prima pagina

  1. Recensione

    La Nostra Cruda Logica

    di Pina Baglioni

    Comprendere la logica interna di un conflitto, come quello arabo-israeliano, che ha attraversato il

    Fila al checkpoint

    Fila al checkpoint

    Novecento e che tuttora si perpetua con picchi di estrema recrudescenza, non è semplice, e spesso il pregiudizio o la mancanza di conoscenza condizionano la capacità di rovesciare il punto di vista.
    “La Nostra Cruda Logica”, libro a cura di Breaking The Silence, un’associazione di veterani dell’esercito israeliano, edito da Donzelli, che per la prima volta lascia parlare senza il filtro dell’istituzionalità i militari di Tel Aviv, rappresenta un’occasione imperdibile di riflessione. A raccontarsi sono ex combattenti che provano a «rompere il silenzio», rivelando la natura straniante della loro esperienza: assistiamo così in queste pagine a un «profondo esercizio di autoanalisi dei narratori, della loro umanità e di quella del loro mondo» scrive Alessandro Portelli nella prefazione.

    continua…

  2. Henri de Toulouse-Lautrec al Museo dell’Ara Pacis

    La mostra che il Museo dell’Ara Pacis dedica a Toulouse-Lautrec è un’occasione molto particolare perché illumina alcuni aspetti poco noti dell’arte del famosissimo artista francese.

    Il Grande Palco - Henri de Toulouse-Lautrec

    Il Grande Palco – Henri de Toulouse-Lautrec

    Sono qui raccolte circa 170 litografie che fanno parte della collezione del Museo di Belle Arti di Budapest. Non solo, quindi, i ben noti manifesti, ma un vasto spaccato dell’opera grafica di Henri de Toulouse-Lautrec: illustrazioni, copertine di spartiti e locandine, alcune delle quali sono autentiche rarità perché stampate in tirature limitate, firmate e numerate, e corredate dalla dedica dell’artista.

    La mostra dà modo di conoscere anche un aspetto quasi “intimo” dell’arte del grande pittore francese: i menu realizzati in occasione di eventi conviviali, dove i partecipanti appaiono in caricature. Menu che gli amici, invitati a queste cene, conservavano come souvenir.

    In questa sezione della mostra sono comprese anche alcune litografie dedicate al tema dei cavalli. Il fantino e Gita in campagna, oltre ad essere due opere che affrontano un tema caro a Toulouse-Lautrec, ce lo mostrano intento a studiare la natura nella sua interezza: certamente una novità visto che la sua opera è più strettamente legata al mondo dei locali notturni di Montmartre, alle sue luci e alle sue ombre. Immancabile è infatti l’occhio che l’artista getta sulla società borghese del tempo, sui frequentatori dei teatri e non solo.
    In mostra anche litografie che raffigurano le amate e famosissime ballerine tra cui Jane Avril e altre forse meno note al grande pubblico delle mostre d’arte, come Loïe Fuller,

    Loie Fuller - Henri de Toulouse-Lautrec

    Loie Fuller – Henri de Toulouse-Lautrec

    che introdusse almeno due importanti innovazioni nel mondo del ballo: si tolse le scarpe e abolì quella corazza di stecche di balena che era il reggiseno alla fine dell’Ottocento. Di Loïe Fuller, che può essere considerata l’inventrice del balletto moderno insieme a Isadora Duncan e Ruth St. Denis, oltre alle litografie realizzate da Lautrec, è possibile vedere anche un breve filmato. Loïe Fuller fu la prima a rendersi conto dell’importanza e dell’impatto che sullo spettatore di un balletto poteva avere il connubio movimento/luce. Per questo motivo curava in particolare l’illuminazione delle sue danze e ballava con vaporose tuniche che ampliavano il movimento, indossando delle “ali da farfalla” di radio che le rendevano fosforescenti (l’esposizione massiccia alle radiazioni la condusse peraltro alla morte per cancro).
    Nella estesa ritrattistica al femminile non possono mancare le attrici famose come la grande Sarah Bernhard, che rivoluzionò il mondo del teatro femminile.
    Non possono mancare perché certamente l’universo di Toulouse-Lautrec è un universo femminile, popolato da donne affascinanti. Ma Jane Avril, Loïe Fuller, Sarah Bernhard e le altre donne di successo si contendono l’attenzione, l’occhio (non solo pittorico) e l’amore incondizionato di Henri Toulouse-Lautrec insieme alle tante altre che vivono nelle case chiuse, conducendo una vita spesso difficile. Anche a queste donne va il sentimento dell’artista francese che le sente a se vicine e di cui racconta la fatica di vivere, l’intimità quotidiana, la stanchezza, il desiderio di normalità. Aspetti della vita di queste donne che Toulouse-Lautrec conosceva molto bene,

    Donna alla tinozza - Henri de Toulouse-Lautrec

    Donna alla tinozza – Henri de Toulouse-Lautrec

    non solo perché frequentatore di case chiuse, ma soprattutto come colui che per lunghi periodi della sua vita aveva eletto le case chiuse a sua fissa dimora. Come ospite aveva quindi la possibilità e in definitiva il piacere di condividere con queste donne la vita nella sua quotidianità, con tutti i suoi lati oscuri e con quelli luminosi.
    L’itinerario dell’esposizione è scandito in cinque sezioni tematiche e tiene puntualmente conto delle esperienze formative, artistiche e intellettuali del grande francese: partendo dalle opere dei primi anni della produzione artistica di Toulouse a quelle del primo periodo parigino dove forte è l’influenza del quartiere di Montmartre, in un percorso che sfocia nelle influenze dell’avanguardia degli Artistes Incohérents.

  3. Galleria Doria Pamphilj: dove i mecenati incontrano gli artisti

    La famiglia Doria Pamphilj.
    Insigni a Gubbio fin dal Medioevo, i Pamphilj si trasferirono a Roma alla fine del ‘400 con Antonio, procuratore fiscale di Innocenzo VIII.dp4 La fortuna della famiglia è dovuta a Giovanni Battista nato nel 1574, pontefice col nome di Innocenzo X dal 1644 al 1655. Non mancano, nella lunga e affascinante storia della famiglia, i cardinali: Girolamo, Camillo – che rinunciò alla porpora nel 1647 –, Benedetto.
    Furono principi, di San Martino al Cimino e di Valmontone. Duchi, di Montelanico e di Carpineto. E marchesi di Montecalvello. Si estinsero con Anna, sposa nel 1671, di Giovanni Andrea III Doria Landi. Questo ramo della famiglia genovese era salito a notevole potenza con Andrea I, il grande ammiraglio al quale Carlo V concesse nel 1531 il titolo di principe di Melfi. Non avendo figli, Andrea aveva adottato il nipote Giannettino, ucciso nel 1547 in una congiura. Il figlio di Giannettino, Giovanni Andrea I, partecipò alla battaglia di Lepanto. E il figlio di questi, Giovanni Andrea II sposò nel 1627 Maria Polissena Landi, figlia ed erede di Federico Landi principe di Valdetaro e signore di Bardi e Compiano. Grazie alle nozze, tutti i feudi dei Landi passarono ai Doria.
    Il trasferimento dei Doria a Roma avvenne in occasione di un altro matrimonio: quello di Giovanni Andrea III con l’ultima discendente dei Pamphilj. A cui seguì il matrimonio di Andrea IV con Leopoldina di Savoia Carignano. Altri cardinali andarono ad arricchire il prestigio dei Doria Landi Pamphilj nel XVIII secolo: Antonio Maria, Giuseppe Maria e Giorgio. Fino a Filippo Andrea VI, primo sindaco di Roma dal 10 giugno 1944 al 10 dicembre 1946. La famiglia continua oggi con gli eredi della principessa Orietta e di Frank Pogson Doria Pamphilj.dp3
    Il palazzo. Il primo nucleo urbano, da cui nascerà palazzo Doria Pamphilj, risale alla metà del ‘400. Passato di mano a varie famiglie, l’edificio sorse tra il 1505 e il 1507 sulla via Lata (attuale via del Corso) con un cortile rettangolare a colonne, sopraelevato del piano superiore soltanto sul lato orientale, con appartamenti su due piani sui lati meridionale e orientale e due giardini. Il cortile è derivato da quello della Cancelleria ed è stato attribuito a Bramante. Mentre l’edificio era in costruzione, papa Giulio II si recò a visitare la fabbrica e convinse il proprietario di allora, il cardinale Giovanni Fazio Santorio a donarlo a suo nipote Francesco Maria I della Rovere duca di Urbino. E il cardinale ubbidì, morendo di lì a poco, di crepacuore. Ai Della Rovere si deve il completamento del portico, trasformato nel XVIII secolo in scuderia, e poi inglobato nell’ala che dà su via della Gatta.
    Nel 1601, il palazzo fu acquistato dal cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. Gli Aldobrandini lavorarono ininterrottamente nell’edificio dal 1601 al1647, costruendo le due ali che prospettano sui lati lunghi del cortile dei melangoli. Su queste si alzano due altane con ricca decorazione: quella meridionale è del periodo Aldobrandini e reca gli elementi araldici del loro stemma; l’altra fu aggiunta sessant’anni dopo ad opera di Camillo Pamphilj e di Olimpia Aldobrandini.
    I lavori del cardinal Pietro Aldobrandini furono continuati dal nipote, il cardinale Ippolito nelle ali nord e sud del giardino dei melangoli e nella decorazione dei saloni dell’ala meridionale.
    Nel 1644 il cardinale Giovanni Battista Pamphilj ascese al soglio di Pietro col nome di Innocenzo X. Fu quello il momento in cui salì sul firmamento romano l’astro dei Pamphilj; il nipote del pappa Camillo sposò nel 1647 Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano che gli recò in dote il palazzo del Corso. Ma solo dopo la morte del pontefice i Pamphilj poterono lasciare il palazzo di famiglia a Piazza Navona e dedicarsi all’ampliamento di quello del Corso. Di tale ampliamento fu incaricato Antonio del Pozzo. L’edificio era stato eretto nel ‘500 dal cardinal Antonio Maria Salviati sulla Piazza del Collegio Romano e ne occupava gran parte togliendo luce al Collegio dei Gesuiti con la sua mole che prospettava verso via Piè di Marmo.dp2 Nel 1659 Alessandro VII ne decise l’acquisto dal duca Giacomo Salviati. Fu così creata l’attuale piazza del Collegio Romano e i Pamphilj poterono costruire l’ala del loro palazzo che vi prospetta. I lavori compresero la costruzione dell’ala dietro la chiesa di Santa Maria in via Lata; Antonio del Grande, oltre a curare in ogni particolare l’architettura degli esterni, progettò lo scenografico vestibolo del palazzo e la scala in angolo con via della Gatta. La costruzione durò dal 1659 al 1663. Dopo la morte del principe Camillo, proseguì la decorazione degli interni del palazzo ad opera dei figli. Ad Antonio del Grande successe nella direzione dei lavori Giovanni Pietro Moraldi e Carlo Fontana. Quest’ultimo rimarrà architetto della famiglia fino al 1714.
    Intanto, il palazzo era rimasto fin allora con una facciata inadeguata su via del Corso; fu il principe Camillo junior, figlio di Giovanni Battista a prendere l’iniziativa della costruzione di una nuova facciata: l’architetto Gabriele Valvassori, ancora alle prime armi, la eseguì tra il 1731 e il 1734.
    La Galleria Doria Pamphilj. È una grande collezione privata esposta nei quattro bracci affacciati sul cortile interno con le sue splendide arcate rinascimentali, così come nelle due grandi sale adiacenti, la Sala Aldobrandini e quella dei Primitivi, si concentrano la maggior parte dei capolavori della collezione privata della famiglia.dp5
    Costruita sul nucleo originario datato ai primi del Cinquecento la galleria è anche la parte di Palazzo Doria Pamphilj che nasconde la storia più antica e interessante, una storia fatta di nobiltà, politica e unioni tra alcune delle più grandi famiglie nobiliari italiane. Come tutto il palazzo, la Galleria è quindi il risultato di evoluzioni, annessioni e allargamenti che si sono succeduti per ben 500 anni per giungere a presentarsi oggi ai nostri occhi in tutto il suo secolare splendore. L’ampia raccolta di pitture, arredi e statue che comprendono lavori di Jacopo Tintoretto, Tiziano, Raffaello Sanzio, Correggio, Caravaggio, Guercino, Gian Lorenzo Bernini, Parmigianino, Velázquez e molti altri artisti importanti. Composta da sale e gallerie splendidamente decorate, la galleria ospita da secoli vari capolavori: la serie delle Lunette Aldobrandini, di Annibale Carracci, una Lotta di Putti di Guido Reni, quasi una rappresentazione della lotta di classe fra amorini abbronzati (plebei) e pallidi (nobili), eseguita per ringraziare il marchese Facchinetti, dopo che l’ artista aveva rischiato un lungo soggiorno in prigione a causa di una lite con l’ Ambasciatore di Spagna.dp1 Il Camerino contiene il capolavoro della raccolta, il Ritratto di Innocenzo X, tela di Velázquez, la cui esecuzione s’inserì nella politica internazionale del tempo, segnata dal riavvicinamento del papato alla Spagna. L’immagine potentissima ritrae con assoluto realismo l’aspetto e l’animo del pontefice. Quell’impresa fu subito famosa a Roma, dove però non produsse influenze fra gli artisti locali, come evidenzia il confronto con uno dei due busti ritratto dello stesso papa, eseguito in marmo da Gian Lorenzo Bernini e ospitato nello stesso ambiente. Nella bellissima Galleria degli Specchi sono affissi grandi specchi, i quali erano allora incomparabilmente più costosi di qualsiasi dipinto o scultura. Vennero fatti venire da Venezia, con cura e impegno economico importanti anche per il delicato trasporto. Furono poco dopo collocate qui le molte statue, in gran parte archeologiche, e il grande vaso in porfido egiziano, fra i maggiori esempi del genere, realizzato poco oltre metà Seicento.

  4. Santi Silvestro e Martino ai Monti