La famiglia Doria Pamphilj.
Insigni a Gubbio fin dal Medioevo, i Pamphilj si trasferirono a Roma alla fine del ‘400 con Antonio, procuratore fiscale di Innocenzo VIII. La fortuna della famiglia è dovuta a Giovanni Battista nato nel 1574, pontefice col nome di Innocenzo X dal 1644 al 1655. Non mancano, nella lunga e affascinante storia della famiglia, i cardinali: Girolamo, Camillo – che rinunciò alla porpora nel 1647 –, Benedetto.
Furono principi, di San Martino al Cimino e di Valmontone. Duchi, di Montelanico e di Carpineto. E marchesi di Montecalvello. Si estinsero con Anna, sposa nel 1671, di Giovanni Andrea III Doria Landi. Questo ramo della famiglia genovese era salito a notevole potenza con Andrea I, il grande ammiraglio al quale Carlo V concesse nel 1531 il titolo di principe di Melfi. Non avendo figli, Andrea aveva adottato il nipote Giannettino, ucciso nel 1547 in una congiura. Il figlio di Giannettino, Giovanni Andrea I, partecipò alla battaglia di Lepanto. E il figlio di questi, Giovanni Andrea II sposò nel 1627 Maria Polissena Landi, figlia ed erede di Federico Landi principe di Valdetaro e signore di Bardi e Compiano. Grazie alle nozze, tutti i feudi dei Landi passarono ai Doria.
Il trasferimento dei Doria a Roma avvenne in occasione di un altro matrimonio: quello di Giovanni Andrea III con l’ultima discendente dei Pamphilj. A cui seguì il matrimonio di Andrea IV con Leopoldina di Savoia Carignano. Altri cardinali andarono ad arricchire il prestigio dei Doria Landi Pamphilj nel XVIII secolo: Antonio Maria, Giuseppe Maria e Giorgio. Fino a Filippo Andrea VI, primo sindaco di Roma dal 10 giugno 1944 al 10 dicembre 1946. La famiglia continua oggi con gli eredi della principessa Orietta e di Frank Pogson Doria Pamphilj.
Il palazzo. Il primo nucleo urbano, da cui nascerà palazzo Doria Pamphilj, risale alla metà del ‘400. Passato di mano a varie famiglie, l’edificio sorse tra il 1505 e il 1507 sulla via Lata (attuale via del Corso) con un cortile rettangolare a colonne, sopraelevato del piano superiore soltanto sul lato orientale, con appartamenti su due piani sui lati meridionale e orientale e due giardini. Il cortile è derivato da quello della Cancelleria ed è stato attribuito a Bramante. Mentre l’edificio era in costruzione, papa Giulio II si recò a visitare la fabbrica e convinse il proprietario di allora, il cardinale Giovanni Fazio Santorio a donarlo a suo nipote Francesco Maria I della Rovere duca di Urbino. E il cardinale ubbidì, morendo di lì a poco, di crepacuore. Ai Della Rovere si deve il completamento del portico, trasformato nel XVIII secolo in scuderia, e poi inglobato nell’ala che dà su via della Gatta.
Nel 1601, il palazzo fu acquistato dal cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. Gli Aldobrandini lavorarono ininterrottamente nell’edificio dal 1601 al1647, costruendo le due ali che prospettano sui lati lunghi del cortile dei melangoli. Su queste si alzano due altane con ricca decorazione: quella meridionale è del periodo Aldobrandini e reca gli elementi araldici del loro stemma; l’altra fu aggiunta sessant’anni dopo ad opera di Camillo Pamphilj e di Olimpia Aldobrandini.
I lavori del cardinal Pietro Aldobrandini furono continuati dal nipote, il cardinale Ippolito nelle ali nord e sud del giardino dei melangoli e nella decorazione dei saloni dell’ala meridionale.
Nel 1644 il cardinale Giovanni Battista Pamphilj ascese al soglio di Pietro col nome di Innocenzo X. Fu quello il momento in cui salì sul firmamento romano l’astro dei Pamphilj; il nipote del pappa Camillo sposò nel 1647 Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano che gli recò in dote il palazzo del Corso. Ma solo dopo la morte del pontefice i Pamphilj poterono lasciare il palazzo di famiglia a Piazza Navona e dedicarsi all’ampliamento di quello del Corso. Di tale ampliamento fu incaricato Antonio del Pozzo. L’edificio era stato eretto nel ‘500 dal cardinal Antonio Maria Salviati sulla Piazza del Collegio Romano e ne occupava gran parte togliendo luce al Collegio dei Gesuiti con la sua mole che prospettava verso via Piè di Marmo. Nel 1659 Alessandro VII ne decise l’acquisto dal duca Giacomo Salviati. Fu così creata l’attuale piazza del Collegio Romano e i Pamphilj poterono costruire l’ala del loro palazzo che vi prospetta. I lavori compresero la costruzione dell’ala dietro la chiesa di Santa Maria in via Lata; Antonio del Grande, oltre a curare in ogni particolare l’architettura degli esterni, progettò lo scenografico vestibolo del palazzo e la scala in angolo con via della Gatta. La costruzione durò dal 1659 al 1663. Dopo la morte del principe Camillo, proseguì la decorazione degli interni del palazzo ad opera dei figli. Ad Antonio del Grande successe nella direzione dei lavori Giovanni Pietro Moraldi e Carlo Fontana. Quest’ultimo rimarrà architetto della famiglia fino al 1714.
Intanto, il palazzo era rimasto fin allora con una facciata inadeguata su via del Corso; fu il principe Camillo junior, figlio di Giovanni Battista a prendere l’iniziativa della costruzione di una nuova facciata: l’architetto Gabriele Valvassori, ancora alle prime armi, la eseguì tra il 1731 e il 1734.
La Galleria Doria Pamphilj. È una grande collezione privata esposta nei quattro bracci affacciati sul cortile interno con le sue splendide arcate rinascimentali, così come nelle due grandi sale adiacenti, la Sala Aldobrandini e quella dei Primitivi, si concentrano la maggior parte dei capolavori della collezione privata della famiglia.
Costruita sul nucleo originario datato ai primi del Cinquecento la galleria è anche la parte di Palazzo Doria Pamphilj che nasconde la storia più antica e interessante, una storia fatta di nobiltà, politica e unioni tra alcune delle più grandi famiglie nobiliari italiane. Come tutto il palazzo, la Galleria è quindi il risultato di evoluzioni, annessioni e allargamenti che si sono succeduti per ben 500 anni per giungere a presentarsi oggi ai nostri occhi in tutto il suo secolare splendore. L’ampia raccolta di pitture, arredi e statue che comprendono lavori di Jacopo Tintoretto, Tiziano, Raffaello Sanzio, Correggio, Caravaggio, Guercino, Gian Lorenzo Bernini, Parmigianino, Velázquez e molti altri artisti importanti. Composta da sale e gallerie splendidamente decorate, la galleria ospita da secoli vari capolavori: la serie delle Lunette Aldobrandini, di Annibale Carracci, una Lotta di Putti di Guido Reni, quasi una rappresentazione della lotta di classe fra amorini abbronzati (plebei) e pallidi (nobili), eseguita per ringraziare il marchese Facchinetti, dopo che l’ artista aveva rischiato un lungo soggiorno in prigione a causa di una lite con l’ Ambasciatore di Spagna. Il Camerino contiene il capolavoro della raccolta, il Ritratto di Innocenzo X, tela di Velázquez, la cui esecuzione s’inserì nella politica internazionale del tempo, segnata dal riavvicinamento del papato alla Spagna. L’immagine potentissima ritrae con assoluto realismo l’aspetto e l’animo del pontefice. Quell’impresa fu subito famosa a Roma, dove però non produsse influenze fra gli artisti locali, come evidenzia il confronto con uno dei due busti ritratto dello stesso papa, eseguito in marmo da Gian Lorenzo Bernini e ospitato nello stesso ambiente. Nella bellissima Galleria degli Specchi sono affissi grandi specchi, i quali erano allora incomparabilmente più costosi di qualsiasi dipinto o scultura. Vennero fatti venire da Venezia, con cura e impegno economico importanti anche per il delicato trasporto. Furono poco dopo collocate qui le molte statue, in gran parte archeologiche, e il grande vaso in porfido egiziano, fra i maggiori esempi del genere, realizzato poco oltre metà Seicento.