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  1. Racconto biografico

    Giuseppe Gioachino Belli e alcuni luoghi ed eventi nella sua Roma (3/4)

    di Maurizio Perfetti

    Maurizio Perfetti da anni si occupa di Gioachino Belli. Ha scritto per Roma Felix un racconto biografico del poeta romanesco, che pubblicheremo in quattro parti, punteggiandolo con i sonetti e corredandolo di un’estesa e dettagliata bibliografia. La prima parte del racconto si trova qui. Mentre la seconda la potete leggere qui.

    LA MARCHESINA VINCENZA (CENCIA) E LA “FORTUNA” EUROPEA.
    Complici i viaggi, dei quali descrive avventure e personaggi, luoghi e compagni di carrozza, tanti sonetti sono composti viaggiando “in legno” e così identificati anche con la data; altri recheranno la firma “Peppe er Tosto”,

    Cencia

    il Poeta ci appare spesso eccitato e “goliardico” nei termini usati e nelle sue colorite descrizioni; non ci meraviglia perché sappiamo che vive la gustosa prospettiva, allontanandosi da Roma, di intrattenersi presto di nuovo con la marchesina Vincenza, la “sua” Cencia, nel palazzotto della famiglia Roberti a Morrovalle.
    Si può facilmente constatare, scorrendo l’integrale collezione dei 2279 sonetti romaneschi, che gli anni più produttivi e fecondi sono racchiudibili in due periodi: 1830-37 e poi 1843-49.

    continua…

  2. Non solo Caravaggio. Alla scoperta dei capolavori di Santa Maria del Popolo

    Strano destino quello della meravigliosa basilica di Santa Maria del Popolo: ospitare una sublime e ineguagliabile rassegna di storia dell’arte italiana ed essere visitata da migliaia di turisti solo per i due capolavori di Michelangelo Merisi da Caravaggio, la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo, senza dimenticare l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci nella stessa cappella.

    Cappella Cerasi – Santa Maria del Popolo

    Ma, in vero, all’interno di questa chiesa posta all’ingresso Nord dell’Urbe, si possono ammirare opere di Raffaello, Gian Lorenzo Bernini, Sebastiano del Piombo, Andrea Bregno, Baccio Pontelli, Pinturicchio, Bramante, Francesco Salviati, Alessandro Algardi, Andrea Sansovino, Domenico Fontana, Carlo Maratta, Giuseppe Valadier.
    Questo edificio, che ha sempre avuto un ruolo centrale nelle vicende storiche della Città Eterna, fu costruita sulla tomba dell’imperatore Nerone, ospitò Martin Lutero nel suo soggiorno a Roma e conserva l’organo dove suonò il giovane Mozart. Insomma, un luogo e una storia straordinari.
    Il nucleo più antico della basilica, letteralmente inglobato nelle successive trasformazioni, è costituito dall’oratorio dedicato a Maria, costruito per volere del papa Pasquale II nel 1099.
    La tradizione vuole che Pasquale II fece costruire l’oratorio rispondendo alle richieste del popolo che voleva segno che esorcizzasse i luoghi infestati da streghe e diavoli che si davano appuntamento sulla tomba di Nerone e rendevano la vita ed il passaggio difficile ed insicuro.
    La legenda narra che Pasquale II abbia sognato Maria e che sia stata proprio la Madonna a dirgli di sradicare il pioppo, populus, sotto cui era seppellito Nerone, riesumarne i resti, bruciarli, disperderli nel Tevere ed edificare in quel luogo un oratorio a Lei dedicato.

    Alberici – Incisione del 1600 che riporta la leggenda medievale sulla fondazione del sogno di Pasquale II

    Pasquale II d’altra parte non era estraneo ai disseppellimenti. Aveva fatto altrettanto a Civita Castellana, dove aveva fatto disseppellire i resti di Clemente III e li aveva dispersi nel Tevere perché la tomba dell’antipapa era diventato oggetto di culto della popolazione locale, poiché si era diffusa la voce che da essa trasudasse un misterioso liquido profumato, attraverso il quale si potevano ottenere grazie e miracoli.
    Ma questa è un’altra storia.
    La legenda medievale legata alla fondazione della basilica di Santa Maria del Popolo ha un fondo di verità. Nell’immediatezze dell’oratorio, sulle prime propaggini del Pincio, sorgeva infatti il mausoleo dei Domizi Enorbarbi, la gens di Nerone, ed effettivamente l’odiato imperatore qui fu seppellito così come Svetonio ci riporta:
    Per i suoi funerali, che costarono duecentomila sesterzi, lo si avvolse nelle coperte bianche, intessute d’oro, di cui si era servito alle calende di gennaio. I suoi resti furono tumulati dalle sue nutrici Egloge e Alessandria, aiutate dalla sua concubina Acte, nella tomba di famiglia dei Domizi, che si scorge dal Campo di Marte sulla collina dei Giardini. Nella sua tomba fu collocato un sarcolago di porfido sormontato da un altare di marmo di Luni e circondato da una balaustra di pietra di Taso.

    Madonna in Trono con Bambino e Santi – Pinturicchio – Cappella Basso Della Rovere – Santa Maria del Popolo

    I motivi per costruire qui l’oratorio e dedicarlo a Maria pare, più realisticamente, che fossero altri. Proprio quando Pasquale II fu eletto papa, il 13 agosto del 1099, giunse a Roma la notizia della vittoria della Prima Crociata e che Gerusalemme era stata conquistata.
    Circa il nome della basilica non è ancora del tutto chiaro se quel complemento di specificazione “del Popolo” sia da intendersi un derivato dalla parola latina “populus”, il pioppo che pare fosse sulla tomba di Nerone, o sia da ricollegare al fatto che Pasquale II ebbe l’idea, dispose la costruzione dell’oratorio, ma il finanziatore dell’opera fu nella realtà il comune di Roma, e quindi, in ultima analisi, il popolo romano.
    L’iniziale cappella fu ampliata tra il 1227 e il 1241 da Gregorio IX, e poi definitivamente ingrandita e modellata nella sua forma attuale da Baccio Pontelli e Andrea Bregno per Sisto IV della Rovere. Bramante prolungò l’abside e infine Bernini, al momento di ornare la porta attigua, all’epoca di Alessandro VII Chigi, diede un’impronta barocca alla chiesa quanto alla facciata. A queste aggiunse le cornici ricurve laterali.

    Assunzione della Vergine – Pinturicchio – Cappella Basso Della Rovere – Santa Maria del Popolo

    Comunque la facciata resta un efficace esempio d’architettura del primo Rinascimento, con un ordine superiore a unica campata, dominata da un rosone e coronata da un timpano, mentre l’ordine inferiore a paraste su alto zoccolo è diviso in tre campate corrispondenti ai portali. Quello di centro è sormontato da un timpano e ornato da un rilievo della scuola di Andrea Bregno, raffigurante la Vergine. Quelli laterali sono sormontati da finestre centinate.
    L’interno è diviso in tre navate da fasci di robusti pilastri e semi colonne in pietra che reggono ampie arcate la cui sommità, all’epoca del restauro barocco del Bernini, avvenuto tra 1655 e il 1609, fu elegantemente impreziosita da statue in gesso disposte in coppie e raffiguranti Sante.
    Nelle navate laterali si aprono ampie cappelle che sono veri e propri scrigni di opere d’arte. La Cappella Basso Della Rovere, prima a destra, con le pitture del Pinturicchio Storie di San Girolamo e Adorazione del Bambino, con le tombe dei nipoti di Sisto IV, i cardinali Cristoforo e Domenico della Rovere eseguiti da Andrea Bregno, con la Madonna di Mino da Fiesole e il sepolcro del cardinal De Castro di Francesco da Sangallo.

    Immacolata Concezione tra Santi – Carlo Maratta – Cappella Cybo – Santa Maria del Popolo

    La Cappella Cybo, seconda a destra, è dedicata a San Lorenzo e fu fondata agli inizi del 1500 da Lorenzo Cybo, nipote di Innocenzo III. Al tempo della sua fondazione fu completamente affrescata da Pinturicchio, mentre gli artisti della bottega di Andrea Bregno si occuparono di realizzare il resto della decorazione. Oggi la cappella può essere ammirata dopo il rifacimento voluto dal cardinale Alderano Cybo e realizzato tra il 1680 e il 1687, rinnovamento che fu apportato da Carlo Fontana. La cappella è a croce greca, rivestita di marmi verdi, ospita sull’altare un olio su muro di Carlo Maratta, l’Immacolata Concezione tra i Santi, che ebbe un tale successo da essere replicato in mosaico e posto sull’altare del transetto destro di Sant’Ambrogio e San Carlo al Corso.
    Sul fondo della cappella Cybo trovano posto i due monumenti funebri dei cardinali Lorenzo e Alderano Cybo opere di Francesco Cavallini, autor ìe anche degli angeli in bronzo dorato che sostengono la mensa dell’altare.

    Nascita della Vergine – Sebastiano del Piombo – Cappella Chigi –

    Proprio di fronte alla cappella Cybo si trova la cappella Chigi. Essa fu concessa da papa Giulio II della Rovere al grande banchiere Agostino Chigi che chiamò Raffaello a realizzare il progetto. I lavori iniziarono nel 1513, proseguirono poi sotto la guida del Lorenzetto a causa della sopraggiunta morte di Raffaello, ma si protrassero, con molteplici interruzioni, fino al seicento tanto che la cappella venne completata dal Bernini tra il 1652 e il 1656.
    Nella cupola è possibile ammirare i mosaici realizzati su disegno di Raffaello, mentre sull’altare è collocato un affresco a olio su blocchi di peperino di Sebastiano dal Piombo, la Nascita della Vergine. Le sculture sono in parte del Lorenzetto e di Raffaello da Montelupo, mentre Abcuc e l’angelo Daniele e il leone sono del Bernino, così come è Bernono a terminare i monumenti funebri di Agostino e Sigismondo Chigi conferendo loro la forma di piramide.
    Nel presbiterio, sull’altar maggiore, è posta la tavola bizantina attribuita, dalla leggenda, a san Luca, raffigurante la Madonna del Popolo.

    Altare maggiore – Santa Maria del Popolo

    In realtà la tavola lignea è del XIII secolo, è attribuita al Maestro di San Saba e fu collocata sull’altare maggiore di Santa Maria del Popolo per volere di Gregorio IX. Sull’arcone stucchi dorati raccontano la leggenda della fondazione della chiesa così come la descrive la tradizione medievale.
    Nello spazio deputato al coro, dietro l’altare, sono i due capolavori di Andrea Sansovino: i sepolcri dei cardinali Girolamo della Rovere e Ascanio Sforza. Questi due sepolcri a foggia di arco trionfale rappresentano il punto di passaggio tra due stili, tra il quattrocento e il cinquecento. In entrambi i sepolcri, il defunto è raffigurato dormiente.
    L’ambiente del coro fu interamente progettato e realizzato da Bramante che chiamò a Roma Guillaume de Marcillat perché realizzasse le preziose vetrate dipinte a grisaille.
    Bramante realizzò l’opera su commissione del cardinale Ascanio Sforza in due fasi: una più antica corrispondente all’arcone a lacunari e all’abside con catino a conchiglia databile ai primi anni del suo soggiorno romano, 1500 circa, e una più tarda, riferibile al pontificato di Giulio II, verso il 1505-1509, in cui la volta a crociera originaria fu trasformata in volta a vela. Gli affreschi della volta sono del Pinturicchio.

    Sepolcro di Giovanni Battista Gilseni – Santa Maria del Popolo

    La cupola della chiesa è probabilmente la prima costruita a Roma, dopo il modello di tutte, rappresentato dal Pantheon. Accanto alla porta principale sta un curioso monumento funebre con il ritratto dipinto del defunto e una marmorea immagine della sua decomposizione, con il motto “neque hic vivus, neque illic mortuus”, cioè «Né qui vivo, né là morto».

    Roma, 29 gennaio 2017

  3. La lingua dei Romani. Il più vistoso monumento alla civiltà della parola umana

    La lingua più parlata al mondo? Il latino. “Non solo quel che resta del latino ecclesiastico né quello dei pochi filologi classici ancora in grado di scriverlo, né dei certami ciceroniani, stranamente popolari” ha scritto l’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis.

    Iscrizione dell’edicola dei suonatori di strumenti in bronzo

    “Ma il latino che parliamo ogni giorno, con le sue trasformazioni storiche: quello delle lingue neolatine, o romanze. Lo spagnolo come lingua materna è da solo, con 500 milioni di parlanti, secondo al mondo soltanto al cinese. Se vi aggiungiamo il portoghese (230 milioni), il francese (100), l’italiano (65) e il romeno (35), si arriva a 930 milioni di parlanti latino”.
    A questa lingua bellissima sono stati dedicati molti libri non specialistici. Ad esempio Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile di Nicola Gardini, professore di letteratura italiana all’Università di Oxford. Secondo lo studioso, il latino è, molto semplicemente, lo strumento espressivo che è servito e serve a fare di noi quelli che siamo. In latino, un pensatore rigoroso e tragicamente lucido come Lucrezio ha analizzato la materia del mondo; il poeta Properzio ha raccontato l’amore e il sentimento con una vertiginosa varietà di registri; Cesare ha affermato la capacità dell’uomo di modificare la realtà con la disciplina della ragione; in latino è stata composta un’opera come l’Eneide di Virgilio, senza la quale guarderemmo al mondo e alla nostra storia di uomini in modo diverso. Gardini incoraggia il lettore a dialogare con una civiltà che non è mai terminata perché giunge fino a noi, e della quale siamo parte anche quando non lo sappiamo. Una lingua, quella latina, tuttora in grado di dare un senso alla nostra identità con la forza che solo le cose “inutili” sanno meravigliosamente esprimere.

    Iscrizione a Fannius, un membro degli Ubii, le guardie del corpo germaniche dell’imperatore Nerone

    Il latino ha rappresentato durante gli ultimi tremila anni la più autentica espressione della nostra civiltà. È stata non solo la lingua dei nostri antenati Romani, come Plauto e Terenzio, Cicerone o Virgilio, Seneca e Plinio, oppure ancora di Stazio e Quintiliano, Marziale o Tacito, Svetonio e Gellio, o più tardi di Ausonio e Claudiano, Ammiano Marcellino, Ambrogio o Agostino, ma con autori come Boezio e Cassiodoro, Gregorio di Tours ed Isidoro di Siviglia, il latino riuscì a sopravvivere alla caduta dell’Impero Romano, e poté rimanere in uso durante tutto il Medioevo, come lingua del diritto, della filosofia e della teologia, avendo il suo apice espressivo in Tommaso d’Aquino.
    Il latino risorse con una nuova forza nel Rinascimento, nella straordinaria fioritura delle arti e delle scienze, come mezzo eterno di comunicazione tra tutte le nazioni, con accenti e suoni tanto diversi come nell’olandese Erasmo, il polacco Copernico, il francese Cartesio, l’inglese Newton, il tedesco Leibniz o lo svedese Linneo, tutti uniti nella comune lingua, il latino.
    A dispetto della ricchezza della nostra cultura millenaria, molti sono stati portati a credere che il latino sia morto con l’ultimo dei Romani. Non è esattamente così, poiché essa è “una lingua che ancora ci parla”, per dirla con le parole di Eva Cantarella, storica dell’antichità e del diritto antico.
    Il Museo Nazionale Romano, di cui le Terme di Diocleziano fanno parte, raccoglie un patrimonio unico al mondo con circa 10.000 iscrizioni, che accompagnano il lungo cammino della civiltà romana dalla nascita della città di Roma fino alla fine dell’impero e rappresentano oggi un potente mezzo per illustrare gli aspetti sociali, politico-amministrativi, economici e religiosi del mondo antico. La raccolta, formata da collezioni storiche, come quelle del Museo Kircheriano, e dai reperti provenienti dai grandi interventi per la costruzione di Roma Capitale, si arricchisce ancora oggi dei materiali rinvenuti nel territorio dell’area comunale romana.

    Iscrizione funeraria di Gaio Pompeio Procolo

    Le iscrizioni sono della natura più varia. Accanto a quelle legate al mondo funerario, come quella per Gaio Pompeio Procolo, terzo figlio di Gaio, che apparteneva dalla XVIII Legio dell’esercito romano dove ricopriva, come ci informa l’epigrafe, il ruolo di praefectus fabrum, il cui compito era di comandare e coordinare il genio militare, possiamo ricordare quella molto particolare che è l’orazione funebre per la liberta Allia Potestas. La lastra fu rinvenuta in più parti durante gli scavi per un parcheggio in un’area presso Via Pinciana alla fine dell’Ottocento, un’area che appariva occupata da un vasto sepolcreto che si estendeva a raggiungere gli Horti Sallustiani.
    La datazione del testo è controversa ma da una serie di considerazioni, non ultima il fatto che nel testo stesso si dice Allia Potstas fu cremata, l’ipotesi più accreditata suggerisce una datazione non successiva alla fine del II secolo o all’inizio del III secolo dopo Cristo. L’autore del testo, generalmente riferito come Allio, dimostra una certa abilità compositiva, dimostra di avere una certa abilità nell’uso dell’esamero e del pentamero, e di conoscere Ovidio, della cui influenza è pervaso tutto il poema.
    Nel testo si descrivono innanzitutto le virtù di Allia che era “forte, morigerata, parsimoniosa, irreprensibile, custode fidatissima, curata in casa, fuori casa curata quanto basta, ben nota a tutti, era la sola che potesse badare a tutte le faccende; faceva parlare poco di sé, era sempre immune da critiche.

    Poema sepolcrale dedicato ad Allia Potestas

    La prima a scendere dal letto, per ultima vi andava a dormire dopo aver posto in ordine ogni cosa; mai senza ragione la lana si allontanò dalle mani, nessuna le fu superiore nel rispetto e nei sani costumi”. Quindi segue una descrizione della donna: carnagione chiara, occhi belli, capelli dorati, seni piccoli e gambe tanto belle che al confronto Atlanta avrebbe dovuto nascondere le sue. E poi i versi che hanno forse maggiormente attratto la critica perché Allia Potestas “mentre era in vita mantenne l’affetto tra due giovani amanti, cosicché divennero simili all’esempio di Pilade e di Oreste: una sola casa li accoglieva, avevano un’unica anima. Dopo la sua morte ora quegli stessi invecchiano separati l’uno dall’altro; ciò che una tale donna costruì, ora parole offensive danneggiano”.
    L’autore del testo è triste ed amareggiato per la morte di Allia. Spera che questi versi possano essere un dono gradito alla defunta “egli, che vive senza di te, è come se vedesse da vivo i propri funerali. Al braccio porta di continuo il tuo nome, unico modo per trattenerti con sé, unita all’oro, POTESTAS ….. In luogo tuo, per mia consolazione, tengo un’immagine, che venero religiosamente e molte ghirlande le sono offerte, quando verrò da te, (la tua statua) mi seguirà, compagna (nel sepolcro)”.
    C’è un’iscrizione proveniente dall’edicola dei suonatori degli strumenti in bronzo che si trovava nell’area del santuario, attribuito alle Curiae Vetres, del Palatino dopo la sua sistemazione in età augustea. In questa fase il santuario viene corredato da una platea di accesso e da un’ampia gradinata in travertino che saliva verso il Palatino. In questi spazi i suonatori di strumenti in bronzo, impiegati nelle principali cerimonie pubbliche, cominciano ad innalzare statue ai principi, da Augusto a Tiberio, a Claudio a Nerone e a sua madre Agrippina.
    Per ospitare queste statue verrà costruita un’edicola, con fronte colonnato, addossata alla parete del temenos del santuario, da cui proviene l’iscrizione conservata.

    Forma Urbis di Via Anicia

    Tra i reperti più interessanti, un frammento di mappa catastale della città di Roma, risalente alla prima metà del II secolo dopo Cristo, rinvenuto a Trastevere, nei pressi della via Anicia. Insieme alla Forma Urbis Severiana, la celebre grande pianta dell’età di Settimio Severo, questo frammento è uno dei pochi e preziosi esemplari di planimetrie antiche. In scala 1:240, riproduce la zona del Campo Flaminio, lungo il Tevere, nei pressi dell’attuale Piazza delle Cinque Scole: sono riconoscibili, grazie all’iscrizione, il Tempio dei Dioscuri e una fila di tabernae su cui è iscritto il nome dei proprietari: Cornelia e i suoi soci.
    Alcune iscrizioni forniscono poi altre informazioni sulla vita quotidiana della Roma antica. Ad esempio una delle più singolari è riportata alla base del ritratto a figura intera di un soldato dal corpo tozzo e massiccio, posto all’interno di una nicchia delimitata da una colonna.
    L’abbigliamento del soldato è piuttosto semplice, privo di elmo e di corazza, e può essere considerato come la tenuta di riposo del pretoriano: una semplice tunica lunga fino al ginocchio, stretta subito sotto la vita da una cinta, il cingulum, con grande fibbia e il mantello, sagum, fissato sulla spalla destra. Una corta spada pende dal balteus, la speciale cintura militare romana qui portata a tracolla, mentre nella mano destra è stretto il pilum, una sorta di giavellotto che costituiva l’armamento tipico del pretoriano e che, in questo caso è raffigurato come una lunga asta a spirale. L’iscrizione riporta il nome del pretoriano, il numero della coorte pretoria in cui egli aveva militato, la IX, e il nome del suo centurione.

    Collare da schiavo

    Un’altra testimonianza particolare è rappresentata dai collari che spesso cingevano il collo degli schiavi, in modo da evitare la marchiatura a fuoco dell’uomo.
    Quella conservata nel Museo Epigrafico, di provenienza sconosciuta, ma databile tra il IV e il VI secolo dopo Cristo, comprende anche una medaglietta che riporta: “Fugi, tene me, cum revocuveris me domino meo Zonino, accipis solidum”.
    Ovvero: Sono fuggito, quando mi riporterai dal mio padrone Zonino, riceverai un solido.
    La somma di un solido rappresenta la ricompensa, modesta, prevista dalla legge èer la restituzione di uno schiavo fuggitivo.

    Roma, 22 gennaio 2017

  4. Passeggiata

    Sant’ Agostino: le tre Madonne nella Chiesa della Madre

    di Paolo Biondi

    Biblioteca Angelica – Sala Vanvitelliana

    Paolo Biondi è una delle guide più apprezzate di Roma Felix che in occasione della sua visita realizzata alcuni mesi in Sant’Agostino in Campo Marzio per la nostra associazione, ha scritto questo testo sulle tre Madonne, che con piacere pubblichiamo.

    Nel 1286 Eligio Lufredi donò agli Agostiniani di Piazza del Popolo alcune case nel Campo Marzio per farci il loro convento. Queste case andarono poi a costituire il primo nucleo, e il più antico, della chiesa di Sant’Agostino.

    Più tardi Papa Onorio IV confermò la donazione e affidò agli Agostiniani anche la chiesa di San Trifone, una chiesa dell’VIII secolo ricostruita nel X dedicata a un martire greco del III secolo, che si affacciava su via della Scrofa. Il convento si sviluppò così soprattutto nell’area che ora occupa il retro della chiesa di Sant’Agostino, un edificio che oggi è l’Avvocatura dello Stato, e sul lato destro, tanto da determinare nel Settecento l’abbattimento della chiesetta di San Trifone.
    Oggi gli Agostiniani sono proprietari solo di quell’ala, che dà su via della Scrofa, comunque così grande che in parte è utilizzata come albergo per sacerdoti. Qui risiedeva Bergoglio prima del conclave che l’ha eletto papa. Qui tornò per raccogliere le cose che aveva lasciato e pagare il conto.
    continua…