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  1. Novità archeologiche al Circo Massimo. Il più grande edificio per lo spettacolo dell’antichità

    Tutto inizia con Tarquinio Prisco: la prima installazione di un circo destinato alle corse dei carri nella vallis Murcia, tra il Palatino e l’Aventino, sarebbe dovuta al primo re etrusco.

    Il Circo Massimo – ricostruzione

    Anche se la tradizione ricorda in precedenza corse di carri in onore del dio Consus, il cui altare sorgeva nella zona: la fondazione di queste gare da parte di Romolo sarebbe avvenuta in occasione della festa che si concluse con il ratto delle Sabine. Ai sedili di legno, chiamati fori publici, si sarebbero poi sostituite, progressivamente, gradinate in muratura. Nel 329 avanti Cristo furono costruiti, sul lato corto settentrionale, le gabbie di partenza per i carri, carceres, che erano allora di legno dipinto. Forse negli stessi anni fu costruita la spina, entro la quale fu canalizzato il corso d’acqua che attraversava la valle in direzione del Tevere, Euripus. Al centro del lato curvo meridionale si apriva una porta, sostituita con un arco trionfale da L. Stertinio nel 196 avanti Cristo. I primi carceres in muratura furono costruiti nel 174 avanti Cristo, quando furono poste sulla spina le sette uova che servivano a contare i giri compiuti dalle quadrighe, alle quali furono aggiunte da Agrippa, nel 33 avanti Cristo, sette delfini di bronzo che avevano la stessa funzione. Grandi lavori di ampliamento furono realizzati da Cesare nel 46 avanti Cristo. Sotto Augusto fu costruito, sul lato rivolto verso il Palatino, il pulvinar, il quale, piuttosto che una sorta di palco dell’imperatore, doveva essere una zona sacra, riservata agli dei che presiedevano allo spettacolo.

    Visione aerea del Circo Massimo

    Ma l’innovazione principale fu, nel 10 avanti Cristo, l’installazione sulla spina dell’obelisco di Ramsete II, proveniente da Eliopoli, alto 23,70 m, poi trasportato in Piazza del Popolo nel 1587. Molto più tardi, nel 357 dopo Cristo, fu aggiunto da Costanzo II un secondo obelisco, quello di Thutmosis III, proveniente da Tebe, che era il più alto di tutti: 32.50 m. Esso fu poi collocato, per volere di Sisto V, sempre nel 1587, in Piazza San Giovanni in Laterano. Secondo Dionigi d’Alicarnasso, il Circo in età augustea avrebbe misurato tre stadi e mezzo, 621 m, di lunghezza e quattro plettri, 118 m, di larghezza. La capacità sarebbe stata di 150.000 spettatori. Dopo un incendio, avvenuto nel 36 dopo Cristo, vi furono interventi di Caligola e di Claudio: quest’ultimo ricostruì in marmo i carceres e in bronzo dorato le metae, cioè gli elementi conici che segnavano le estremità della spina. Una nuova distruzione, questa volta totale, si ebbe con l’incendio di Nerone del 64 dopo Cristo che ebbe inizio proprio dal lato curvo del Circo. La ricostruzione neroniana dovette aumentare la capacità dell’edificio, poiché Plinio la calcola a 250.000 spettatori. Dopo un nuovo incendio, sotto Domiziano, il Circo Massimo fu ricostruito da Traiano. A questo restauro appartiene il tratto della parte curva ancora esistente, in vicinanza del Palatino e del Celio, rappresentata anche nella pianta marmorea severiana. Di questa fase sono i ruderi verso la piazza di Porta Capena, accanto alla Torre medievale dei Frangipane, detta della Moletta perché nei suoi pressi funzionò un mulino.
    Un arco di Tito sostituì al centro del lato curvo quello di Stertinio, probabilmente già scomparso da tempo. L’iscrizione dell’arco, trasmessaci dall’ ”Anonimo di Einsieldeln”, ci permette di datarlo all’81 dopo Cristo: il monumento fu eretto dal Senato per commemorare le vittorie giudaiche. Vari altri restauri sono segnalati fino al IV secolo dopo Cristo, quando i Cataloghi Regionari segnano una capacità, probabilmente esagerata, di 385.000 spettatori. Le dimensioni del Circo dovevano allora oltrepassare i 600 m di lunghezza per una larghezza massima di 200 m. La lunghezza della spina doveva essere di circa 340 m. La cavea era costruita da tre piani di arcate che sostenevano le gradinate, l’ultima era probabilmente di legno. Sulla spina, oltre ai due obelischi, alle sette uova e ai sette delfini, erano varie edicole e santuari. Un’idea di come potesse essere ci è fornita da numerosi monumenti che la rappresentano, tra i quali in particolare i mosaici di Barcellona e di Piazza Armerina.

    Circo Massimo – Piranesi

    Il Circo era utilizzato particolarmente per le corse dei carri (specialmente quadrighe), le più importanti delle quali avevano luogo nei Ludi Romani o Magni, dal 4 al 18 settembre. L’importanza delle corse crebbe continuamente, fino a toccare la punta massima nel IV secolo dopo Cristo, quando le quattro squadre, factiones, degli aurighi, Albata, Russata, Prasina e Veneta, caratterizzate rispettivamente dai colori bianco, rosso, verde e azzurro, finirono per assumere i caratteri di veri e propri partiti. Fenomeno che si accentuerà ancora di più a Costantinopoli. Le ultime corse risalgono al 549 promosse dal goto Totila.
    L’area del Circo, per secoli coperta da orti, venne occupata, nel 1854 e fino al 1910, dalla prima Officina romana del gas illuminante, Società anglo-romana. Nel periodo fascista furono qui organizzate alcune grandiose esposizioni esaltatrici dell’opera del regime.
    Negli anni ’30 grandi opere di scavo hanno messo in luce buona parte dell’emiciclo e i resti dell’Arco di Tito. In seguito l’area fu ceduta al Partito Nazionale Fascista, che la utilizzò, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzarono, poi le grandi mostre degli anni 1937 – 1940, del tessile, del minerale, delle colonie estive. Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio a verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.

    La Società Anglo – Romana per la produzione del gas. Si ringrazia Romasparita per la foto.

    Le indagini archeologiche recentemente concluse hanno permesso di arricchire il quadro delle conoscenze sul monumento e i lavori di sistemazioni dell’area ne consentono una lettura completa. Gli interventi hanno permesso di ridefinire la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.
    E’ stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e, per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.
    I margini dell’area archeologica sono stati provvisti d’idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, i due grandi obelischi egizi e dotata di metae, i grandi segnacoli intorno ai quali giravano i carri.
    I resti della spina sono stati localizzati in profondità, la pista romana, infatti, si trova a oltre 5 metri di profondità rispetto all’attuale piano dell’area archeologica.

    Arco di Tito nel Circo Massimo – Ricostruzione

    Oggi si può accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea, dove i senatori occupavano il piano terra e la plebe il piano superiore. Nelle gallerie, che si potranno percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si potranno osservare anche i resti delle latrine antiche. Si proseguirà sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che furono utilizzate come botteghe, tabernae, per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.
    Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.
    L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta, realizzata nel XII secolo, su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche e un impegnativo progetto di consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.

    La torre dei Frangipane

    I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte sistemati quali arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico, gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc., mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

    Roma, 26 marzo 2017

  2. Racconto biografico

    Giuseppe Gioachino Belli e alcuni luoghi ed eventi nella sua Roma (4/4)

    di Maurizio Perfetti

    Maurizio Perfetti da anni si occupa di Gioachino Belli. Ha scritto per Roma Felix un racconto biografico del poeta romanesco, che pubblicheremo in quattro parti, punteggiandolo con i sonetti e corredandolo di un’estesa e dettagliata bibliografia. La prima parte del racconto si trova qui. Mentre la seconda la potete leggere qui, e qui la terza.

     IL FIGLIO CIRO – PIO IX PAPA – CRISTINA FERRETTI, NUORA
    Nel frattempo il figlio Ciro, trascurando la “lontana” Matildina figlia di Cencia, ha messo gli occhi sulla romana Cristina, figlia maggiore di Jacopo Ferretti.

    Cristina Ferretti – Si ringrazia Alvaro de Alvariis per la foto.

    Tuttavia le preoccupazioni non abbandonano il Poeta: il figlio si ammala forse di risipola, un tumore dell’epidermide, a Porto d’Anzio, poi di rosolia. I mali troveranno la loro soluzione in tempi molto rapidi, misteri della medicina, dopo un soggiorno terapeutico a Frascati. Non si esclude che alla guarigione abbia contribuito il sì di Cristina al fidanzamento….
    continua…

  3. I colori della Garbatella

    Della Garbatella si potrebbe parlare per ore. Quartiere romano fin dentro le ossa, se ne innamorò addirittura il Mahatma Gandhi che, di ritorno da Londra per perorare la causa

    I colori della Garbatella

    I colori della Garbatella

    dell’indipendenza indiana, fece tappa a Roma. E, assillato dagli enormi problemi di sovrappopolazione dell’India, espresse il desiderio di vedere con i propri occhi il quartiere di cui tutto il mondo parlava, per via di quello che in Europa all’epoca si raccontava, ovvero che il governo fascista aveva realizzato proprio qui uno straordinario esperimento di edilizia popolare. Peccato che la propaganda del regime nascondesse la verità, ed anche al Mahatma venne fatto vedere solo ciò che conveniva.

    Il luogo vantava una storia possente: la parte più antica del quartiere abitato fu realizzata sulla così detta Rupe di San Paolo, ovvero da una collina piuttosto possente formatasi a causa delle esondazioni del Tevere in epoche antichissime e dominante la basilica di San Paolo fuori le Mura, in una zona semidisabitata, coperta di vigne e pascoli di pecore.
    La zona era oggetto di pellegrinaggi già a partire dal Medioevo.

    Villino De Renzi

    Villino De Renzi

    Da qui infatti, proprio alle spalle della Basilica di San Paolo fuori le Mura, prendeva avvio un tracciato antichissimo, una bretella che metteva in collegamento quella che poi diventò la Via Ostiense con quella che poi sarà chiamata Via Appia (anch’esse vie molto antiche percorse già prima dei romani), quella che divenne Via delle Sette Chiese.
    Lungo la via, che collegava importantissime basiliche per i pellegrini, erano anche presenti estesi insediamenti catecombali e luoghi di devozione minore ma non meno importanti, come la piccola chiesa di Santa Eurosia o quella dedicata ai Santi Felice ed Adautto.
    E lungo questa via  il 18 febbraio del 1920 re Vittorio Emanuele III pose la prima pietra del futuro quartiere operaio che avrebbe dovuto essere anche punto di partenza di una vera e propria rivoluzione urbanistica e industriale di questo quadrante della città, e che ebbe, invece, un terribile arresto proprio con l’avvento del governo fascista, poco dopo la marcia su Roma.
    Il quartiere inizialmente costruito sul modello della “città giardino” immersa nel verde, lascerà il posto a ben altro tipo di costruzioni che nel migliore dei casi si ispireranno a modelli architettonici precedenti dando vita a quello che oggi viene detto “barocchetto romano”.
    Accanto agli edifici realizzati dai migliori architetti dell’epoca: Gustavo Giovannoni, Innocenzo Sabbatini, Costantino Costantini, Marcello Piacentini, Mario De Renzi, sorgeranno poi edifici anonimi e dall’aspetto fatiscente.

    Una scritta storica sui muri della Garbatella

    Una scritta storica sui muri della Garbatella

    Parallelamente il quartiere assume anche una nuova destinazione d’uso: non più quartiere operaio, ma quartiere destinato ad accogliere i molti che vivevano in centro da una vita e che si vedono abbattere la casa per far spazio alle vie della Roma capitale, oppure a quelli che l’hanno persa a causa del rincaro degli affitti.
    Il culmine di questo processo, che molti abitanti storici della Garbatella ancora oggi percepiscono e descrivono come una vera e propria “deportazione”, fu la costruzione degli Alberghi Suburbani (Rosso, Bianco e Giallo) che andranno a definire quella che oggi è piazza Eugenio Biffi. Strutture all’epoca iper – moderne in un contesto sostanzialmente rurale, che finiranno con il divenire quasi dei luoghi di detenzione coatta per chi sarà costretto ad abitarvi.

    Teatro Palladium - Garbatella

    Teatro Palladium – Garbatella

    La visita che proponiamo toccherà i due “momenti” della Garbatella: si partirà dal teatro Palladium, progettato da Innocenzo Sabbatini nel 1927, e da qui si proseguirà verso il poggio chiamato Pincetto, un vero unicum architettonico, con i suoi lotti abitativi della prima ora, ingentiliti da curatissimi giardini.
    Ma la passeggiata sarà l’occasione per raccontare la storia della Garbatella, delle sue trasformazioni, per entrare in qualcuno dei lotti e cercare di ricostruirne il ruolo e l’aria che vi si respirava. Sarà anche l’occasione per incontrare personaggi ed esperienze che hanno attraversato il tempo e che sono ancora oggi testimonianza di una solidarietà umana ed anche politica che sopravvive nel tempo e si attualizza.

  4. Il villino Ximenes

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    Villino Ximenes – Parte della facciata su Piazza Galeno

    Irradiati dal gusto francese ed anglosassone tra il finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il Liberty e l’Art Nouveau come correnti artistiche dominanti attecchiscono immediatamente a Roma in reazione alla austerità dell’epoca vittoriana producendo esempi solari di arti figurative, scultura e arredamento urbano su tutto il territorio cittadino. L’ispirazione provenne a questo movimento estetico da una attenzione maniacale ad un decorativismo che esprimesse elementi orientaleggianti ed esotici almeno quanto stilemi propri dell’epoca del rococò francese. Un altro obiettivo del liberty avrebbe dovuto essere quello di opporre ottima fattura artistica e artigianale alla serialità e al dilagante pessimo gusto del design degli oggetti prodotti dagli opifici della seconda rivoluzione industriale. Così Il quartiere Coppedè e la Villa delle Civette, parte di villa Torlonia divennero solo due tra i molti e più noti esempi di questa nuova sensibilità artistica che non faticò a trovare consensi tra le élites culturali del tempo e clienti facoltosi disposti a investire sui manufatti e l’architettura dello stile nuovo.

    Roma, 24 febbraio 2017