La grande villa voluta da Vincenzo Giustiniani in zona Laterano, immersa in un contesto dal carattere agricolo, concepita come luogo di riposo, di incontro e, soprattutto, come sede dove
esporre parte della sua immensa collezione d’arte, nata nel 1605 è scomparsa quasi del tutto alla fine dell’ottocento.
I Giustiniani non sono più da tempo i proprietari del Casino Nobile e del parco. Hanno venduto, a seguito di avversità economiche, alla famiglia Massimo che decide di lottizzare i terreni della villa tra Via Merulana, via Manzoni e via Emanuele Filiberto, ormai edificabili in una zona che nel tempo ha acquistato un grande valore.
Dell’antica villa, oggi, rimane giusto un frammento: il Casino Nobile ed una particella infinitesimale del giardino, che farò da scena ad eventi drammatici della storia recente. Quando l’8 settembre del 1943 arrivano a Roma i Tedeschi, il frammento sopravvissuto verrà occupato ed il bellissimo Casino Nobile utilizzato come mensa degli ufficiali che fanno il loro sporco lavoro di aguzzini a torturatori nelle vicine carceri di Via Tasso. L’occupazione finirà quando finirà quella dell’intera città: il 4 giugno del 1944.
L’ultimo erede Filippo Massimo deciderà di vendere ciò che resta ai Frati Minori Delegati alla Custodia della Terra Santa che la deterranno in maniera stabile dal 1948.
I Frati Minori costruiranno solo un edificio che andrà a fare funzione di portico intorno al giardino, mentre il Casino Nobile sarà mantenuto inalterato così com’era pervenuto alla fine del 1800 e prima dell’occupazione nazista.
Il Casino si presenta all’esterno secondo la sistemazione di Andrea Giustiniani Branca realizzata in occasione del suo matrimonio con Maria, la nipote diretta di Innocenzo X Pamphilj. Le facciate sono impreziosite da lastre di sarcofago risalenti al II secolo dopo Cristo, secondo una moda iniziata con Villa Medici e portata al massimo della sua espressione da Scipione Borghese nel Casino Nobile di Villa Borghese. Andrea Giustiniani fa collocare sulla facciata del Casino Nobile anche pastiche ottenuti unendo parti di lastre di sarcofagi di diversa origine e busti d’imperatori provenienti da officine romane. Le opere provengono tutte dalla collezione d’arte dello zio Benedetto Giustiniani, amalgamate in una narrazione unica grazie ad elementi architettonici creati appositamente: le cornici in gesso, i medaglioni ritratto, l’aquila araldica dei Giustiniani insieme con la colomba dei Pamphilj e le decorazioni del cornicione. Il tutto predisposto a ingentilire un edificio elegante ed essenziale nelle forme ancora rinascimentali e a cantare le lodi di una famiglia che voleva le sue origini dall’imperatore Giustiniano.
I Giustiniano però nel 1802 sono costretti a vendere a Carlo Massimo il quale acquista anche parte della collezione d’arte pertinente alla villa. Il nobile apporta una modifica all’edificio per adeguarlo alla moda dell’epoca, oltre che ad esigenze pratiche.
Un portico del pianterreno viene chiuso e in questa maniera si vengono a creare tre sale che danno direttamente sul giardino. Egli chiama a dipingerle un gruppo di artisti particolari, quasi degli asceti. Sono viennesi, vivono in comunità, portano i capelli lunghi, sono molto magri. E proprio per questo loro aspetto esteriore vengono chiamati i “Nazareni”. Nel pieno dello spirito romantico si ispirano all’arte italiana del ‘300 – ‘400, senza ignorare la scuola di Michelangelo e di Raffaello. Occhieggeranno anche a un grandissimo artista romano più grande di loro solo di qualche anno che proprio non può essere ignorato: Bartolomeo Pinelli.
Non si sa bene come Carlo Massimo sia venuto in contatto con i Nazareni e come abbia deciso di affidare loro la decorazione dei tre saloni più importanti del palazzetto. Forse a causa clima internazionale che si respira a Roma, o grazie ai buoni consigli di Thordvalsen, il grande scultore danese neoclassico, a cui i Nazareni piacciono molto. O forse c’è stato di mezzo il Canova. O semplicemente il fatto che il principe ha visto la sala che i Nazareni hanno affrescato a Palazzo Zuccari. Comunque sia, affida loro il lavoro e loro si alterneranno alla realizzazione degli affreschi su di un arco di tempo piuttosto lungo.
Il soggetto degli affreschi realizzati dai Nazareni è diverso per ciascun ambiente, ma sempre nell’ambito del revival medievale e del poema cavalleresco che il Romanticismo sta portando con se.
Una sala sarà dedicata alla Divina Commedia di Dante, una all’Orlando Furioso di Ariosto e l’ultima alla Gerusalemme Liberata di Tasso. Al pian terreno ci sono anche altre stanze, attualmente non visitabili. Una interamente decorata secondo lo stile pompeiano.
La sala dedicata alla Divina Commedia colpisce per l’estrema precisione dei dettagli, tanto che si possono leggere i singoli versi delle cantiche che hanno ispirato le diverse scene. Vi lavorano due artisti: Philip Viet, che confrontandosi con l’arte italiana umbra del Quattrocento, in particolare al Perugino, dipinge la volta della sala ispirandosi alle cantiche del Paradiso.
E Joseph Anton Koch, che sulle pareti dipinge episodi tratti dall’Inferno e dal Purgatorio con una partecipazione totale e totalizzante. Immergersi nella sua pittura, circondati dalle masse dei tanti personaggi ritratti, fa capire quanto Koch avesse amato il poema di Dante. D’altra parte le cronache riportano che ne sapesse a memoria interi canti. La sua partecipazione assoluta al poema è talmente evidente da far percepire ancora di più la distanza dalla volta della sala, dipinta non solo con colori più freddi, ma anche in una maniera più didascalica dal suo collega Viet.
La seconda sala dedicata all’Ariosto è dipinta da un unico artista, caso unico per il Casino Nobile di Villa Giustiniani Massimo. Si tratta di Julius Schnorr von Carolsfeld, che affronta il tema assegnatogli dopo un lungo studio nel corso del quale aveva realizzato numerosi di bozzetti e cartoni preparatori. Anche qui è possibile leggere, tra le masse di colore che definiscono le singole scene, gli episodi salienti dell’Orlando Furioso. Tra i temi del poema di Ariosto, vengono illustrati i due principali momenti encomiastici in cui a Bradamante e Ruggiero viene predetto non solo che si sposeranno ma anche che daranno origine alla più grande e splendente dinastia mai apparsa sulla Terra: i d’Este. Di seguito, si possono ammirare la battaglia tra i Cristiani e i Saraceni, i sei a Lipadusa, la presa di Biserta e l’assedio di Parigi. Con chiari riferimenti all’Incendio di Borgo di Raffaello e ad alcuni personaggi della Cappella Sistina di Michelangelo. La “lettura” per immagini del grande poema cavalleresco prosegue con la pazzia di Orlando dopo la scoperta dell’amore di Angelica e Medoro, il ritrovamento del suo senno da parte di Astolfo e infine Carlo Magno che sancisce l’amore tra Bradimante e Ruggiero.
Si prosegue con la Gerusalemme Liberata di Tasso, il più tormentato dei tre geni poetici che ispirano le sale. L’artista che mette mano agli affreschi è Friederick Overbeck, convertitosi al cattolicesimo proprio grazie alla sua amicizia con Philip Veit, si misura con la rappresentazione del poema filtrandola attraverso la sua personale esperienza esistenziale di conversione.
Sul soffitto della sala troneggia proprio la Gerusalemme Liberata. Overbeck traferisce sulle pareti l’intero poema e le vicende legate al destino di una Gerusalemme prima occupata dagli Infedeli e poi, finalmente, liberata. Dove, a far da cornice, si consumano le sofferenze d’amore di Tancredi e Clorinda, Armida e Rinaldo, Olindo e Sofronia. Dove, alla fine, il monito è che la salvezza viene solo dalla fede in Cristo.
Nel corso dei lavori accade che Carlo Massimo il committente, muore. E Friederick Overbeck sente venir meno quella sintonia tra opera, esecutore e committente che lo aveva sostenuto fino a lì. Abbandona la decorazione della sala, ma prima introduce in una delle scene essenziali il ritratto del committente, di se stesso e di Torquato Tasso, i tre uomini senza i quali tutto quello non sarebbe stato possibile. Se ne andrà ad Assisi a dipingere la facciata della Porziuncola nella Basilica di Santa Maria degli Angeli.
Sarà Joseph von Fuhrich a dipingere le scene minori e la scena finale dove includerà anche i ritratti dei nuovi proprietari della villa, Massimiliano Massimo con sua moglie Cristina di Sassonia, i loro due figli Barbara e Vittorio, e Giuseppina Massimo Giustiniani mentre assistono alla vittoria di Goffredo di Buglione e al suo rendere grazie a Dio.
Roma, 24 giugno 2017