prima pagina

  1. Trasteverine per caso, Trasteverine per forza

    17 Trastevere è uno dei quartieri antichi di Roma che ha ceduto molto del suo carattere alla modernità e alla contemporaneità del “mordi e fuggi”.

    Lina Cavalieri

    Chi cammini oggi per le vie del quartiere incontra ristoranti, trattorie, bar, negozi finti alternativi e botteghe storiche che spesso, loro malgrado, di storico non hanno più nulla. Difficile è, per chi cammini oggi, nelle vie strette del quartiere cogliere il suo aspetto medievale quasi inalterato e rintracciare l’essenza della sua storia.
    Questa storia, per caso o perché davvero l’origine dei Trasteverini è diversa da quella dei Monticiani, come la tradizione vuole che sia, spesso coincide con la storia di donne che qui sono nate, hanno lottato o semplicemente sono passate e, in qualche maniera, trasteverine sono diventate. Alcune hanno finito con il lasciare al quartiere il cuore, la ribellione indomita e la vita.
    Sarà forse pure per il carattere combattivo che da sempre è riconosciuto agli abitanti di Trastevere, ma queste donne, che si possono incontrare passeggiando per le sue strette vie, attraversano il tempo e lo spazio e ripropongono spesso, oggi, questioni che risolte ed antiche non sono, ma che restano attuali.

    Giorgiana Masi – Tano d’Amico

    Donne diverse eppure simili nelle loro istanze di libertà e di uguaglianza. Giovani e moderne come Giorgiana Masi, la cui vita fu stroncata manifestando per affermare un diritto di tutti: quello di poter manifestare in piazza il proprio dissenso senza rischiare di essere uccisi per questo. Si chiede in pratica l’abrogazione dei trentasei articoli della Legge 152, meglio nota come “Legge Reale”.
    Donne come Giuditta Tavani Arquati, sposa per amore a 14 anni, e rivoluzionaria da sempre e per sempre. Giuditta immaginò e volle un mondo libero e più giusto per se, per i suoi figli e per tutte le generazioni successive e per questo idea di società repubblicana e libera organizzò la lotta al Papa re preparando la via, in quel lontano 1867, alla conquista della città di Roma.
    La figura e l’azione di Giuditta Tavani Arquati rimasero così impresse nella memoria non solo di Trastevere, ma dell’intera città di Roma, che fu fondata, il 9 febbraio 1887, un’Associazione che portava il suo nome. Questa Associazione fu sciolta nel 1925 dal governo fascista, per tornare a nuova vita solo dopo la Liberazione.

    La Fornarina – Raffaello Sanzio

    Alcune donne di Trastevere passano poi dalla storia al mito come Lina Cavalieri, ma ancor più come La Fornarina di Raffaello, tanto mitica che molti studiosi del pittore, ancora oggi, dubitano della sua esistenza ritenendola una sorta di summa di tutte le donne affascinanti e seducenti che entrarono nella vita dell’artista e condivisero con lui i piaceri che lo portarono ancor giovane alla morte. Il fascino della seduzione de La Fornarina, Trasteverina per antonomasia, quale simbolo di tutte le donne, ancora oggi emana dal dipinto che la rappresenta e soggioga chiunque si fermi ad ammirarlo.
    Sarà per tutte le storie femminili che l’attraversano, ma Trastevere diviene, per caso o per forza, il luogo naturale dove approdano due realtà femminili per eccellenza: la Casa Internazionale delle Donne e l’Archivio dell’Unione Donne Italiane (UDI).
    L’UDI nasce nel 1944 – 1945 dai gruppi di difesa delle donne e subito s’impegna per realizzare il tessuto polito e sociale necessario alla riuscita della campagna per il diritto al voto delle donne. Il 31 gennaio 1945 fu emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle Italiane che avessero almeno 21 anni con eccezione delle prostitute schedate che lavorassero fuori dalle case dove era loro concesso di esercitare la loro professione.

    Le 21 donne della Commissione Costituente

    In questa legge non si faceva però menzione della possibilità delle donne di essere elette, diritto che verrà conquistato con il decreto n. 74 del 10 marzo 1946. Questo decreto faceva seguito ad un telegramma composto dall’UDI l’11 febbraio 1945 ed indirizzato al ministro Bonomi, nel quale si chiedeva l’eleggibilità delle donne. Con questo decreto erano eleggibili le donne italiane a partire dal loro venticinquesimo anno di età.
    Le donne italiane diventavano in questa maniera cittadine con pieni diritti.
    Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero il 10 marzo 1946, mentre le prime elezioni politiche fu il Referendum istituzionale per decidere la forma di governo tra Monarchia e Repubblica, che si svolse il 2 giugno 1946.
    Gli effetti del decreto che sanciva la cittadinanza con pieni diritti per le donne si fecero sentire già nelle elezioni per l’Assemblea Costituente dove furono elette 21 donne, di cui cinque, Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Jotti, Teresa Noce e Lina Merlin, faranno parte della Commissione per la Costituente incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana.
    A conclusione dei lavori verrà varata nel 1948 la Costituzione Italiana che all’articolo tre recita:
    “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

    Le donne per la prima volta al voto nel 1946

    Stabilendo per le donne pari diritti e pari dignità sociale in ogni campo.
    Per un lungo periodo di tempo l’UDI è l’associazione che, per definizione, in Italia rappresenta le donne e che viene percepita come allineata e complementare alla Sinistra.
    Con il IX Congresso, tra il 1981 e il 1982, l’UDI rimette in discussione la propria organizzazione e si rinnova totalmente senza abbandonare i temi che da sempre la hanno caratterizzata. Così la nuova azione politica dell’UDI è stata ripensata in funzione di due realtà presenti nella società italiana: le donne giovani e le immigrate.
    L’UDI dispone di un Archivio costituito da tutti quei documenti che testimoniano le fatiche che le donne hanno dovuto affrontare per sottrarsi al patriarcato, agli usi e costumi e al senso comune.
    L’Archivio comprende 6000 fascicoli, 1374 manifesti, 3000 fotografie, una collezione di giornali d’epoca, e una documentazione cartacea che copre gli anni che vanno dal 1944 al 2000.

    Manifestazione organizzata dall’UDI

    Aprirà l’archivio, per le socie e i soci di Roma Felix, Rosanna Marcodoppido. Rosanna fa parte dal 1974 dell’UDI. E’ stata per molti anni la vicepresidente dell’Associazione Nazionale degli Archivi dell’UDI. Ha organizzato seminari e convegni sull’esperienza storica femminile, sulle radici del Patriarcato e gli stereotipi sessisti, sui legami d’amore. E’ impegnata nella rete cittadina “Io decido” e nel movimento “Non una di meno”. Numerosi suoi articoli sono apparsi su alcuni giornali e riviste femministe.

    Roma, 2 aprile 2017

  2. Capolavori architettonici al quartiere Flaminio

    I Romani la chiamavano Prata Flaminia e per millenni quest’area pianeggiante è stata regolarmente sommersa dalle acque del fiume.

    Palazzetto dello Sport di Nervi e Vitellozzi per l’Olimpiade del 1960

    Poi, dopo l’unità d’Italia, dei diversi progetti elaborati per bonificare gli argini del Tevere prese vita quello che previde la costruzione dei Muraglioni e il territorio che si estende tra il Tevere stesso e le colline dei Parioli, da Porta del Popolo a Ponte Milvio, divenne edificabile.
    Nonostante questa forma di bonifica del territorio, l’area rimase esclusa dalle trasformazioni di fine Ottocento che interessarono le zone urbane all’interno delle Mura Aureliane e che portarono alla luce gli eleganti quartieri come il Ludovisi e il Coppedè o i quartieri operai come il Testaccio.
    I primi interventi significativi, in questa parte della città, risalgono invece all’inizio del Novecento e ne determinano la configurazione. Sono di questo periodo la costruzione del Poligono di Tiro nella zona del Demanio Militare della Farnesina, la costruzione, nel 1905, degli impianti della Società Automobili Roma che, nel corso della Prima Guerra Mondiale, diventeranno presidio militare e la realizzazione di alcune strutture destinate ad accogliere importanti avvenimenti e manifestazioni sportive in occasione dei festeggiamenti per la celebrazione del cinquantenario della nuova capitale, quali l’Ippodromo Parioli e lo Stadio Nazionale.
    La vocazione sportiva rimarrà anche più avanti, nel corso del Novecento, con la realizzazione del Villaggio Olimpico per le Olimpiadi di Roma del 1960, dove si sono confrontati, tra il 1957 e il 1960, gli architetti: Vittorio Cafiero, Adalberto Maria Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco e Luigi Moretti. L’Olimpiade sarà l’occasione perché nel quartiere arrivino alcune strutture sportive di grande impatto architettonico come il Palazzetto dello Sport di Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi.

    Villaggio Olimpico

    Tra i diversi edifici realizzati per le Olimpiadi del 1960 va notato anche quello destinato ad opsitare la mensa degli atleti, oggi supermercato Carrefour e prima ancora sede dei Supermercati Romani, primo esempio di supermercato a Roma.
    Accanto alla vocazione sportiva, a partire dal 1911, quando il quartiere Flaminio ospita i padiglioni dell’Esposizione Universale, si sviluppa anche la vocazione culturale. Tra le strutture permanenti realizzate per l’Esposizione Universale del 1911 è progettato e costruito da Cesare Bazzani l’edificio che ospiterà le collezioni d’arte nazionale e che andrà a costituire il primo nucleo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
    Tra il 1919 e il 1920 arriva la Scuola Superiore di Architettura di Roma, ovvero il primo nucleo di quella che sarà la Facoltà di Architettura e a seguire gli edifici che diverranno sede delle Accademie culturali di molte nazioni straniere tra le quali quella d’Egitto e quella di Romania.
    Non è possibile trascurare poi due interventi dell’Istituto Case Popolari: il complesso edilizio Flaminio I, realizzato solo in parte nel 1903 su progetto di Quadro Pirani e il Flaminio II, un complesso di tre isolati a corte costituito da 339 alloggi per la progettazione e la realizzazione, avvenuta nel 1909, di Mario De Renzi, Alessandro Limongelli, Giuseppe Wittinich e Tito Bruner, mentre i cancelli sono di Duilio Cambellotti.

    MAXXI – Zaha Hadid

    La trasformazione durante la Prima Guerra Mondiale in fabbrica d’armi, caserme e officine delle strutture costruite dalla Società Romana Automobili induce, successivamente, l’arrivo di altre caserme in Via Guido Reni, tra le quali quella che verrà trasformata nella sede del MAXXI e che vedrà uno degli interventi architettonici più interessanti di questi ultimi anni per mano di Zaha Hadid, accompagnato dalla realizzazione dell’Auditorium di Renzo Piano e dal Ponte della Musica Armando Trovajoli, progettato dallo studio Burò Happold di Londra e inaugurato il 31 maggio 2011.
    Il Flaminio accoglie poi alcune “enclave” residenziali che ne costituiscono un’ulteriore sorpresa come le piccole case di Villa Riccio o la così detta Piccola Londra in Via Bernardo Celentano.
    Non si possono poi non notare alcuni elementi artisti di rilievo quali la scultura, alta oltre 16 metri, di Mario Ceroli: Goal, collocata su viale Tiziano in occasione dei mondiali di calcio del 1990 e alcuni interventi di street art dell’artista romana Alice Pasquini che a lungo ha abitato nel quartiere.
    Il Flaminio, quindi, si configura come luogo di sperimentazione architettonica e urbanistica, sia in tempi passati che in epoche più recenti. Sperimentazione architettonica e urbanistica che dovrebbe continuare con la realizzazione della città della Scienza.

    Alice Pasquini

    Per le caratteristiche fin qui descritte del quartiere Flaminio, nel corso di una bellissima passeggiata che si sviluppa in un percorso brevissimo si ha l’occasione, dunque, di guardare con occhi nuovi ad elementi del panorama urbano al quale ormai ci siamo assuefatti, tra i quali il Viadotto di Corso Francia previsto dal disegno urbano di Cafiero, Libera, Luccichenti e Monaco, premiato dall’Accademia dei Lincei, del quale Luigi Moretti rivendicò la paternità, anche se la struttura deve la sua eleganza a Pier Luigi Nervi.

  3. Memorie di Adriano. Quando Castel Sant’Angelo era il Mausoleo dell’Imperatore

    Publio Elio Traiano Adriano, nato nel 76 e morto nel 138 dopo Cristo, muore a Baia, nei Campi Flegrei, di edema polmonare.

    Adriano

    In ventuno anni di regno, Adriano era riuscito: a mantenere le conquiste del suo predecessore Traiano, a governare con tolleranza, a coltivare le arti e la filosofia, a continuare l’opera di abbellimento dell’Urbe e di molti altri centri dell’impero quali Antiochia, Alessandria, Segovia, Timgad in Algeria e, in Italia, Benevento.
    Formatosi alla scuola ellenistica, Adriano si era comunque rivelato alto interprete della concezione architettonica imperiale romana. Emulo di Augusto, l’attività edilizia, durante il suo governo interessa di nuovo la zona del Campo Marzio, già ricca di monumenti del periodo augusteo. Per questo motivo qui sorgono altri portici, i templi dedicati a Marciana e a Matidia e si ricostruisce il Pantheon, che è corredato della grande cupola emisferica, che caratterizza la struttura attuale.
    Tra le grandiose realizzazioni adrianee è impossibile non ricordare la villa residenziale presso Tivoli, ove l’imperatore, fervido ammiratore della civiltà greca e lui stesso dilettante di architettura, volle fossero riprodotti i più celebri edifici da lui visitati in Grecia e in Asia Minore.
    A Roma, Adriano, sempre sull’esempio di Augusto, si fa erigere sulle sponde del Tevere un monumentale Mausoleo destinato a divenire il sepolcro dinastico degli Antonini. L’opera eseguita, forse, dall’architetto Demetriano e lo storico Cassio Dione, descrivendolo nella sua Storia Romana, parla, tra l’altro, di «un enorme monumento equestre che lo rappresentava in una quadriga. Era così grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell’altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l’impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli».

    Mole adriana – ricostruzione

    La zona scelta da Adriano per edificare il mausoleo furono gli Horti di Domizia, che si trovavano proprio di fronte al Campo Marzio, nell’ager Vaticanus, oggi rione Borgo. Per mettere in comunicazione il sepolcro con il Campo Marzio fu costruito quindi un nuovo ponte, che dal nome dell’imperatore fu detto Elio. Il ponte, corrispondente all’attuale Ponte Sant’Angelo, fu inaugurato nel 134 dopo Cristo come indicato dalle iscrizioni ripetute ai due ingressi, copiate nell’VIII secolo dall’«Anonimo di Einsiedeln». L’anonimo è un viaggiatore – pellegrino che visitò Roma in epoca carolingia e che compilò una sorta di guida con piante e disegni e descrizione dei principali monumenti della città, a uso di tutti quelli che fossero venuti poi a Roma.
    Il ponte Elio non era un vero e proprio ponte perché, di fatto, connetteva solo la città con il Mausoleo e affiancò quello neroniano, posto più a valle: esso comprendeva tre grandi archi centrali, ancora oggi superstiti, e due rampe inclinate, sostenute da tre archetti, la rampa della riva sinistra, e da due, quella della riva destra. Queste strutture furono portate alla luce nel 1892 durante i lavori di sistemazione delle rive e furono in seguito inglobate nei muraglioni del Tevere.
    Il mausoleo sorse subito là del ponte, sulla riva destra. La sua struttura, inserita nel Medioevo dentro Castel Sant’Angelo, si è in gran parte conservata. I lavori furono iniziati in una data che ci è ignota, forse intorno al 130 dopo Cristo, e completati solo nel 139, dopo la morte di Adriano a Baia. Il corpo dell’imperatore fu sepolto in un primo tempo a Pozzuoli.

    Primo itinerario Einsiedeln dalla Mole adrianea alla Porta San Paolo

    Difficile sapere oggi l’aspetto effettivo della Mole adrianea, ma molto probabilmente il suo aspetto fu ispirato dal Mausoleo di Augusto che nel frattempo era stato terminato.
    Si sa che il mausoleo era costituito da un basamento quadrato in opus latericium, corrispondente all’attuale muro di cinta, sul quale poggiava una costruzione cilindrica in opus caementicium rivestito di marmo, e su cui erano fissate tabelle pure marmoree con gli epitaffi dei personaggi sepolti all’interno del monumento.
    Lo storico bizantino Procopio ricorda che sui quattro angoli del basamento poggiavano gruppi bronzei, rappresentanti uomini e cavalli. All’esterno era una recinzione, una cancellata sostenuta da pilastri, della quale si sono trovate le fondazioni in peperino. Su alcuni di questi pilastri posavano forse i pavoni in bronzo dorato, ora nel Cortile della Pigna in Vaticano.
    L’ingresso originario, a tre fornici, non è conservato. L’ingresso moderno è più alto di 3 metri rispetto a quello antico. Da qui si può ammirare il tamburo del sepolcro, che costituisce la parte inferiore di Castel Sant’Angelo: esso è in opera cementizia, rivestita di blocchi di peperino, tufo e travertino. Il parametro esterno era marmoreo.
    Attraverso un breve corridoio si accedeva al vestibolo quadrato, con una nicchia semicircolare nel muro di fondo; qui probabilmente era collocata la grande statua di Adriano, la cui testa, proveniente da Castel Sant’Angelo, è ora conservata nella Rotonda dei Musei Vaticani. È ignota invece la posizione del grande ritratto di Antonino Pio, la cui testa si conserva nel Castello.

    Castel Sant’Angelo – Giovan Battista Piranesi

    L’atrio era rivestito di lastre di marmo giallo antico e sulla destra di esso ha inizio la galleria elicoidale che porta alla camera funeraria. Questo corridoio, in opera laterizia, era anch’esso rivestito di marmo fino a 3 m da terra, dove è una cornice. La volta è murata a secco; il pavimento, di cui sono conservati alcuni tratti, è in mosaico bianco. Quattro pozzi verticali servivano a illuminare la galleria. Questa descriveva un giro completo, raggiungendo un livello di 10 m superiore a quello del vestibolo. Qui s’innestava in un corridoio, che conduceva alla stanza sepolcrale, posta al centro del monumento. La stanza era quadrata, con tre nicchie rettangolari ad arco su tre lati, era interamente rivestita di marmo. L’illuminazione proveniva da due finestre che si aprivano obliquamente nella volta. Qui erano deposte le urne cinerarie di Adriano, di sua moglie Vibia Sabina, del figlio adottivo Elio Cesare e di tutti gli imperatori Antonini e dei Severi fino a Caracalla. Al di sopra della camera funeraria si trovavano due stanze sovrapposte, e forse anche una terza, entro l’elemento quadrangolare emergente al centro. Un tumulo di terra colmava lo spazio compreso tra di esso e il tamburo esterno, ed era coltivato a fitta alberatura. Questo podio sosteneva una quadriga bronzea con la statua di Adriano.
    Il mausoleo fu incluso in un bastione delle Mura Aureliane, realizzato probabilmente da Onorio nel 403 d.C. Esso dovette sostenere, nel 537, l’assedio dei Goti di Vitige: allora, come narra Procopio ne La guerra gotica, i difensori utilizzarono come proiettili anche le numerose statue che ornavano il monumento. La trasformazione in castello avvenne probabilmente nel X secolo.

    Castel Sant’Angelo da Sud – Van Wittel

    In seguito alla leggenda di origini medievali secondo cui l’Arcangelo Michele apparve a papa Gregorio Magno sulla sommità della Mole annunciando la fine della peste, nel 590 dopo Cristo, il Mausoleo di Adriano vide cambiare il suo nome in castellum Sancti Angeli e passò gradualmente sotto il controllo del Papato.
    A partire dalla metà del Quattrocento, all’interno del Castello, furono realizzati gli appartamenti papali che arricchirono i piani nobili con ambienti dotati di raffinate decorazioni a grottesche; il castello divenne anche sede dell’Erario e dell’Archivio Segreto. In occasione del Sacco di Roma del 1527 le sue stanze ospitarono la corte pontificia di papa Clemente VII Medici, in fuga dai palazzi vaticani attraverso il Passetto di Borgo, corridoio che collega il bastione San Marco del castello con il Palazzo Apostolico.

    Roma, 14 maggio 2017

  4. Massenzio, Romolo e Cecilia Metella. Storie e personaggi dell’Appia Antica.

    Una passeggiata lungo l’Appia Antica è un’esperienza unica: la strada, completamente restaurata e riportata alla sua sezione originale, conserva per ampi tratti l’originale basolato.

    Appia Antica

    Ancora oggi la bordano i crepidini, cioè i marciapiedi romani e le macere, i muretti che ne definivano i limiti. Lungo tutto il suo percorso si trovano importanti resti di monumenti funerari, torri e lapidi ombreggiati da grandi pini e cipressi secolari.
    Il tratto legato al periodo imperiale è definito per la sua straordinaria bellezza il “belvedere”. E’ qui che si allineano il Mausoleo di Romolo, alle spalle del quale si ergono i resti della Villa e del Circo di Massenzio e la Tomba di Cecilia Metella, il sepolcro meglio conservato e più conosciuto dell’Appia Antica.
    I resti di epoca imperiale e pertinenti all’epoca di Massenzio sono di fatto l’ultima trasformazione di una costruzione più antica, ovvero una villa rustica tardo – repubblicana risalente al I secolo avanti Cristo, che si ergeva in posizione scenografica con vista ai Colli Albani.
    Una prima trasformazione si ebbe in età giulio – claudia, I secolo dopo Cristo, e successivamente nel II secolo dopo Cristo subì una radicale modificazione a opera di Erode Attico che la inglobò nella sua enorme villa detta Pago Triopio. La proprietà passò poi nel demanio imperiale, e fu a questo punto che, all’inizio del IV secolo, Massenzio si fece costruire la villa, il circo e il mausoleo di famiglia.

    Mausoleo di Romolo

    Oggi, allineato con la via Appia e con apertura su di essa, si scorge un imponente quadriportico in opera listata, che circonda il Mausoleo dedicato a Romolo, che non deve però essere identificato con il fondatore di Roma, ma con il figlio dell’imperatore Massenzio, morto a soli sette anni, nel 309 dopo Cristo. Romolo, qui effettivamente deposto, fu divinizzato dopo la morte. Successivamente, il mausoleo fu trasformato per ospitare tutti i membri della famiglia imperiale compreso Massenzio e dotato di una cella per i riti connessi al culto dell’imperatore stesso.
    Ma le più note rovine “massenziane” sono quelle riferibili a un circo che è il meglio conservato tra tutti i circhi costruiti a Roma. Qui, persino i dettagli, come le anfore che servono a alleggerire il peso delle volte nella costruzione, sono ancora visibili. Il circo per le corse dei carri, che aveva una forma ad ippodromo, lungo 520 metri e largo 92, era di ridotte dimensioni perché era ad uso privato. Esso era infatti destinato a d accogliere l’imperatore, la sua famiglia e la corte imperiale. Oggi si stima che la capacità del circo fosse di 10.000 spettatori contro i 15.000 che poteva contenere il Circo Massimo.
    Sulla spina del circo troneggiava l’obelisco proveniente dal Tempio di Iside in Campo Marzio che successivamente Bernini collocherà al centro di Piazza Navona a completamento della Fontana dei Quattro Fiumi.

    Obelisco del Tempio di Iside – Fontana dei Quattro Fiumi – Bernini

    La sconfitta di Massenzio, a opera di Costantino, determinò probabilmente il precoce abbandono dell’impianto, al punto che si pensa che la struttura non sia stata neppure mai usata da Massenzio, e il fondo passò nel Patrimonium Appiae, citato già al tempo di papa Gregorio I, alla fine del IV secolo, tra i patrimonia ecclesiastici. La grande tenuta passò poi ai Conti di Tuscolo, poi ai Cenci e ancora ai Mattei ai quali si riferiscono i primi scavi, nel XVI secolo.
    A metà del Settecento, una nuova costruzione rustica fu addossata al pronao della tomba di Romolo; il resto del complesso antico, allora indicato come Circo di Caracalla, era pressoché totalmente interrato, se nel 1763 Giuseppe Vasi, architetto e vedutista, poteva descriverlo così: “Rimane solamente di questo Circo, che da alcuni viene stimato per opera di Gallieno, un masso di materia laterizia che era l’ingresso principale, ed il piantato d’intorno al Circo, in mezzo del quale fu ritrovato l’obelisco egizio che ora si vede sul nobilissimo fonte di piazza Navona”.
    Poco dopo, nel 1825, la tenuta fu acquisita da Giovanni Torlonia, che una ventina d’anni prima aveva già comprato la tenuta di Roma Vecchia e il relativo marchesato. Fu in quell’occasione che furono condotti nel complesso i primi scavi sistematici voluti dal Torlonia, allora ancora solo duca di Bracciano, ma suggeriti, nei modi e nella finalizzazione, dall’archeologo Antonio Nibby.
    Alla fine di otto mesi di difficile scavo, in un terreno – annota il Nibby nella sua Dissertazione –“maligno e sì duro che il tufo stesso sarebbe sembrato più molle”, il circo era interamente riemerso fino alla Porta Trionfale sulla via detta Asinaria.

    Mausoleo e Circo di Massenzio con casa dei Torlonia

    E proprio nei pressi di quella porta furono trovate due iscrizioni, una delle quali indicava Massenzio come committente e il figlio Romolo come dedicatario del monumento.
    Nel descrivere lo scavo, Nibby nota minuziosamente la mediocre qualità delle murature e delle stesse lastre di marmo delle iscrizioni, che datano perciò al IV secolo. Egli sottolinea, inoltre, come la fabbrica non sia mai stata restaurata, in antico. I Torlonia continuarono poi a far scavare lungo tutto l’Ottocento.
    Il complesso archeologico fu infine acquisito per esproprio dal Comune di Roma nel 1943; nel 1960, in occasione delle Olimpiadi di Roma, si provvide allo sterro di tutto il circo nonché al consolidamento delle murature perimetrali, cui seguirono lo scavo parziale degli edifici del palazzo, il restauro della spina, del quadriportico e del mausoleo. Varie altre campagne di scavo e consolidamento si sono susseguite da allora: dal 1975 – 1977, nel 1979 e nei primi anni 2000.
    In cima alla collina, infine, si erge uno dei punti di riferimento più celebri della via Appia Antica: la Tomba di Cecilia Metella, che rivaleggia per grandezza e per le forme con quelle di Augusto e di Adriano, costruite per le dinastie imperiali.

    Tomba di Cecilia Metella

    Cecilia Metella, figlia del console Quinto Metello Cretico, era la nuora del triumviro Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi della Roma tardo – repubblicana. Costui aveva accumulato la sua fortuna acquistando a basso prezzo i beni delle vittime delle proscrizioni di Silla. Fu Crasso che finanziò Cesare all’inizio della sua carriera.
    Tuttavia, Cecilia assunse una fama postuma. È dovuto a lei, o per lo meno al fatto che la sua afflitta famiglia le avesse innalzato un così vasto e solido monumento funebre in un punto strategico, che l’antica strada abbia conservato il suo carattere e molti dei suoi monumenti.
    La tomba è costituita da una base a pianta rettangolare sormontata da un tamburo cilindrico. Della base, alta 8 metri, rimane solo il nucleo in calcestruzzo di selce, mentre del rivestimento si vedono solo i blocchi di travertino di ammorsamento che non fu conveniente asportare; il cilindro, alto ben 11 metri e dal diametro di 30 metri, è ancora rivestito di travertino; la sua forma lo collega al genere architettonico del mausoleo di tradizione ellenistica, che proprio in quel periodo raggiungeva a Roma la massima diffusione.

    Tomba di Cecilia Metella – particolare della decorazione a bucrani

    Sul tamburo un’iscrizione in marmo pentelico ricorda brevemente Cecilia Metella, mentre un fregio in rilievo rappresenta dei trofei di guerra, insieme a bucrani sormontati da festoni di foglie e frutta. Proprio dai crani bovini che decorano il festone la zona ha assunto il curioso toponimo di “Capo di Bove”.
    La sommità del tamburo è delimitata da una cornice, al di sopra della quale, si trova il ballatoio con la merlatura medievale; è però ancora parzialmente visibile la merlatura antica in travertino, che, assieme ai fregi guerreschi, richiama la tradizione italica che voleva il sepolcro simile ad una fortezza. Sul cilindro si trovava anche un tumulo di terra a forma di cono rovesciato, dove probabilmente crescevano dei cipressi. È una tipologia caratteristica dei sepolcri etruschi, che a Roma ritroviamo nel contemporaneo mausoleo di Augusto.
    L’interno era a due piani: il piano inferiore, che conteneva il corpo di Cecilia Metella, è costituito da una camera circolare, stretta e molto alta, in origine ricoperta da una volta conica; per proteggere la camera dall’umidità, le pareti sono rivestite con estrema cura in laterizio, con tegole sottili, spezzate e arrotate sul lato frontale.

    Tomba di Cecilia Metella – trasformazione medievale

    Per entrare nella camera funeraria esiste, accanto all’ingresso del castello, una scala che scende in basso, che fu costruita dal Muñoz all’inizio del ‘900 per raggiungere un piccolo corridoio che fa accedere alla base della camera; del corridoio, antico come la tomba, non è stato ancora ritrovato l’ingresso originale. Possiamo però anche affacciarci all’interno della tomba percorrendo una stretta galleria, analoga al “dromos” di accesso dei tumuli etruschi, che si trova alla stessa quota dell’ingresso del castello. Si saliva infine al piano superiore per mezzo di una scala medievale, ora inaccessibile.
    Nel 1300, papa Caetani, Bonifacio VIII, donò la tomba di Cecilia Metella ai suoi familiari, che la trasformarono in roccaforte, così da poter controllare il traffico lungo l’Appia ed esigere il pagamento del pedaggio da tutti i viaggiatori. Le grosse mura sgretolate, allietate da biforette medievali che si trovano da ambo i lati della tomba, facevano parte della roccaforte dei Caetani; nel 1300 questi costruirono l’ormai diroccata chiesa gotica di fronte, dedicata a san Nicola.
    Il risultato della trasformazione in roccaforte e della richiesta di pedaggio fu che questo tratto di strada fu abbandonato in favore di via Appia Nuova, che conduce alla Porta San Giovanni in Laterano, e la via Appia Antica fu abbandonata, e solo nel secolo scorso si avviarono i lavori di sgombro, la vegetazione venne estirpata dai suoi monumenti e questi restaurati.

    Roma, 30 aprile 2017