipiti.
    Gli Scipioni praticarono la tumulazione fino all’avvento della carica di console di Silla, anche lui appartenente alla gens Cornelia, che fu il primo a scegliere come sua sepoltura l’incinerazione, dopo la morte avvenuta nel 78 avanti Cristo. Questo fa si che nel sepolcro oltre che a sarcofagi ci s’imbatte anche in olle cinerarie come quella di Cornelia Getulica.
    La decisione di collocare il grande sepolcro rupestre a poca distanza dalla via Appia, alla base di una collinetta, non è da considerarsi casuale ma frutto di una precisa volontà politica.
    La via Appia fu inaugurata nel 312 avanti Cristo. La sistemazione di questa strada, che seguiva uno dei percorsi viari più antichi che si dipanavano dalla città di Roma, fu voluta da Appio Claudio Cieco per agevolare l’espansionismo romano verso il Sud, espansionismo che avrebbe indotto una fusione dello Stato Romano con la Magna Grecia, e prodotto così una maggiore ellenizzazione della cultura, della politica e della società romana. Appio Claudio Cieco, infatti, non fu solo un accanito sostenitore della politica imperialistica di Roma ma anche del processo di ellenizzazione, a cui pure la famiglia degli Scipioni era interessata, insieme ad altre importanti famiglie della Roma medio – repubblicana.
    La scelta degli Scipioni dell’Appia, come via lungo la quale costruire il proprio sepolcro, indusse anche altre importanti famiglie a fare altrettanto come la gens Caecilia, di cui faceva parte il ramo dei Caecili Metelli, e la gens Servilia.

    Testa di Ennio – Sepolcro degli Scipioni. Oggi ai Musei Vaticani.

    Il sepolcreto ha restituito, tra gli altri reperti, un gruppo di epigrafi che sono molto importanti per ricavare informazioni sul latino tardo – arcaico, sulla sua evoluzione e poter studiare le forme epigrafiche istituzionali. Tra queste epigrafi la notissima iscrizione di Scipione Barbato: “Cornelius Lucius Scipio Barbatus, Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque quoius forma virtutei parisuma fuit consol censor aidilis quei fuit apud vos Taurasia Cisauna Samnio cepit subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit”, ovvero: “Lucio Cornelio Scipione Barbato, generato dal padre Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia, Cisauna e Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi”.
    Questa forma latina è in pratica il latino di Ennio, il poeta degli Annales vissuto tra il 239 e il 169 avanti Cristo, il primo a compilare una storia epica di Roma e a “latinizzare” l’esametro greco. Con Ennio si realizza quindi la fusione tra la cultura greca e quella latina e non è a caso il poeta che viene protetto dagli Scipioni e che trova la sua sepoltura proprio all’interno di questo sepolcreto. Egli assurge a figura così importante e di riferimento per la famiglia che una sua statua era collocata nella spettacolare facciata del sepolcro insieme a quelle di Scipione l’Africano e di Scipione l’Asiatico, all’interno di nicchie.
    Chi avesse visto da lontano la facciata del sepolcreto degli Scipioni avrebbe avuto quindi la sensazione di trovarsi davanti ad un’imponente scena teatrale.

    Sepolcro degli Scipioni – Ricostruzione ipotetica della facciata.

    Le iscrizioni di almeno sette sarcofaghi del Sepolcro permettono di datare l’uso dell’ipogeo fino al 150 avanti Cristo, quando la struttura era completa e affiancata da un’altra stanza, di forma quadrangolare, dove furono deposti pochi altri membri della famiglia. Risale a quell’epoca la creazione di una facciata rupestre, la cui decorazione è attribuita a Scipione l’Emiliano. All’epoca, il sepolcro si trasformò in un vero e proprio museo di famiglia, che perpetuava le imprese dei suoi componenti. Vi fu sepolta anche una delle figure femminili di maggior rilievo nella storia di Roma: Cornelia, figlia dell’Africano e madre dei famosi tribuni della plebe Tiberio e Gaio Gracco.
    L’ultimo utilizzo conosciuto si ebbe in epoca claudio – neroiana, quando vi furono inumati la figlia e il nipote di Cornelio Lentulo Getulico, scelta determinata da motivi ideologici legati alla discendenza degli Scipioni.
    Il monumento è diviso in due corpi distinti: il principale, scavato in un banco di tufo a pianta grosso modo quadrata, e una galleria comunicante di epoca posteriore, costruita in mattoni, con ingresso indipendente.

    Sepolcro degli Scipioni. Ricostruzione di Luigi Canina.

    La regolarità dell’impianto fa ritenere che lo scavo sia avvenuto appositamente per la tomba, non sembra plausibile il riciclo di un’antica cava di tufo. Il corpo centrale è diviso da quattro grandi pilastri risparmiati nell’opera di escavazione per assicurare la solidità all’ipogeo; sono presenti quattro gallerie lungo i lati e due centrali che si incrociano perpendicolarmente, dando all’insieme un aspetto vagamente “a griglia”. Della facciata, rivolta verso nord-est, ci resta solo una piccola parte sulla destra, con scarsi resti di pitture, ma essa può essere pensata come una grande scena teatrale Era composta da un alto podio con severe cornici a cuscino, nel quale si aprivano tre archi in conci di tufo dell’Aniene: quello centrale conduceva all’ingresso dell’ipogeo, quello di destra alla nuova stanza, mentre quello di sinistra, era cieco ed aveva una funzione puramente ornamentale, a meno che non si fosse pensato alla realizzazione di un’ulteriore camera su questo lato in un momento successivo. Questo basamento doveva essere interamente ricoperto di affreschi, di cui rimangono solo piccole parti nelle quali sono stati individuati tre strati: i due più antichi, risalenti alla metà del II secolo avanti Cristo circa presentano scene storiche, nelle quali si riconoscono le figure di alcuni soldati, mentre l’ultimo, più recente, ha una semplice decorazione in rosso a onde stilizzate e viene datato al I secolo dopo Cristo.

    Roma, 7 gennaio 2018