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  1. Insula di San Paolo alla Regola.

    Abbastanza ampio, il Rione Regola occupa una posizione molto regolare in riva alla sponda tiberina che gli ha dato il nome, che deriva infatti dai depositi di rena fluviale, o “arenula”, dopo una serie di alterazioni.

    San Paolo alla Regola – Giuseppe Vasi.

    I confini del rione, oltre che dal Tevere, fra Ponte Mazzini e il lungotevere Cenci, sono rappresentati da una linea che dalla chiesa di Santa Lucia al Gonfalone, per un tratto di via del Pellegrino e via dei Cappellari, costeggiando Campo de’ Fiori, procede lungo via dei Giubbonari fino alla via Arenula; da qui il confine si insinua fino a via del Progresso. Nonostante il bello sviluppo urbanistico ed edilizio che vi si verificò durante il RInascimento, anche come risposta all’impulso papale di attrarre la città verso il Vaticano, di cui furono splendidi esempi intere strade come di Monserrato, piazze come quella Farnese e palazzi come lo stesso Farnese o il Capodiferro Spada o quello del Monte di Pietà, sono ben presenti nel rione alcuni aspetti medievali, collegati all’antico percorso della primitiva “via papale” o “dei pellegrini” e alcune caratteristiche sociali collegate alle modestissime attività che vi venivano svolte nel passato, tra le quali, per esempio, quelle che svolgevano in riva al fiume i vaccinari, i quali diffondevano all’intorno il terribile odore di pelli scuoiate. L’apertura di via Arenula attraverso quella che fu la piazza di Sant’Elena e una serie di bonifiche talvolta realizzate incautamente, hanno risollevato il tono del rione.
    E proprio alla Regola si erge la Chiesa di San Paolo alla Regola popolarmente

    Casa detta di San Paolo in Via San Paolo alla Regola. Si ringrazia Roma Sparita.

    denominata “San Paolino”. È antichissima: la prima menzione ufficiale risale a una bolla di papa Urbano III del 1186 che la indica come parrocchia dipendente da San Lorenzo in Damaso, ma, secondo la tradizione, molto più antica perché fondata sullo stesso luogo dove vi era la casa di San Paolo durante il suo soggiorno romano. A conferma di quanto riporta la tradizione questa contrada, per buona parte del Medioevo, fu appunto denominata Pauli, come rammentato in una pergamena del 1245, mentre all’interno di questa chiesa si conserva ancora la stanza dell’apostolo trasformata in cappella. Dopo che per molto tempo fu officiata dai frati di Sant’Agostino, nel 1619 la chiesa fu affidata ai francescani del Terzo Ordine Regolare di San Francesco della Nazione Siciliana, i quali v’istituirono un Collegium Siculum, ospitato nell’edificio adiacente, tuttora esistente sulla sinistra della chiesa. Il Collegio, grazie alla diretta protezione del re Filippo IV di Spagna, era efficientemente dotato di una cospicua biblioteca, specializzata in libri di filosofia e teologia, e di un consistente archivio, entrambi andati distrutti nei tumulti avvenuti durante la Repubblica Romana del 1799, nonché di una preziosissima reliquia di san Paolo, consistente, nientemeno, che in una parte del suo braccio. Nel XVII secolo la chiesa fu ricostruita su disegno dell’architetto bolognese Giovanni Battista Bergonzoni, anche se venne completata soltanto nel 1728 con la bella facciata opera di Giuseppe Sardi, su disegno di Giacomo Coli: suddivisa in due ordini, presenta, nella parte inferiore, sei lesene che inquadrano il portale centrale e due portoncini laterali. Un ulteriore restauro fu effettuato nel 1930 da Antonio Muñoz. L’interno, a croce greca con cupola, custodisce un affresco del Trecento, un’immagine miracolosa detta Madonna delle Grazie, mentre sull’altare maggiore è murata una lapide datata 1096 della demolita chiesa di San Cesareo, situata nella vicina Piazza della Trinità dei Pellegrini.

    Biblioteca Centrale dei Ragazzi – Rione Regola.

    Tra il 1978 e il 1982 il Comune di Roma realizzò un progetto di restauro e riqualificazione urbana di un insieme di fabbricati di sua proprietà situati tra via del Conservatorio e la chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. L’intervento mise sorprendentemente in luce poderose strutture di età romana conservate per quattro piani di altezza, due nel sottosuolo e due al di sopra, rimaneggiate e sopraelevate sin quasi alla situazione attuale già nel medioevo. Il complesso archeologico, che venne scoperto e restaurato per la prima volta in tale occasione, è attualmente visitabile al primo e al secondo livello sotto il piano odierno di calpestio del cinquecentesco Palazzo Specchi, occupato al primo piano dalla Biblioteca Centrale per Ragazzi e nei piani superiori da abitazioni private. Gli ambienti romani e medievali, databili tra la fine del I e il XIII secolo dopo Cristo, prospettano oggi sull’attuale via di San Paolo alla Regola, percorso che ricalca l’antico tracciato stradale che fin dall’età repubblicana collegava il Circo Flaminio con la pianura del Campo Marzio.
    L’urbanizzazione di questa porzione meridionale della piana si dovette all’intensa attività edilizia di Augusto; in particolare, fu Agrippa, genero dell’imperatore, a far costruire nella zona limitrofa agli edifici di San Paolo alla Regola il ponte oggi Ponte Sisto che, attraverso le odierne vie dei Pettinari e Arco del Monte, metteva in comunicazione il Trastevere con il vicino Teatro di Pompeo. Nell’area venne così delineandosi un reticolo di strade parallele e ortogonali al Tevere tutt’oggi

    Insula sotto Palazzo Specchi – Rione Regola.

    percepibili perché ricalcate, rispettivamente, dalle moderne via delle Zoccolette e via di San Paolo alla Regola e da via del Conservatorio e via dei Pettinari. All’epoca di Domiziano l’intera zona era occupata dagli Horrea Vespasiani, un vasto complesso di magazzini disposti a rastrelliera su strade e vicoli paralleli al fiume che si estendeva tra via dei Pettinari e via Arenula.
    In età severiana il quartiere fu oggetto di una radicale trasformazione: in particolare, negli edifici sotto Palazzo Specchi, accanto e al di sopra dei magazzini domizianei, furono edificati ambienti adibiti a uffici, ad abitazioni, corti e stanze di rappresentanza abbelliti da ricche decorazioni dipinte e musive, che raggiungevano non meno di quattro piani in altezza e che furono successivamente distrutti da un violento incendio sul finire del III secolo dopo Cristo. Con la ristrutturazione di età costantiniana fu interrato il piano inferiore dell’isolato e le cortine murarie vennero poderosamente consolidate. Dopo un lungo periodo d’utilizzo, tuttavia, gli ambienti furono abbandonati progressivamente e il livello del suolo, tra crolli e depositi alluvionali, raggiunse all’incirca la quota attuale.
    Nell’XI e nel XII secolo, a seguito di una nuova intensa attività edilizia, gli ambienti romani furono consolidati fino alle fondamenta e sopraelevati. In questo periodo, una casa a torre in laterizio con sopraelevazione a tufelli fu costruita a cavaliere dell’antico vicolo parallelo al fiume che separava tra loro i blocchi edilizi domizianei, mentre tra il XII e il XIII secolo tutta la zona fu occupata da costruzioni intensive con case di forma stretta ed allungata che saturarono gli spazi disponibili e costituirono la base per lo sviluppo del successivo palazzetto rinascimentale.
    Attraverso l’androne moderno di Palazzo Specchi si ha oggi accesso alle strutture antiche, articolate in una complessa successione di ambienti e sale che si distribuiscono su più livelli.

    Insula di San Paolo alla Regola.

    Al secondo piano del sottosuolo, a circa 8 metri di profondità dalla quota attuale della strada, si trovano i due grandi magazzini costruiti all’epoca di Domiziano in struttura laterizia e con ampie volte a botte di copertura, affacciati in antico su un vicolo cieco parallelo al Tevere.
    Il livello intermedio, detto “della colonna” per la presenza di una colonna in laterizio di epoca costantiniana, era in origine un cortile lastricato di pietre calcaree, posto a monte dei magazzini domizianei. In età severiana, in affaccio sul medesimo cortile, furono eretti altri due magazzini di dimensioni inferiori, oggi visitabili al primo piano del sottosuolo. Tutto l’ambiente “della colonna” fu radicalmente ristrutturato in età costantiniana a seguito di un grande incendio: fu allora interrato il piano terra dell’edificio e le murature domizianee e severiane furono rifoderate fino a triplicarne lo spessore.
    Al primo piano del sottosuolo si osserva lo sviluppo dei magazzini di età severiana che si articolavano attorno ad un altro ampio cortile, oggi tramezzato dai muraglioni sui quali s’impostano le volte cinquecentesche del soprastante palazzo, ma in origine dotato di rivestimento pittorico policromo a imitazione della più pregiata decorazione in marmi colorati, la cosiddetta “stanza della pittura”.
    I restanti due ambienti al primo livello sotto il suolo sono pavimentati a mosaico con tessere bianche e nere di età severiana e costituiscono il piano superiore degli originari magazzini affacciati sul vicolo. Qui, verosimilmente, dovevano trovare spazio attività polifunzionali legate all’amministrazione dei locali sottostanti.

    Roma, 10 dicembre 2017

  2. Arte

    Hokusai. Sulle orme del maestro.

    Ornella Massa

    Hokusai racconta, in un celebre scritto di suo pugno, di aver iniziato a disegnare all’età di cinque anni. La sua carriera “ufficiale” da pittore inizia però a diciannove

    Autoritratto – Hokusai 1830

    anni quando entra nella bottega di Katsukawa Shunshō, uno dei massimi pittori dell’ukiyōe attivo nella seconda metà del Settecento. Qui Hokusai, che nella realtà si chiamava Tokitarō, riceve il suo primo nome da pittore direttamente dal suo maestro. Da questo momento in poi si chiamerà e firmerà le sue opere con il nome di Shunrō.
    Nel corso della sua lunga vita di uomo e di artista, il maestro più conosciuto della pittura giapponese cambierà il nome moltissime altre volte, alcuni gli riconoscono almeno una trentina di nomi diversi, ma cinque di essi segnano i passaggi fondamentali, momenti di trasformazione profonda dell’arte, trasformazione che non riguarderà solo le modalità pittoriche vere e proprie, a esempio la maturità e la sicurezza proprio nel segno grafico o l’uso del colore, ma riguarderà la maniera del maestro di guardare alla realtà che lo circonda e le modalità con cui rappresentarla.

    continua…

  3. Aventino, il colle solitario e la basilica di Santa Sabina

    La sua perdurante relativa solitudine – nonostante gli insediamenti residenziali del secolo passato – ricorda il destino d’isolamento che contrassegnò questo colle dal più lontano passato. Fino all’epoca dell’imperatore Claudio esso fu mantenuto all’esterno del pomerio urbano e il luogo fu piuttosto considerato come

    Romolo traccia il solco – Bartolomeo Pinelli.

    particolarmente propizio al culto e alla religiosità, sicché vi furono costruiti molti edifici sacri. In particolare fu qui insediato un Tempio di Diana che, come quello di Giove sul Monte Cavo, ebbe un carattere federativo per le genti latine. Soprattutto all’epoca di Augusto, le pendici dell’Aventino accolsero le popolazioni popolari della gente di fatica del Porto Fluviale.
    L’Aventino ha un ruolo chiave nella storia fondativa delle città di Roma. E’ qui, infatti, che Remo si colloca per osservare il volo degli uccelli, mentre Romolo sceglierà il Palatino. Sarà quindi dall’Aventino che Remo vedrà per primo sei avvoltoi mentre Romolo ne vedrà dodici, solo dopo di lui sul Palatino. Sarà la furia cieca di Romolo a farne quindi il fondatore della città a discapito di Remo, il quale però una sua città alternativa, Remuria, pare fosse comunque riuscito a fondarla.
    Ad ogni modo, il particolare carattere del monte vi attrasse gradualmente le residenze dei mercanti forestieri, dei plebei arricchiti con il commercio e, infine, di coloro che operavano nel sottostante Emporium, nelle strutture connesse e nei relativi traffici e commerci. Con il concentrarsi qui delle abitazioni dei plebei, l’Aventino assunse il carattere di residenza alternativa a quella del Palatino abitata prevalentemente da patrizi.
    Nel 494 avanti Cristo si aprì inoltre il conflitto tra patrizi e plebei, passato alla storia come “secessione dell’Aventino” perché è su questo monte che i plebei decisero di dare origine a organismi di governo propri, visto che essi non avevano fino a quel momento alcuna rappresentanza politica. Venne così indetta un’assemblea generale che poteva prendere decisioni con valore vincolante per la plebe e furono istituite le figure dei tribuni della plebe.

    Fortezza dei Savelli sull’Aventino (l’orto circostante dal 1933 è il giardino degli Aranci) – Peter Paul Mackey, British School at Rome Archive.

    A questo primo conflitto altri ne seguirono, e l’insieme di queste lotte si estese almeno fino al 287 avanti Cristo.
    La creazione del Porto di Claudio e di Traiano, allontanò dall’Aventino molte abitazioni popolari che vennero rimpiazzate sempre più da residenze signorili e da impianti termali. Così durante l’epoca imperiale, sorsero sull’Aventino le case di grandi personaggi, si pensa che vi sorgesse anche la domus privata di Traiano, e un numero sempre maggiore di templi.
    Il Cristianesimo trovò su questo colle, nella Casa di Aquila e Prisca, ricordate da san Paolo, uno dei primi luoghi di riunione e gradualmente sostituì agli antichi templi della nuova fede. Accanto ad essi si ebbero importanti insediamenti monastici, dai quali partirono missionari per il Nord e per l’Est dell’Europa. Verso l’Anno Mille, il colle – dal quale si poteva controllare il movimento mercantile che si svolgeva sul Tevere nel fronteggiante approdo di Ripa Grande – divenne una roccaforte in funzione delle lotte imperiali e cittadine. Esso rimase un centro di forza della famiglia dei Savelli fino al secolo XIII, quando l’Aventino venne abbandonato al salmodiare dei conventi, fino all’epoca attuale.

    Basilica di Santa Sabina – Interno.

    La solitudine dell’Aventino – che si è parzialmente serbata fino ad oggi, custodita dal carattere puramente residenziale dell’insediamento edilizio che vi è sorto a partire dal primo dopoguerra – viene sottolineata in un passo del diario romano del Gregorovius, nel 1872, quando afferma, dopo una visita al luogo: “si deve prendere commiato da queste calme colline; la loro solitudine e il loro magico incanto verranno fra poco distrutti. Vogliono ricoprirle di edifici…”. Lo stesso Gregorovius afferma in un altro passo di aver avuto la fortuna di poter lavorare e studiare a Roma durante gli ultimi lustri della vita antica della città, godendo di un silenzio che era stato un fattore determinante del successo delle sue ricerche archivistiche sul medioevo.
    La basilica di Santa Sabina è un perfetto esempio di basilica del V secolo, e quindi venerabile e ammirevole modello della primitiva e pura concezione di tempio cristiano, la chiesa venne costruita dal prete Pietro d’Illiria – durante il pontificato di Celestino I – forse sulla casa di una matrona Sabina, confusa in seguito con l’omonima santa umbra.
    Vennero utilizzate 24 colonne di marmo ancirano del Tempio di Giunone Regina, che sorgeva nei pressi. Nel secolo IX vi furono aggiunte parti marmoree, parzialmente ancora esistenti: la schola cantorum, ricostruita ricomponendo gli antichi frammenti, gli amboni, l’iconostasi, la cattedra episcopale e il sedile marmoreo da Antonio Munoz agli inizi del 1900. Finalmente, nel 1222, papa Onorio III, che risiedeva nell’attiguo palazzo Savelli, concesse la chiesa al proprio maestro di palazzo, San Domenico di Guzman, all’atto di approvargli la regola del nuovo ordine domenicano. Ancora di quell’epoca sono il chiostro e il campanile, rimasto troncato verso la metà del Seicento.

    Gesù, gli Apostoli e i Santi sepolti nella basilica – Taddeo Zuccari.

    Domenico Fontana, nel 1587, trasformò l’aspetto interno della chiesa, facendole assumere una fastosa foggia manieristico – barocca.
    Dopo la soppressione dei monasteri, successiva al 1870, seguì un periodo d’abbandono, durante il quale la chiesa e l’intero convento vennero utilizzati anche come lazzaretto comunale. Finalmente Antonio Muñoz tentò, con lavori realizzati nel 1919 e nel 1936-38 (quando con lui collaborò anche il domenicano padre Gillet), di recuperare l’aspetto originario della chiesa, con un’operazione sostanzialmente rispettosa e che ha dato notevoli risultati.
    Dall’atrio antistante la chiesa si scorge il famoso albero di arancio amaro che la leggenda vuole piantato verso il 1220 da San Domenico: esso sarebbe la prima pianta di questa specie introdotta in Roma.
    Comunque l’atrio è prezioso per la presenza della celeberrima porta in ingresso, originaria del V secolo e intagliata finemente, oltre che con potenza espressiva, in legno di ciliegio. La porta arriva incompleta perché i pannelli scolpiti, in origine ventotto, sono oggi solo diciotto. Essi sono montati dentro fasce decorative che raffigurano motivi della vite. Di particolare risalto è il pannelletto che riproduce la Crocifissione, considerata la più antica rappresentazione della Crocifissione di Cristo. Solo nel Medioevo si affermerà infatti la rappresentazione del simbolo della crocifissione. Complessivamente ci troviamo di fronte ad uno dei massimi tesori dell’arte paleocristiana, a una delle più dimostrative manifestazioni della potenza creativa della nuova fede.

    Roma, 17 novembre 2017

  4. Racconto

    L’acquerello senza firma

    Francesco Roesler Franz

    In occasione della presentazione del libro “Ettore Roesler Franz. Biografia romanzata del pittore di Roma Sparita”, di Francesco Roesler Franz per Intra Moenia, pubblichiamo un breve racconto tratto dal volume.

    Dopo un paio di giorni necessari per ambientarsi nella dimora della marchesa, lo zio Pietro portò Ettore sulla terrazza per fargli ammirare il panorama mozzafiato. In mezzo al terrazzo, incorniciata da un ampio pergolato, si ergeva una fontana usata per alleviare la calura estiva. Ettore fu colpito da tanta bellezza e chiese allo zio se avesse potuto dipingere lì. Pietro non aspettava altro, ne fu assai felice e andò a chiamare immediatamente la marchesa, che ordinò a un cameriere di salire il cavalletto dallo studio. Lo zio adorava l’archeologia e i miti del passato, immaginava che il terrazzo fosse stato costruito ispirandosi ai celebri giardini sospesi di Babilonia. Ettore, sotto lo sguardo amorevole della zia, cominciò a dipingere per prima cosa lo straordinario paesaggio. Nei giorni seguenti si occupò di ritrarre nel dipinto la marchesa e gli zii, intenti ad ammirare quella meravigliosa veduta. Dipinse Pietro vicino alla marchesa Pallavicini, mentre più in dietro posizionò Maddalena, vestita come sempre di nero. Tuttavia, in quella occasione volle farsi ritrarre con lo scialle rosso scarlatto, il suo colore preferito, un caro ricordo dell’amato figlio Giuseppe che le aveva portato da Napoli, come dono della nonna, un anno prima di morire.

    continua…