prima pagina

  1. Villa Farnesina: la poesia e l’amore

  2. Racconti

    Trastevere

    di Jules e Edmond de Goncourt

    “…..Un quartiere selvaggiamente popolare, lontano, isolato sulla riva destra del Tevere,

    Case medievali a Santa Cecilia in Trastevere - Roesler Franz

    Case medievali a Santa Cecilia in Trastevere – Roesler Franz

    il quartiere operaio della manifattura dei tabacchi, delle fabbriche di candele e di ceri per le centinaia di chiese della città, il sobborgo lontano, sperduto, arretrato, che conserva il vecchio sangue di Roma in quelle mani d’uomo pronte al coltello, nelle linee severe della bellezza femminile; quella specie di suburbio dove sembra cominciare la barbarie di un villaggio italiano, mescolando ad un aspetto orientale ricordi di antichità; angoli di strada puntellati con rocchi di colonne, muri i cui blocchi sono Minerve intere; ai lati di una porta imbiancata di calce, sormontata da una specie di stuoia e dall’ombra di una persiana, case logore, sbiadite, piallate dal tempo, facciate dove, sotto una cèntina semichiusa e murata, si libera lo slancio di una fine colonnetta dal capitello ionico……
    …..Botteghe di barbieri flebotomi, con le loro insegne, sulle vetrine, di gambe e di braccia da cui il sangue sgorga rosseggiando in un

    Bartolomeo Pinelli

    Bartolomeo Pinelli

    bicchiere; beccherie dove il prezzo della carne di agnello è affisso sopra una specie di tamburello basco, botteghini del lotto con i numeri usciti scritti con il gesso sui battenti; gli Spaccio di vino a due baiocchi e mezzo, i magazzini al di sopra di porte affumicate, dalle aperture di stalla, che lasciano il mercante e le mercanzie alla luce e all’aria della strada, i buchi spalancati del traffico minuto, dove spicca, sopra un fondo di cantina, il rame lucido della bilancia dei paesi caldi; il banco, l’industria, il lavoro allo stato di natura, su piazzette, sopra lo sventolare del bucato steso, dove il minimo soffio mette passando rumore di vele che si gonfiano; grandi officine di carpentieri grossolani, rimesse di aratri.”

    da “Madame de Gervaisais”, 1869

  3. Passeggiate

    Il Gianicolo al femminile

    Le donne che fecero l'impresa

    Immortalato in innumerevoli spot pubblicitari e film – si pensi solo al premio Oscar La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino – il Gianicolo, nella visita che proponiamo, svelerà un volto inusuale e poco conosciuto: quello delle “sue” donne. Donne reali o mitiche, di una Roma antica o più recente, ma che in alcuni casi possiamo avvertire come contemporanee.gianicolo

    Non solo la celeberrima Anita Garibaldi, ma molte altre figure femminili forse meno note ma cruciali, che fecero l’impresa non di vincere una guerra, ma di riuscire ad autodeterminarsi, a “mantenere il punto”, nonostante le circostanze avverse. Donne vere o immaginate, dunque, ma tutte mosse da una gran voglia di affermare se stesse, di essere presenti al mondo con le loro capacità e con i propri sogni.
    Come Beatrice Cenci, per esempio, che l’11 settembre 1599 era andata incontro ad un atroce supplizio per aver fatto uccidere il padre Francesco che aveva abusato di lei. Le sue spoglie mortali furono conservate a lungo nella chiesa di San Pietro in Montorio. Durante l’occupazione di Roma da parte dei francesi, nel 1789, la tomba fu profanata e i suoi poveri resti dispersi.

    Lasciata la sventurata Beatrice, non si potrà non sostare davanti al monumento bronzeo dedicato alla brasiliana Anita, la donna più famosa del Risorgimento italiano, qui immortalata mentre cavalca con figlio in braccio e pistola sguainata. O ancora ricordare che il Gianicolo fu teatro, nel 1849, della difesa della Repubblica Romana contro i francesi chiamati dal papa.

    Questa placida e meravigliosa collina che sovrasta Trastevere fu espugnata dopo durissimi scontri che provocarono centinaia di morti. Come Colomba Antonietti che per poter combattere s’era finta maschio tagliandosi i capelli. Morì a 22 anni. A ricordarla c’è il suo busto che si confonde tra tutti gli altri dedicati ai patrioti. Proseguendo, si raggiungerà quel che rimane del Palazzo del Vascello, pesantemente danneggiato a seguito dei combattimenti avvenuti durante l’assedio di Roma del 1849.

    Colomba Antonietti - Passeggiata del Gianicolo

    Colomba Antonietti – Passeggiata del Gianicolo

    Nei dintorni si “incontreranno” altre due figure femminili non comuni: la terribile Pimpaccia, al secolo Donna Olimpia Maidalchini, maritata con un Doria Pamphilj e imparentata con papa Innocenzo X, una delle donne più avide della storia della Roma del XVII secolo. E la giornalista americana Margaret Fuller che seguì “in diretta” tutte le battaglie della Repubblica Romana.

  4. Il quartiere Coppedé: il quartiere nascosto

    «Il Quartiere Coppedè è l’esperimento artistico-architettonico più originale intrapreso a Roma agli inizi del XX secolo» scrive Serafina Cascitelli nello splendido sito realizzato da studenti universitari Romaapiedi.com.

    Arcone d'ingresso - Quartiere Coppedè

    Arcone d’ingresso – Quartiere Coppedè

    «Sfugge a ogni definizione: modernismo, kitsch, stile Liberty o neogotico? Resta la bellezza mozzafiato di un angolo di Roma senza tempo».
    Nel cuore di Roma, a due passi dal centro storico si trova, infatti, uno dei quartieri più caratteristici della città. In realtà non un vero quartiere, ma un angolo di Roma dalle fattezze inaspettate e bizzarre, un fantastico miscuglio di stili con infiltrazioni di arte greca, gotica, barocca e addirittura medievale: 26 palazzine e 17 villini tra la Salaria e la Nomentana.
    Un “arcone” riccamente decorato, che congiunge i due corpi di fabbrica principali del palazzo detto “Degli Ambasciatori”, dal quale scende un grande lampadario in ferro battuto, definisce l’ingresso del quartiere realizzato, tra il 1913 e il 1926, dall’eclettico architetto Gino Coppedè, da cui prende il nome. Un quartiere pensato come qualcosa di totalmente altro che si rifà ad una sperimentazione architettonica che nell’Italia dell’epoca ha pochi esempi e che, per certi versi, vede nel catalano Antoni Gaudì il personaggio di riferimento per un’architettura assolutamente visionaria.
    Non c’è nulla di più anacronistico, già nel momento stesso della sua nascita, di questo quartiere dalle linee mosse e tormentate e del forte impatto della decorazione architettonica impresso agli edifici.
    Coppedè attinge fortemente alla sua esperienza e capacità d’intagliatore del legno e imprime nella materia, o meglio nei diversi materiali, lo stesso desiderio di conquista e padronanza che si attribuisce al Bernini scultore.

    La Fontana delle Tartarughe - Piazza Mattei

    La Fontana delle Tartarughe – Piazza Mattei

    E certamente Bernini deve essere stata fonte d’ispirazione, poiché, anche se in tutta Europa fioriva il Liberty, a Roma Coppedè deve fare i conti con la Roma classica e poi con quella dei Papi, con un’architettura che a lungo aveva avuto l’obiettivo di lavorare per scenografie e colpi d’occhio, e qui si pensi alle macchine barocche nelle chiese, o alle piazze barocche come piazza Navona, o alle piazze roccocò come quella dei Burrò o quella neoclassica come piazza del Popolo. Un’architettura che per certi versi doveva impressionare il cittadino e il viaggiatore e contemporaneamente affascinarli, legandoli per sempre a quelle visioni.
    Questo il riferimento storico – architettonico, ma Coppedè arriva pure a Roma in un momento in cui tutto sta cambiando. La città deve trasformarsi in capitale. Il piano regolatore del 1909 definisce piuttosto chiaramente i destini. La città dentro le Mura Aureliane dovrà essere sostanzialmente una città di rappresentanza per nobili e borghesi, il popolo più minuto e gli operai che stanno affluendo massicciamente, saranno accolti in quartieri appositamente costruiti al di fuori delle Mura Aureliane.
    Questo contesto, il fatto di vedersi assegnato uno spazio da ridisegnare all’interno delle Mura Aureliane e di dover pensare alla realizzazione di abitazioni per un ceto borghese medio e alto, diedero a Coppedè la sufficiente forza di liberare le sue visioni e forse anche i propri incubi.
    E’ un intero quartiere progettato da un unico architetto, che assume così una forma unitaria come probabilmente non accadrà in nessun’altra città europea, a meno della Barcellona di Antoni Gaudì, a cui Coppedè certamente guarda non fosse altro che per quel che concerne la capacità visionaria.
    Ecco se si deve pensare ad un altro “unicum” europeo, che esula persino dallo stile floreale così tanto di moda all’inizio del novecento, e di cui anche a Roma si possono incontrare tanti esempi, bisogna per forza pensare all’esperienza di Gaudì a Barcellona.

    La Fontana delle Rane - Quartiere Cppedè

    La Fontana delle Rane – Quartiere Coppedè

    Il quartiere Coppedè nasce anche dall’intreccio tra stile, arte, capacità artigiana e personalità di Gino Coppedè.
    L’insieme dei fabbricati, l’incredibile “pastiche” di linguaggi architettonici, che immergono il visitatore nell’atmosfera sfarzosa, e anche un poco fittizia, degli inizi ‘900 si articola intorno a piazza Mincio, dove lo spazio centrale è occupato dalla Fontana delle Rane: un’imponente fontana popolata proprio da 12 rane, nota per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti, dopo un loro concerto tenuto nella vicina discoteca Piper.
    Ideata nel 1924 la fontana è posta al centro del quartiere e già secondo i commentatori dell’epoca, l’opera voleva essere un omaggio coppedeiano alle fontane berniniane, così frequentemente popolate di animali, si pensi in particolare alla fontana delle tartarughe in piazza Mattei, e, in effetti, il livello basso della vasca e la movimentata composizione ben strutturata rimandano a queste. Costituita da una base quadrilobata su cui poggia un tondo catino centrale, ha al centro di questo un complesso groviglio di mascheroni e figure sorreggenti una valva di conchiglia su cui è posta una grossa rana. Sui bordi del catino altre otto rane versano sottili getti d’acqua. La piazza è circondata da fabbricati differenti per forma e dimensione; i due edifici più rilevanti, decorati in modo sovrabbondante e fantastico sono: la Palazzina del Ragno d’ispirazione assiro-babilonese che si contraddistingue per un grande ragno sulla facciata e il Villino delle Fate caratterizzato da una totale asimmetria, con archi e fregi medievali, nel quale Coppedè attua una fusione totale dell’uso di materiali diversi, marmo, laterizio, travertino, terracotta, vetro, che risultano in un insieme armonico.

    Fontana delle Rane (particolare) - Quartiere Coppedè

    Fontana delle Rane (particolare) – Quartiere Coppedè

    Il pavimento dell’ingresso alle Ville delle Fate, da Piazza Mincio, è un mosaico rotondo in cui sono rappresentate tre fanciulle in abiti romani antichi. Una suona la lira, una suona un chitarrino e l’altra canta. Le tre fanciulle sono metafora dei tre villini. Nel mosaico è anche riportata una scritta “I villini delle fate: Neme, Melete, Aede”.
    La dimensione quasi fantastica di questo luogo suggestivo di Roma ha ispirato più di una pellicola: il quartiere Coppedè ha decisamente ammaliato il regista horror Dario Argento che lo ha utilizzato come location di due tra i suoi più famosi lungometraggi: “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma anche scene di altri film sono state girate qui come “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli, “ e “Audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy con Vittorio Gassman.

    Roma, 10 luglio 2016