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  1. Aventino, il colle solitario e la basilica di Santa Sabina

    La sua perdurante relativa solitudine – nonostante gli insediamenti residenziali del secolo passato – ricorda il destino d’isolamento che contrassegnò questo colle dal più lontano passato. Fino all’epoca dell’imperatore Claudio esso fu mantenuto all’esterno del pomerio urbano e il luogo fu piuttosto considerato come

    Romolo traccia il solco – Bartolomeo Pinelli.

    particolarmente propizio al culto e alla religiosità, sicché vi furono costruiti molti edifici sacri. In particolare fu qui insediato un Tempio di Diana che, come quello di Giove sul Monte Cavo, ebbe un carattere federativo per le genti latine. Soprattutto all’epoca di Augusto, le pendici dell’Aventino accolsero le popolazioni popolari della gente di fatica del Porto Fluviale.
    L’Aventino ha un ruolo chiave nella storia fondativa delle città di Roma. E’ qui, infatti, che Remo si colloca per osservare il volo degli uccelli, mentre Romolo sceglierà il Palatino. Sarà quindi dall’Aventino che Remo vedrà per primo sei avvoltoi mentre Romolo ne vedrà dodici, solo dopo di lui sul Palatino. Sarà la furia cieca di Romolo a farne quindi il fondatore della città a discapito di Remo, il quale però una sua città alternativa, Remuria, pare fosse comunque riuscito a fondarla.
    Ad ogni modo, il particolare carattere del monte vi attrasse gradualmente le residenze dei mercanti forestieri, dei plebei arricchiti con il commercio e, infine, di coloro che operavano nel sottostante Emporium, nelle strutture connesse e nei relativi traffici e commerci. Con il concentrarsi qui delle abitazioni dei plebei, l’Aventino assunse il carattere di residenza alternativa a quella del Palatino abitata prevalentemente da patrizi.
    Nel 494 avanti Cristo si aprì inoltre il conflitto tra patrizi e plebei, passato alla storia come “secessione dell’Aventino” perché è su questo monte che i plebei decisero di dare origine a organismi di governo propri, visto che essi non avevano fino a quel momento alcuna rappresentanza politica. Venne così indetta un’assemblea generale che poteva prendere decisioni con valore vincolante per la plebe e furono istituite le figure dei tribuni della plebe.

    Fortezza dei Savelli sull’Aventino (l’orto circostante dal 1933 è il giardino degli Aranci) – Peter Paul Mackey, British School at Rome Archive.

    A questo primo conflitto altri ne seguirono, e l’insieme di queste lotte si estese almeno fino al 287 avanti Cristo.
    La creazione del Porto di Claudio e di Traiano, allontanò dall’Aventino molte abitazioni popolari che vennero rimpiazzate sempre più da residenze signorili e da impianti termali. Così durante l’epoca imperiale, sorsero sull’Aventino le case di grandi personaggi, si pensa che vi sorgesse anche la domus privata di Traiano, e un numero sempre maggiore di templi.
    Il Cristianesimo trovò su questo colle, nella Casa di Aquila e Prisca, ricordate da san Paolo, uno dei primi luoghi di riunione e gradualmente sostituì agli antichi templi della nuova fede. Accanto ad essi si ebbero importanti insediamenti monastici, dai quali partirono missionari per il Nord e per l’Est dell’Europa. Verso l’Anno Mille, il colle – dal quale si poteva controllare il movimento mercantile che si svolgeva sul Tevere nel fronteggiante approdo di Ripa Grande – divenne una roccaforte in funzione delle lotte imperiali e cittadine. Esso rimase un centro di forza della famiglia dei Savelli fino al secolo XIII, quando l’Aventino venne abbandonato al salmodiare dei conventi, fino all’epoca attuale.

    Basilica di Santa Sabina – Interno.

    La solitudine dell’Aventino – che si è parzialmente serbata fino ad oggi, custodita dal carattere puramente residenziale dell’insediamento edilizio che vi è sorto a partire dal primo dopoguerra – viene sottolineata in un passo del diario romano del Gregorovius, nel 1872, quando afferma, dopo una visita al luogo: “si deve prendere commiato da queste calme colline; la loro solitudine e il loro magico incanto verranno fra poco distrutti. Vogliono ricoprirle di edifici…”. Lo stesso Gregorovius afferma in un altro passo di aver avuto la fortuna di poter lavorare e studiare a Roma durante gli ultimi lustri della vita antica della città, godendo di un silenzio che era stato un fattore determinante del successo delle sue ricerche archivistiche sul medioevo.
    La basilica di Santa Sabina è un perfetto esempio di basilica del V secolo, e quindi venerabile e ammirevole modello della primitiva e pura concezione di tempio cristiano, la chiesa venne costruita dal prete Pietro d’Illiria – durante il pontificato di Celestino I – forse sulla casa di una matrona Sabina, confusa in seguito con l’omonima santa umbra.
    Vennero utilizzate 24 colonne di marmo ancirano del Tempio di Giunone Regina, che sorgeva nei pressi. Nel secolo IX vi furono aggiunte parti marmoree, parzialmente ancora esistenti: la schola cantorum, ricostruita ricomponendo gli antichi frammenti, gli amboni, l’iconostasi, la cattedra episcopale e il sedile marmoreo da Antonio Munoz agli inizi del 1900. Finalmente, nel 1222, papa Onorio III, che risiedeva nell’attiguo palazzo Savelli, concesse la chiesa al proprio maestro di palazzo, San Domenico di Guzman, all’atto di approvargli la regola del nuovo ordine domenicano. Ancora di quell’epoca sono il chiostro e il campanile, rimasto troncato verso la metà del Seicento.

    Gesù, gli Apostoli e i Santi sepolti nella basilica – Taddeo Zuccari.

    Domenico Fontana, nel 1587, trasformò l’aspetto interno della chiesa, facendole assumere una fastosa foggia manieristico – barocca.
    Dopo la soppressione dei monasteri, successiva al 1870, seguì un periodo d’abbandono, durante il quale la chiesa e l’intero convento vennero utilizzati anche come lazzaretto comunale. Finalmente Antonio Muñoz tentò, con lavori realizzati nel 1919 e nel 1936-38 (quando con lui collaborò anche il domenicano padre Gillet), di recuperare l’aspetto originario della chiesa, con un’operazione sostanzialmente rispettosa e che ha dato notevoli risultati.
    Dall’atrio antistante la chiesa si scorge il famoso albero di arancio amaro che la leggenda vuole piantato verso il 1220 da San Domenico: esso sarebbe la prima pianta di questa specie introdotta in Roma.
    Comunque l’atrio è prezioso per la presenza della celeberrima porta in ingresso, originaria del V secolo e intagliata finemente, oltre che con potenza espressiva, in legno di ciliegio. La porta arriva incompleta perché i pannelli scolpiti, in origine ventotto, sono oggi solo diciotto. Essi sono montati dentro fasce decorative che raffigurano motivi della vite. Di particolare risalto è il pannelletto che riproduce la Crocifissione, considerata la più antica rappresentazione della Crocifissione di Cristo. Solo nel Medioevo si affermerà infatti la rappresentazione del simbolo della crocifissione. Complessivamente ci troviamo di fronte ad uno dei massimi tesori dell’arte paleocristiana, a una delle più dimostrative manifestazioni della potenza creativa della nuova fede.

    Roma, 17 novembre 2017

  2. Racconto

    L’acquerello senza firma

    Francesco Roesler Franz

    In occasione della presentazione del libro “Ettore Roesler Franz. Biografia romanzata del pittore di Roma Sparita”, di Francesco Roesler Franz per Intra Moenia, pubblichiamo un breve racconto tratto dal volume.

    Dopo un paio di giorni necessari per ambientarsi nella dimora della marchesa, lo zio Pietro portò Ettore sulla terrazza per fargli ammirare il panorama mozzafiato. In mezzo al terrazzo, incorniciata da un ampio pergolato, si ergeva una fontana usata per alleviare la calura estiva. Ettore fu colpito da tanta bellezza e chiese allo zio se avesse potuto dipingere lì. Pietro non aspettava altro, ne fu assai felice e andò a chiamare immediatamente la marchesa, che ordinò a un cameriere di salire il cavalletto dallo studio. Lo zio adorava l’archeologia e i miti del passato, immaginava che il terrazzo fosse stato costruito ispirandosi ai celebri giardini sospesi di Babilonia. Ettore, sotto lo sguardo amorevole della zia, cominciò a dipingere per prima cosa lo straordinario paesaggio. Nei giorni seguenti si occupò di ritrarre nel dipinto la marchesa e gli zii, intenti ad ammirare quella meravigliosa veduta. Dipinse Pietro vicino alla marchesa Pallavicini, mentre più in dietro posizionò Maddalena, vestita come sempre di nero. Tuttavia, in quella occasione volle farsi ritrarre con lo scialle rosso scarlatto, il suo colore preferito, un caro ricordo dell’amato figlio Giuseppe che le aveva portato da Napoli, come dono della nonna, un anno prima di morire.

    continua…

  3. Archeo

    Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa.

    Il fascino dei Mercati sotto le luci da Oscar di Storaro

    La mostra allestita presso i Mercati di Traiano, ripercorre attraverso l’esposizione di statue, ritratti, decorazioni architettoniche, calchi della Colonna Traiana, monete d’oro e d’argento, modelli in scala, rielaborazioni tridimensionali e filmati la storia della

    Traiano

    costruzione dell’Impero di Traiano, che riuscì a tenere insieme popolazioni diverse che governate da uno Stato con leggi che ancora oggi sono alla base della giurisprudenza moderna.
    La buona amministrazione, l’influenza anche di donne capaci, vere e proprie “first ladies” che ebbero ruoli centrali nella politica e nella tenuta dell’Impero, campagne di comunicazione e capacità di persuasione atte ad ottenere il consenso popolare attraverso opere di pubblica utilità, sono tra gli ingredienti che consentirono all’Impero di costituirsi e di tenersi insieme.
    La mostra, che si apre con la morte di Traiano, avvenuta in Asia Minore, e, unico caso della storia romana, celebrata con trionfo nella capitale insieme alle sue gesta, è allestita proprio nello splendido complesso dei Mercati di Traiano oggetto qualche anno fa di una visita organizzata da Roma Felix.
    Per questo motivo proponiamo nuovamente la scheda pubblicata in quell’occasione impreziosita dagli splendidi disegni di Pietro Valenti.

    Non è sempre semplice datare la costruzione di un complesso monumentale grandioso e spettacolare come quello dell’area dei Mercati di Traiano,

    Mercati Traianei - Pietro Valenti

    Mercati Traianei – Pietro Valenti

    oggi diventato polo museale per l’intera area dei Fori Imperiali. Dai bolli laterizi edili sappiamo che i mercati vennero costruiti durante il primo quarto del II secolo d.C., ma gli archeologi non escludono l’ipotesi che gli architetti di Traiano (tra i quali non pare ci fosse – contrariamente a quanto si è a lungo ritenuto – il maggior indiziato di firma, Apollodoro di Damasco) avessero ripreso un precedente progetto di Domiziano e l’avessero poi posto in essere ampliandolo e adattandolo alle nuove necessità. E a Traiano, l’imperatore degli alimenta, un sussidio gratuito di Stato per l’infanzia in difficoltà, stava particolarmente a cuore l’annona, ossia il rifornimento di derrate per il popolo dell’Urbe. Sulla stessa lunghezza d’onda va collocata la costruzione del porto di Fiumicino che lo stesso Traiano fece realizzare per destinarlo all’approvvigionamento quotidiano di merce e viveri freschi per la città eterna.

    Mercati Trianei - Via Biberatica - Pietro Valenti

    Mercati Trianei – Via Biberatica – Pietro Valenti

    Prospiciente al complesso dei Mercati e diviso da un’ampia strada basolata, la via Biberatica – che i rilievi archeologici hanno attestato essere punteggiata di tabernae con ambienti abbastanza grandi – campeggia il Foro di Traiano, leggermente interrato rispetto al livello stradale di via dei Fori Imperiali. E poco discosta dai due monumenti, svetta la Colonna Traiana che racconta come un fumetto a sequenze continue le campagne militari daciche che termineranno nel 106 d.C. con la sconfitta del re Decebalo.
    Di sera e con l’illuminazione dei fari architetturali studiata dal maestro della fotografia Vittorio Storaro a scolpire i laterizi, la vista è mozzafiato: i monconi del Foro sottostante vengono sormontati dal complesso a sei ordini sovrapposti dei Mercati, dando pienamente l’idea della monumentalità e al contempo della praticità del progetto. Sì, perché i Mercati traianei non erano affatto un centro commerciale ante litteram, ma anzitutto un nevralgico centro amministrativo per l’intera città del tempo, la quale interagiva, secondo il modello di efficienza amministrativa voluto applicare urbi et orbi dall’imperatore spagnolo, con la

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali - Pietro Valenti

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali – Pietro Valenti

    polifunzionalità del Foro sottostante. L’architettura e i suoi migliori interpreti tradussero le idee in forme: i due emicicli di diversa grandezza posti a basamento del complesso mercantile, costruiti appositamente a esedra per puntellare il Quirinale sovrastante, donano aria e spazio agli uffici in cui si svolgeva la mercatura e si esercitava la buona amministrazione statale. E lì non si fa fatica ad immaginare l’eco antica di voci e di diversi dialetti e lingue. Quelle degli uomini dell’imperatore di allora e dei turisti stupefatti di oggi. 

    Roma, 16 novembre 2017

    I disegni di questo articolo sono tratti da Una Vista Su Roma Nei Disegni Di Pietro Valenti, a cura di Marco Valenti. 

     

  4. Frammenti di tardo barocco a Roma: Santa Maria Maddalena e non solo

    Attraversando velocemente la Via del Corso, che la Roma post unitaria e giovane capitale trasforma profondamente, e svoltando in una via laterale quasi nascosta da tanta gente che aspetta l’autobus, si raggiunge la Piazza dei Burrò, che si apre proprio davanti alla chiesa barocca di Sant’Ignazio.

    Piazza Sant’Ignazio – Roma

    I cinque palazzetti realizzati da Filippo Raguzzini sono una di quelle rarissime testimonianze che Roma ha avuto il suo momento tardo barocco, quando non decisamente Rococò.
    Certo il tardo barocco a Roma è vera rarità, confinato com’è a pochissimi esempi per altro molto composti e mai davvero eccessivi. Di fatto la città passa quasi direttamente e impercettibilmente dal barocco al neoclassico per precisa scelta urbanistica sulla quale furono determinanti le convinzioni architettoniche di Giovan Battista Piranesi e del Cardinale Giovanni Rezzonico nonché di suo zio Clemente XIII.
    La piazza dialoga da pari con la chiesa sede di uno degli effetti scenografici più incredibili che la storia dell’arte e dell’architettura ci abbiano consegnato. E lì dove Andrea del Pozzo inganna tutti lasciando immaginare una cupola che non c’è, Raguzzini nella piazza spinge al massimo il gioco dell’apparire facendo di essa un teatro dove chiunque passa diventa l’attore di uno spettacolo personale e continuamente mutevole, giochi prospettici e cupole comprese.
    Ma quello che può essere a giusta ragione considerato il monumento rococò per eccellenza di Roma è senza dubbio la chiesa di Santa Maria Maddalena.

    Cantoria – Santa Maria Maddalena – Roma

    Il gioco teatrale della luce inizia già in facciata, una complessa rielaborazione del primo settecento della facciata dell’Oratorio dei Filippini di Borromini, realizzata da Giuseppe Sardi. Le linee continuamente spezzate, statue e arricci, finestroni, l’asimmetria esasperata, tutto contribuisce a che al cambiar della luce cambi pure l’immagine della facciata, che questa sembri continuamente in movimento.
    La cosa non piacque. Venne considerato disdicevole che si potesse giocare così con gli elementi architettonici di una facciata di una chiesa, sede per altro di un prestigioso ospedale, fortemente voluto da Camillo de Lellis. La facciata venne così etichettata come “pan di zucchero”, ovvero le fu dato il nome delle decorazioni di zucchero che si mettevano sopra le torte, una tradizione che aveva preso piede proprio nel Settecento quando, per la prima volta, comparve sulle tavole dei nobili il Pan di Spagna.
    E’ solo nel 1586 che Camillo de Lellis riesce ad ottenere dal papa l’assegnazione di una cappella con relativo ospedale che sorgeva in questa posizione, mentre la “compagnia di uomini da bene” ottiene l’approvazione di Sisto V. L’Ordine, invece, nascerà nel 1591.
    “Stando dunque egli una sera nel mezzo dell’Hospitale pensando a suddetti patimenti de’ poveri, gli venne il seguente pensiero: ch’a tali inconvenienti non si poteva meglio rimediare, che con istituire una Congregazione d’uomini pii e da bene, i quali avessero per istituto d’aiutare, e servire a detti poveri, non per mercede ma volontariamente, e per amor d’Iddio, con quella carità et amorevolezza, che sogliono far le madri a lor proprii figlioli infermi”.

    Cupola – Santa Maria Maddalena – Roma

    È il manifesto di Camillo de Lellis, apostolo della carità in favore dei malati. In particolare dei più poveri. Una delle figure che, insieme con Filippo Neri e Ignazio di Loyola, hanno giganteggiato in santità nella Roma tra il XVI e il XVII secolo.
    Il proposito di dedicarsi anima e corpo ai malati s’insinua nella mente di Camillo de Lellis “intorno alla festa dell’Assunta nel 1582”. Prima di quella data, la sua vita era stata irregolare e randagia; di nobilissima famiglia, nato a Bucchianico, nelle vicinanze di Chieti, il 25 maggio 1550, fu soldato di ventura. Persi i suoi averi al gioco, si mise al servizio dei Cappuccini di Manfredonia. Ma, ben presto, per curare una piaga ad un piede che non accennava a guarire, fu costretto a trasferirsi a Roma nell’Ospedale di San Giacomo degli Incurabili, dove divenne maestro di casa, ossia responsabile dell’organizzazione, e cercò di migliorare la condizione degradata e sconsolante in cui giacevano i malati. Decise così di cambiare radicalmente vita e di consacrarsi, riprese gli studi abbandonati al Collegio Romano e, divenuto sacerdote nel 1584, fondò, insieme a un piccolo gruppo di amici fidati e generosi, la Compagnia dei Servi degli Infermi, riconosciuta come Ordine proprio nel 1591, con l’approvazione di papa Gregorio XIV. Compagnia che successivamente si sarebbe trasformata in Ordine dei Ministri degli Infermi, detti anche Camilliani.

    Cantoria (particolare) – Santa Maria Maddalena – Roma

    Il servizio nell’assistenza sanitaria, inteso da Camillo come servizio completo, di ordine materiale e spirituale, fu la vocazione del santo e fu il compito che egli affidò all’Istituto da lui fondato e diretto. L’impulso di Camillo a una carità “eroica” si espresse all’interno degli ospedali, come pure nel soccorso durante le epidemie collettive e nell’assistenza ai feriti di guerra. Le caratteristiche dell’opera svolta dai Camilliani sarà la base sulla quale verranno costruite le figure assistenziali ospedaliere, gli infermieri e i cappellani, così come oggi li conosciamo.
    De Lellis morì a Roma il 14 luglio 1614 e fu canonizzato nel 1746. Le sue spoglie da sempre sono conservate nella Chiesa di Santa Maria Maddalena inizialmente raccolte in un’urna realizzata dalla bottega orafa di Luigi Valadier, oggi trovano casa in una nuova urna realizzata da Alessandro Romano.

    Le Ragazze di Piazza di Spagna (Lucia Bosè, Cosetta Greco e Liliana Bonfatti) mentre scendono la Scalinata di Trinità de’ Monti.

    A dispetto di molti dei frammenti tardo barocchi della città che si nascondono alla vista e passano inosservati, la Scalinata di Trinità de’ Monti è invece uno dei luoghi simbolo di Roma. La sua gestazione fu lunga e si rese effettivamente necessaria quando fu sistemato il Porto di Ripetta oggi andato distrutto per la costruzione dei muraglioni. Fu così che la zona di piazza di Spagna e di via Margutta cominciò ad avere un traffico commerciale molto inteso che richiese la creazione di un comodo e soprattutto sicuro collegamento con i Monti. La via impervia, alberata, pericolosa e popolarissima, che collegava i Monti al Tevere, sfociava in una piazza in terra che davvero pareva una spiaggia su cui la barca del Bernini padre aveva finito con l’arenarsi. La trasformazione fu radicale. La piazza divenne una delle più eleganti della città e soggiorno d’intellettuali e uomini di cultura provenienti da tutto il mondo.

    Roma, 11 novembre 2017.