prima pagina

  1. La Roma di Gregorio Magno. Dall’età paleocristiana al medioevo.

    Tutto inizia al colle Celio, vera oasi di pace e bellezza. Uno dei luoghi più affascinanti, sconosciuti e silenziosi di Roma. Disseminato di chiese bellissime, ricche di opere d’arte cariche di storia.

    Chiesa di San Gregorio Magno e Biblioteca di Agapito al Celio – Giuseppe Vasi

    E’ qui che incontriamo la storia di uno dei personaggi più significativi del cristianesimo che riuscì a governare la Chiesa in uno dei suoi momenti più bui.
    Richard Krautheimer, uno dei più grandi storici dell’arte di tutti i tempi, lo ha definito: «il primo papa dell’età di mezzo, il fondatore della Roma medievale, colui che diede alla città la posizione che avrebbe conservato per parecchi secoli nell’ambito dell’Occidente; ma che fu anche l’ultimo papa dell’età paleocristiana, nata dalla cristianizzazione dell’antica Roma». Insomma, le geniali doti amministrative e diplomatiche, l’acume politico e il senso pratico di Gregorio fecero sì che i quattordici anni del suo pontificato segnassero una svolta decisiva nella storia di Roma, dell’Europa, della Chiesa. È uno dei dottori della Chiesa d’Occidente. Fu anche autore e legislatore nel campo del canto sacro, elaborando un sacramentario che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del messale romano. Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omiletico che formarono intere generazioni cristiane.
    Gregorio nasce a Roma verso il 540 nell’antichissima e ricca gens senatoriale degli Anicii. Crebbe in una delle tenute di famiglia sulle pendici occidentali del colle Celio, attraversata dal Clivus Scauri, l’antica strada che ancora oggi sale tra la chiesa barocca di San Gregorio e le sue tre cappelle e la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.

    San Gregorio Magno – Antonello da Messina

    La dimora, adiacente a quella che si crede fosse la grande biblioteca fondata a Roma da papa Agapito, sorgeva nel luogo ove oggi si erge la chiesa di San Gregorio. Papa Agapito, come Felice III, trisavolo di Gregorio, era suo parente.
    Negli anni della sua giovinezza, Gregorio intraprese la carriera amministrativa e per un certo tempo, dopo la morte di suo padre Gordiano, divenne prefetto di Roma; qualche anno dopo decise di ritirarsi nella villa di famiglia proprio al Celio, che fu adibita a monastero.
    Ben presto la quiete della vita monastica di Gregorio fu travolta da un fatto inatteso. Papa Pelagio lo nominò diacono e lo inviò a Costantinopoli quale apocrisario, oggi si direbbe nunzio apostolico, per favorire il superamento degli ultimi strascichi della controversia monofisita e soprattutto per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di contenere la pressione longobarda che minacciava Roma.
    La missione di Gregorio durò pochi anni. Egli ottenne gli aiuti sperati contro i Longobardi, ma questi furono di così modesta entità che non furono sufficienti a revertire le condizioni in cui Roma e i Romani erano caduti. Papa Agapito quindi lo richiamò a Roma e lo nominò suo segretario per condividere con lui l’arduo compito di risollevare le tristissime condizioni in cui versava la città e le sue genti.
    Gli anni tra il 589 e il 590 dopo Cristo si rivelarono però ancora tragici.

    La sedia di San Gregorio Magno – Chiesa di san Gregorio Magno al Celio

    Le campagne furono messe a ferro e a fuoco dai Longobardi, e le rovinose inondazioni del Tevere distrussero i granai sulle rive del fiume e provocarono l’annegamento del bestiame. Tantissimi furono i Romani che morirono perciò per fame mentre la città versava in condizioni di estremo degrado con moltissime abitazioni crollate.
    In questa situazione di caos sociale ed economico sulla città di Roma si abbattè anche un’epidemia di peste che uccise moltissimi cittadini tra cui anche papa Pelagio. A quel punto, il clero, il popolo e il senato furono unanimi dello scegliere quale successore al soglio di Pietro, proprio lui, Gregorio.
    Egli cercò di resistere, tentando addirittura la fuga, ma non ci fu nulla da fare, alla fine dovette cedere e accettare il pesantissimo incarico. Correva l’anno 590.
    Non c’era da perdere tempo, con l’Urbe ormai moribonda. Gregorio era consapevole che l’unica istituzione che avrebbe potuto fare fronte in qualche misura al diffondersi delle difficile condizioni era proprio la Chiesa, vista la totale inadempienza dei funzionari bizantini che all’epoca governavano la città.
    Sotto il pontificato di Gregorio contadini, servi e tutti i poveri di Roma furono difesi dalla Chiesa da ogni interferenza governativa; i prodotti alimentari furono ammassati negli horrea ecclesiae, i magazzini di proprietà della Chiesa. Si acquistarono quantità massicce di grano nei possedimenti ecclesiastici sparsi per l’Italia, soprattutto in Sicilia. Furono istituite cucine mobili per assicurare minestre calde ai più poveri e agli infermi, poiché il Laterano, allora residenza papale, era Il motivo era dato dalla lontananza del Laterano, allora residenza papale, era distante dalle zone più povere e densamente abitate di Roma. E sempre per rafforzare l’azione di assistenza vennero costruite delle diaconie dove si distribuivano viveri e servizi.
    Gregorio contestualmente attuò anche un’azione politica tesa a trovare accordi e portare quindi alla pace con i Longobardi. L’azione intentata da Gregorio vide prima la disapprovazione degli amministratori bizantini che risiedevano a Ravenna che lo accusavano sostanzialmente di tradimento, tanto che lo stesso imperatore di Costantinopoli, Maurizio, nel 593 dopo Cristo lo accusò di infedeltà all’Impero. All’accusa Gregorio rispose con una lettera molto esplicita:

    San Gregorio con Giovan Battista, San Benedetto da Norcia e San Girolamo – Andrea Mantegna

    «…Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito “sempliciotto”,… che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione… Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi.
    Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo, invece che alle mie… Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l’Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più…».
    Le trattative con i Longobardi subirono quindi un’accelerazione e finalmente nel 598 arrivò la firma di un trattato di pace, che durò nella realtà solo tre anni durante i quali Gregorio cercò di estendere l’attività di assistenza alle provincie più distanti da Roma. Con l’aiuto della potente regina Teodolinda egli riuscì a ottenere anche la conversione dei Longobardi e da questo importante successo egli attuò un piano di cristianizzazione molto più vasto anche in paesi molto distanti.

    Sant’Agostino

    Ottenne ad esempio la conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I e della Britannia, inviando in quelle terre monaci benedettini tra cui Agostino e Lorenzo che divennero i primi due vescovi di Canterbury.
    Tra gli innumerevoli scritti, oltre le Epistole attraverso le quali Gregorio coltivò relazioni con i patriarchi di Antiochia, Alessandria e Costantinopoli, da ricordare sono anche i Dialoghi con il diacono Pietro, di cui il II Libro è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia, unica testimonianza antica della vita del fondatore del monachesimo occidentale.
    Gregorio riorganizzò anche la liturgia romana ordinando le fonti e scrivendo nuovi testi e si occupò anche di dare vita a una nuova forma di canto rituale da adottare durante la liturgia che comportò un ampliamento della Schola Cantorum. Questa nuova tipologia di canto viene ancora oggi indicata con il nome di canto gregoriano.

    Roma, 19 febbraio 2017

  2. Artemisia

    di Giuseppe Frangi

    Artemisia Gentileschi è un’artista soffocata dalla curiosità che la circonda.

    Giuditta e la fantesca – Artemisia Gentileschi

    La vicenda dello stupro subito da un amico del padre Orazio, anche lui pittore, sembra averne definito il profilo non solo biografico ma anche artistico.
    Ogni suo quadro viene letto in rapporto a quel drammatico fatto; in particolare la frequenza di soggetti di carattere biblico in cui donne come Giuditta o Dalila fanno giustizia di uomini è interpretato come vendetta per la violenza subita.
    La mostra in corso in queste settimane a Roma a Palazzo Braschi rende invece finalmente giustizia ad Artemisia come pittrice, grazie ad un approccio molto scientifico, senza concessioni al gossip. Una mostra da non perdere.
    Resta però aperta una questione affascinante: che cosa significava essere donna e voler essere pittrice in una società come la Roma di quell’inizio ‘600? Vero che Artemisia era figlia di un artista e quindi questa “anomalia” trova una mezza spiegazione.
    Tuttavia la sua avventura contiene comunque qualcosa di sfidante.

    Giuditta che decapita Oloferne – Artemisia Gentileschi

    Questo Autoritratto, conservato nelle raccolte reali inglesi, è bellissimo perché aiuta a rispondere a quella domanda (purtroppo non è arrivato per la mostra che pur è completissima di opere): si vede Artemisia messa di tre quarti, con la mano destra sollevata verso la tela mentre con la sinistra tiene la tavolozza.
    Il quadro rappresenta un’allegoria della pittura ed è affascinante capire come Artemisia abbia costruito quest’immagine in cui lei non guarda frontalmente come se fosse davanti ad uno specchio e in cui non rovescia la figura, in quanto la vediamo comunque dipingere con la destra.
    Come può aver catturato un’immagine così? Gli autoritratti al maschile in genere sono sempre degli esercizi a volte straordinari di narcisismo. Sono prove in cui si afferma con forza l’autocoscienza dell’essere artisti. Artemisia invece ha un sguardo diverso, molto femminile: al centro non mette se stessa ma ciò verso cui sta guardando, con un occhio teso, quasi commosso.
    La linea di forza del quadro porta infatti fuori dal quadro, là sulla sinistra dove qualcuno o qualcosa è in posa.

    Maddalena – Artemisia Gentileschi

    La ragione e il fondamento della pittura secondo Artemisia non stanno quindi nelle capacità espressive dell’artista, quanto nell’attrattiva che la realtà esercita su di lui.
    Tutto nel quadro accompagna questa sensazione: lo sguardo concentrato, il volto che ruotando si allunga, l’orientamento di tutto il corpo che si sporge oltre la tela per meglio guardare, la capigliatura molto semplice e dimessa di chi ha cose più interessanti da fare che non agghindarsi in vista dell’autoritratto. È una vera allegoria della pittura, che ci dice come essa sia un esercizio di stupore più che una prova di forza.

    Roma, 4 marzo 2017

  3. Lettera

    Lettera di Plinio il Giovane all’Amico Gallo

    Plinio il Giovane

    Caio Plinio Cecilio Secondo, è detto il Giovane per distinguerlo da suo zio, Plinio il Vecchio, che si occupò di lui alla morte dei genitori, lo fece studiare e, grazie alle sue risorse economiche, gli garantì una veloce carriera politica.
    Alla morte dello zio, avvenuta nel 79 dopo Cristo durante la disastrosa eruzione del Vesuvio, che è proprio Plinio il Giovane a descrivere minuziosamente, questi si ritrovò unico erede di un’immensa fortuna. L’opera letteraria per cui Plinio il Giovane è più noto è certamente l’Epistolario, e tra le lettere in esso raccolte presentiamo qui quella in cui egli descrive all’amico Gallo la sua villa Laurentina.
    La villa di Plinio il Giovane, i cui resti oggi si ritiene siano dentro la tenuta presidenziale di Castel Porziano, è stata a lungo identificata con i resti di una villa che si trovano in località Palombara. Questa villa oggi si pensa sia appartenuta ad Ortensio, oratore vissuto ai tempi di Cicerone.

    Villa Laurentina -Karl Friedrich Schinkel – 1835

    E’ noto che essa era una delle tante ville residenziali romane nella macchia mediterranea tra Palombara e Torvaianica, una zona dove divenne di moda possedere una villa e che si sviluppò in tal senso quando fu costruita la via Severiana che velocizzava il collegamento di Ostia con Terracina.
    La descrizione che Plinio il Giovane fa della sua villa, nell’episola XVII del libro II, resta però una delle testimonianze più interessanti dell’esistenza di queste ville andate per la maggior parte perse.
    La descrizione della villa è talmente minuziosa che nel tempo tantissimi sono stati gli architetti, tra cui Luigi Canina e Karl Friedrich Schinkel, che si sono esercitati nel tentativo di darne una veritiera ricostruzione. Presentiamo qui il testo corredato da alcuni disegni di Hans Dollgast (1891 – 1974).

    Caro Gallo,
    ti meravigli perché io tanto mi diletti della mia Laurentina o, se preferisci, Laurento; avran termine le tue meraviglie quando avrai conosciuto l’amenità della villa, la comodità del luogo, l’ampiezza della spiaggia.
    continua…

  4. L’icona di Cristo Salvatore e il Laterano. Una storia

    Al Laterano, il fulcro attorno al quale ruota una parte importante della storia della Chiesa di Roma, carità e arte si fondono nell’immagine di Cristo Salvatore del mondo.

    Pellegrini percorrono la Scala Santa – Roma

    La storia parte da lontano, esattamente dalla prima metà IV secolo: la Basilica Lateranense voluta da Costantino il Grande fu intitolata al Santissimo Salvatore e consacrata il 9 novembre del 324, sotto il pontificato di Silvestro I. Per l’occasione, fu realizzato un mosaico raffigurante il Salvator Mundi per il catino absidale della cattedrale. La dedicazione di questa basilica a San Giovanni Battista, così come la conosciamo, ebbe luogo molto più tardi, nel IX secolo, ad opera di papa Sergio III; mentre tre secoli più tardi, papa Lucio II estese la dedicazione a san Giovanni evangelista, l’apostolo prediletto da Gesù.
    Il Volto Santo
    La storia del Salvator Mundi s’intreccia con quella del Volto Santo, l’immagine del volto del Signore che sarebbe rimasta impressa sul velo della Veronica quando essa gli asciugò il viso, durante la salita al Calvario.
    Nel VII secolo circa l’icona del Volto Santo o Acheropirita del Salvatore, cioè dipinta da mano non umana, proveniente da Costantinopoli, fu collocata nella cappella di San Lorenzo al Patriarchio Lateranense, la cappella privata del papa, a due passi dalla basilica.
    La cappella era conosciuta come Sancta Sanctorum alla Scala Santa, e costituisce il luogo più sacro per la cristianità che ci sia al mondo, essa è stata anche il più grande reliquiario di Roma, perché ospitava alcune delle reliquie più importanti.

    Volto Santo – Roma

    Tra queste la Scala Santa, quella che, secondo la tradizione, Gesù avrebbe salito a Gerusalemme per raggiungere l’aula dove avrebbe subito l’interrogatorio di Ponzio Pilato prima della crocifissione. Una scala che ancora oggi è oggetto di venerazione, sui cui gradini di legno s’inerpicano in ginocchio pellegrini in preghiera.
    La Scala Santa era stata fatta trasferire a Roma da Elena, la madre di Costantino, in occasione del suo viaggio a Gerusalemme alla fine del IV secolo, per rintracciare i segni della vicenda terrena del Signore.
    Il Volto Santo in processione
    Non si sa con esattezza dove fosse stata custodita l’icona del Volto Santo del Salvatore dopo il suo arrivo a Roma da Costantinopoli, ma la sua presenza nella cappella al Laterano è attestata già all’epoca di papa Stefano II (752-757), ed è noto che fino al IX secolo era tradizione che essa uscisse dal Laterano per essere portata in processione per le vie di Roma in occasione delle principali festività mariane.
    Nel 753 dopo Cristo il cuore della cristianità venne a trovarsi sotto la minaccia dei Longobardi guidati da Astolfo, che reclamavano la restituzione dei territori che i loro predecessori avevano donato al Papa. In questa occasione, per chiedere la protezione divina, la reliquia fu portata in spalla da papa Stefano dal Laterano a Santa Maria Maggiore a piedi nudi e con il capo coperto di cenere. La vicenda ebbe un esito felice, dal momento che Astolfo rinunciò a reclamare i territori contesi e a muovere guerra a Roma, cosa che fu interpretata come un miracolo del Volto Santo.

    Sancta Sanctorum – Roma

    Dalla metà del secolo IX in poi, e a partire dal pontificato di Leone IV (847-855), la processione del Volto Santo aveva luogo una sola volta l’anno, in occasione della solennità dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria e si teneva nella notte fra il 14 e il 15 agosto.
    Alla luce delle fiaccole l’immagine usciva dal Sancta Sanctorum a mezzanotte e raggiungeva il Colosseo passando per via dei Santi Quattro Coronati e San Clemente. Dal Colosseo il corteo passava sotto l’arco di Costantino e, percorrendo la Via Sacra, sotto l’arco di Tito, raggiungeva Santa Maria Nova, oggi Santa Francesca Romana. Durante questo tragitto passava poi davanti ad un oratorio ormai scomparso, eretto per ricordare la sfida lanciata da Simon Mago, considerato dagli eresiologi come il primo degli gnostici, a san Pietro.
    Dopo una breve sosta a Santa Maria Nova, il corteo si addentrava nel Foro Romano e arrivava fino all’arco di Settimio Severo, dove il Senato attendeva la preziosa icona su un palco eretto per l’occasione. Questo era il momento in cui le autorità civili rendevano il loro omaggio alla sacra immagine.
    La processione continuava il suo percorso attraverso la Suburra, la salita di San Martino ai Monti, via di Santa Prassede e arrivava all’alba a Santa Maria Maggiore dove l’attendeva il Papa, che già ai tempi di Innocenzo III (1198-1216) non andava più in processione.
    Nella basilica mariana avveniva la parte più importante del rito: l’immagine di Gesù entrava nella basilica per incontrare e rendere omaggio a sua Madre. Era questo il momento in cui l’icona del Volto Salto incontrava la Salus Popoli Romani, l’icona di Maria più importante e miracolosa di Roma che ancora oggi si trova custodita nella basilica di Santa Maria Maggiore.
    Di qui il corteo imboccava via Merulana e prendeva la strada del ritorno in Laterano, dove l’icona del Salvatore tornava al suo posto sull’altare della Cappella al Sancta Sanctorum.
    Il Sancta Sanctorum
    Da un punto di vista artistico il Sancta Sanctorum è un autentico gioiello:

    Sancta Sanctorum – Roma

    gli affreschi delle pareti e della volta come anche il pavimento cosmatesco, fanno da meraviglioso coronamento al mosaico posto al di sopra dell’altare sul quale è poggiata l’immagine del Salvatore. L’altare è poi incorniciato da due colonne di porfido.
    Secondo lo studioso di arte cristiana Heinrich Pfeiffer, l’icona giunse a Roma da Costantinopoli attorno all’anno 705. A partire dal pontificato di Gregorio II fu custodita nel Sancta Sanctorum per tutto il tempo delle lotte iconoclaste, così da preservare, durante quei torbidi nei quali le immagini sacre venivano distrutte, l’icona di Cristo più cara alla cristianità.
    Quando gli imperatori bizantini persero pian piano il loro potere e il loro influsso sull’Italia, quell’immagine poté essere trasferita in Vaticano, mentre al Sancta Sanctorum fu posta una copia, che è proprio quella che vediamo oggi.
    Fu Innocenzo III a promuoverne il culto e in quella occasione, per la prima volta, l’immagine originale trasferita a San Pietro fu denominata Veronica, cioè “vera icona” di Cristo.
    Il titolo Volto Santo rimase invece indicare solo quella custodita al Sancta Sanctorum.
    Sempre secondo Pfeiffer, l’immagine vaticana si troverebbe oggi a Manoppello, un piccolo paese in Abruzzo, per una serie di vicende a dir poco appassionanti. Ciò vuol dire che anche quella conservata a San Pietro oggi non sarebbe altro che una copia.
    Il Salvator Mundi e i poveri di Roma
    Nel tardo Medio Evo a custodire l’icona del Volto Santo al Laterano era stata chiamata una confraternita che aveva il compito di amministrare un grande ospedale per i poveri e gli infermi, annesso alla Basilica Lateranense. L’emblema della confraternita era proprio l’antichissima immagine del mosaico del Salvatore collocato nell’abside della basilica.

    Sancta Sanctorum – Roma

    Nel XVII secolo, l’immagine del Salvatore fu scelta come insegna per un’opera di carità voluta da Innocenzo XII: il pontefice volle riunire al Palazzo del Laterano le tante manifestazioni caritatevoli della città per centralizzarle e rendere più efficace l’assistenza ai poveri di Roma, ricollegandosi a quel che era già accaduto con il pontificato di Gregorio Magno.
    Fu realizzata un’opera di carità capillare, che coinvolse l’intera città e che tanto beneficio ebbe a dare ai poveri e ai derelitti dell’urbe. Tutto il popolo di Roma fu chiamato a sostenere questa grande opera attraverso l’elemosina. Sette edifici sparsi per la città furono destinati a centri di raccolta per le elemosine devolute dai romani, che erano poi concentrate al Laterano.
    Per mettere sotto la protezione del Signore questa opera, furono posti su questi edifici dei bassorilievi raffiguranti proprio il Salvator Mundi.

    Salvator Mundi – Gian Lorenzo Bernini

    La storia del Salvator Mundi del Laterano lambisce anche quella di uno dei più grandi artisti dell’urbe. Secondo lo storico dell’arte americano Irving Lavin, Gian Lorenzo Bernini volle scolpire un busto del Salvator mundi per destinarlo al Palazzo Laterano, proprio là dove si svolgevano le pratiche di carità. Secondo quanto riportato nelle due biografie di Bernini redatte dai figli, il busto raffigurante il Salvator mundi fu l’ultima opera del Bernini, realizzata un anno prima di morire e scolpita solo per “sua devotione” tanto che il grande scultore barocco parlava della sua opera definendola “il mio Beniamino”.
    Questa ipotesi non è in contraddizione con quella di Irving Lavin.
    D’altro canto la splendida scultura del Bernini esiste davvero ed è oggi conservata nella Basilica di San Sebastiano fuori le Mura, sull’Appia Antica. La si vede immediatamente, appena entrati nella basilica. A destra.