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  1. Roma Pop ’60 – ’67

    Negli anni Cinquanta del novecento Roma è una città in grande fermento. Nel bene e nel male. Ovunque si ricostruisce o si costruisce, Cinecittà è il luogo dove alcune fantasie possono prendere corpo, ci si può nuovamente confrontare, elaborare idee. Tutto sembra possibile.

    Roma, 1960 – Pier Paolo Pasolini con Italo Calvino – Caffe’ Rosati

    Il peggio, la guerra, gli sventramenti sono alle spalle, la società italiana si avvia a quello che verrà chiamato il boom economico.
    C’è una gran voglia di vita, sembra urgente raccontare e raccontarsi, confrontarsi ed anche litigare, mostrarsi al mondo. Alcuni dei luoghi della città divengono, più o meno a caso, quale punto d‘incontro da artisti ed intellettuali. Nasce ora, ad esempio, il mito di Via Veneto con i relativi paparazzi. Farsi vedere in Via Veneto, magari colti da uno scatto fotografico, vuol dire certamente la consacrazione alla notorietà. Via Veneto resta ancora oggi nell’immaginario comune, non solo italiano, come il luogo de La Bella Vita per eccellenza.
    Ma quasi in contrapposizione con via Veneto c’è la zona di Piazza del Popolo a farla da maggiore. Qui tra i bar e i ristoranti a costo contenuto è possibile davvero incontrare una cospicua fetta del mondo intellettuale italiano, scrittori, poeti, pittori, scultori, impresari, critici d’arte che alla fine segneranno profondamente un’epoca.
    Ciascun gruppo aveva il suo luogo preferito d’incontro, ma facilmente i gruppi sciamavano da un locale all’altro mescolandosi e confrontandosi variamente dando origine ad insolite associazioni.
    Tra questi luoghi – incontro c’è il caffè Rosati in Piazza del Popolo, che diviene quasi un polo alternativo ai locali di Via Veneto. Frequentatori assidui del bar sono Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Italo Calvino, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Furio Colombo, ma anche uomini politici come Sandro Pertini.

    Edoardo Sanguineti, Umberto Eco e Furio Colombo - Caffè Rosati

    Edoardo Sanguineti, Umberto Eco e Furio Colombo – Caffè Rosati

    Ma la Piazza del Popolo e il caffè Rosati divengono, tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta, luogo di ritrovo di giovani artisti, piuttosto squattrinati, che spesso abitavano nelle zone periferiche della città, come Cinecittà. Erano pittori e scultori, ma tra di loro anche poeti, che dopo essersi ritrovati in piazza si sedevano al caffè Rosati per discutere. Da qui le interminabili discussioni proseguivano alla galleria d’arte “La Tartaruga” fondata da Plinio de Martiis in Via del Babuino. Alla galleria, che era un punto di riferimento in città per tutto quello che atteneva l’arte contemporanea d’oltralpe e d’oltreoceano, i giovani artisti avevano l’occasione di confrontarsi con artisti stranieri e con critici d’arte. Successivamente (negli anni sessanta) anche la galleria si trasferì in Piazza del Popolo.
    Per questa consuetudine di ritrovarsi in piazza del Popolo il gruppo di giovani pittori fu indicato con il nome di Scuola di Piazza del Popolo, usando una definizione sostanzialmente poco corretta. I giovani artisti Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano, Renato Mambor, Sergio Lombardo e Giosetta Fioroni (unica donna del gruppo) non diedero mai vita infatti ad una scuola di pittura o di arte, ma ebbero, soprattutto nella fase iniziale, un confronto serrato su quello che potesse essere la pittura in un’Italia che si riprendeva dalla guerra si avviava verso il boom economico.
    Un gruppo di artisti diversissimi, liquidati rapidamente come artisti pop, il pop si affermava contemporaneamente in America con Warhol e non solo, ma che con il pop americano avevano però poco a che fare.

    Sua Maestà La Regina - Mimmo Rotella - 1962

    Sua Maestà La Regina – Mimmo Rotella – 1962

    Mancavano i riferimenti consumistici tipici della pop art (barattoli di zuppa o simili) da ripetere in maniera seriale, perché erano proprio gli italiani nelle loro case a consumare poco cibo in scatola e mancava il mercato a cui quella serialità era di fatto destinata.
    Gli artisti italiani della Scuola di Piazza del Popolo si muovono a lungo, in una sorta di limbo che sta tra arte ed artigianato, creando dei pezzi unici che non hanno in quel momento alcun mercato, ma che non sono forse già più sperimentazione.
    D’altra parte i giovani pittori hanno da misurarsi con tutto quello, e non è poco, che li ha preceduti: il liberty come per la Fioroni, il futurismo come per Mario Schifano, la metafisica, ma anche Michelangelo come per Tano Festa, il rinascimento come per Giosetta Fioroni.
    Di tutto questo gli artisti, almeno alcuni sentiranno la necessità di fare tabula rasa, così molti di loro (Mambor, Tano Festa, Uncini, Schifano) produrranno le serie dei monocromi sperimentando la combinazione tra la pittura acrilica (a volte anche in bomboletta spray) e i supporti e rivelando come le superfici in questa interazione posso cambiare quasi dematerializzandosi.
    D’altra parte i supporti sono i più disparati, la tela certo, ma anche lastre di metallo o cemento. Tutto può essere utilizzato, la lezione di Burri è stata compresa a pieno.
    E quindi via all’arte povera di Ceroli alle foreste di plexiglas di Gino Marotta, ai lunghi bachi da seta fatti di scovolini per la polvere di Pino Pascali.
    E dall’oggetto quotidiano alla vita quotidiana il passo in definitiva è breve: Ecco quini la serie di opere di Sergio Lombardo intitolate “Gesti Tipici”, che nascevano proprio da immagini prese dai quotidiani dell’epoca. Inizialmente Lombardo utilizzò solo immagini di personaggi famosi come De Gaulle, Kennedy o Mao Tse Tung, aiutandoli ad entrare nell’immaginario degli Italiani, ma successivamente anche i gesti quotidiani della gente comune fu oggetto della sua indagine.
    L’esperienza dei “Gesti tipici” durerà solo pochi anni, dal 1961 al 1964. Inizialmente saranno opere in bianco e nero e successivamente a colori.

    Cubi Mobili - Renato Mambor - 1966

    Cubi Mobili – Renato Mambor – 1966

    Qualsiasi materiale può essere quindi utilizzato per fare arte, poiché l’arte, come già ha mostrato Burri, è in qualche misura contenuta già dentro gli oggetti. Mimmo Rotella interpreta questo aspetto dedicando una gran parte della sua arte ai collage. Volti, situazioni frammenti della città prendono corpo dai brandelli dei manifesti che si ricompongono sulla tela.
    L’altro protagonista è senza dubbio la città e i suoi simboli da comporre e da scomporre in un gioco di cubi come per Renato Mambor o nelle fotografie di Luca Maria Patella.
    E come trascurare la guerra che più di tutte è forse il simbolo del novecento? La guerra del Vietnam e le armate americane che in Italia erano un passato recentissimo si affacciano nell’arte di questi autori che hanno un occhio partecipe alla realtà.
    La visita alla mostra Roma Pop ’60 – ’67 è l’occasione per vedere raccolti in un unico luogo artisti alla fin fine diversissimi ma che hanno esplorato rimandandosi continuamente il testimone uno dei momenti più interessanti dell’arte italiana del novecento.

  2. L’antica spiaggia e la Sinagoga di Ostia

    Ostia Antica è tra le città romane portate alla luce una delle più enigmatiche. Alcuni degli enigmi riguardano la sua fondazione, che secondo la tradizione risalirebbe ad Anco Marzio.

    Ricostruzione della città di Ostia in rapporto al Tevere e al mare

    Ricostruzione della città di Ostia in rapporto al Tevere e al mare

    La narrazione della fondazione mitica della città di Roma vuole infatti che Enea, una volta sbarcato presso la foce del Tevere, vi abbia fondato, a distanza di 4 stadi (circa 740 metri), una città a cui avrebbe dato il nome di Troia. Anco Marzio per celebrare questo sbarco avrebbe a sua volta fondato, nei pressi della foce sulla riva sinistra, la città di Albula nel 633 avanti Cristo e avrebbe costruito la relativa strada che la collegava a Roma. Strada che oggi indichiamo con il nome di Via Ostiense, e che è il risultato della fusione di alcuni antichi tracciati percorsi già dall’uomo primitivo nell’età del bronzo per raggiungere la linea di costa e approvvigionarsi di sale.
    In zona ci sarebbero state delle saline già in epoca antichissima. La produzione e il commercio del sale in questa zona sarebbero poi cadute sotto il controllo degli Etruschi di Veio sulla riva destra, e dei Romani sulla riva sinistra, attraverso la città di Albula fondata da Anco Marzio.
    Il nome della città che Anco Marzio avrebbe fondato d’altra parte deriva direttamente dall’antico nome del Tevere: Albula appunto.
    L’origine del nome non è chiaro. Probabilmente è legato al colore chiaro delle acque del fiume oppure l’etimologia sarebbe da ritrovare nelle lingue parlate dalle antiche popolazioni indoeuropee, le quali indicavano con la parola “al” l’acqua.
    Cicerone, che narra questa fondazione della città di Ostia ad opera di Anco Marzio, ci informa che l’etimologia del nome Ostia sarebbe ostium, parola latina che indica la foce del Tevere, ma gli archeologi non hanno trovato però alcuna traccia di questa Ostia del VI secolo avanti Cristo ed hanno ipotizzato che la città fondata da Anco Marzio fosse più distante da Ostia Antica, e che forse sia da identificare con la città di Ficana effettivamente conquistata da Anco Marzio.
    Ficana oggi si trova vicino ad Acilia a circa 20 km dall’attuale foce del Tevere all’Idroscalo, ma al momento della sua fondazione e vita, Ficana di fatto si trovava su un’altura (oggi ridotta a poco più di una collinetta) in posizione dominante sulla foce del Tevere. Proprio la sua posizione avrebbe portato alla conquista da parte dei Romani, all’epoca del regno di Anco Marzio, della città, abitata già in epoca del bronzo, e in quel momento in mano ai Prisci Latini.

    Trionfo di Furio Camillo - Francesco Salviati

    Trionfo di Furio Camillo – Francesco Salviati

    La continua azione di rimodellamento del Tevere, con l’avanzamento della linea di costa ed altri fenomeni correlati, avrebbero indotto più tardi la fondazione di una nuova città che coinciderebbe oggi con Ostia Antica. Qui i primi reperti che attestano la presenza di un vero e proprio insediamento ostiense nella posizione attuale, risalgono dalla fine del IV secolo avanti Cristo, periodo in cui si colloca la caduta di Veio (396 a.C.) per mano di Furio Camillo.
    Veio era una cittadina etrusca ricchissima che subito costituì un nemico da abbattere per le tribù latine dei Sette Colli che avevano fondato la città di Roma, perché in grado di controllare i traffici sulla riva destra del Tevere e il mercato del sale quel versante.
    L’interesse di Roma in questa zona costiera era legato quindi alla presenza delle saline e ai traffici reali e potenziali che si sarebbero potuti svolgere alla foce e lungo il Tevere. Per questo motivo il piccolo insediamento ostiense fu trasformato poco dopo la caduta di Veio in vero e proprio castrum, dotato di fortificazioni e di guardia militare, per difendere i nuovi territori conquistati e soprattutto le saline e i traffici.
    Un altro dei motivi che fanno di Ostia Antica una città enigmatica, per altro solo parzialmente portata alla luce, è che si tratta di una città che lega da subito il suo destino alla capacità e alla forza modellante del fiume Tevere e del mare.
    Queste due entità naturali avranno sul centro abitato effetti enormi, inducendo o almeno aiutando la trasformazione del piccolo castrum legato alle salina in città vivacemente commerciale, ricca, densamente abitata e successivamente in città abbandonata.
    Da luogo ameno, così come molte fonti letterarie ce la descrivono, a luogo oggetto di scorrerie abbandonato al suo lento declino dagli abitanti che, in pochi, si rifugiarono a vivere protetti da alte mura innalzate all’interno rispetto alla linea di costa. Gregoriopoli, protetta dall’ansa del Tevere sarà la roccaforte medievale da cui poi trarranno origine il Borgo e il Castello di Giulio II.

    Terme di Porta Marina - Ostia Antica

    Terme di Porta Marina – Ostia Antica

    Ma Ostia si contraddistingue, come ancora oggi le città costiere e portuali, per la sua multietnicità, attestata dalla presenza di antichissimi luoghi di culto provenienti da civiltà anche molto lontane. Qui genti provenienti da tutto il mondo conosciuto, che intrattenevano rapporti commerciali con Roma, trovavano conveniente fermarsi e fondare – questa è una delle ipotesi – vere e proprie comunità stabili, uffici di rappresentanza commerciali che avevano anche il carattere di ambascerie.
    Tra queste una delle comunità fu quella degli Ebrei. Essa era tanto numerosa da costruire in prossimità della spiaggia e lungo la via Severiana, la Sinagoga.
    Portata alla luce per la prima volta nel 1961, essa risale, nella sua parte più antica, al I secolo avanti Cristo ed è per questo considerata, per antichità, la seconda sinagoga d’Europa, essendo preceduta solo da quella di Delo che oggi è datata tra il 150 e il 128 avanti Cristo.
    La presenza della comunità ebraica ad Ostia sarebbe quindi antichissima e precederebbe anche le prime testimonianze ebraiche a Roma che risalgono al II secolo dopo Cristo.
    La sinagoga oggi è uno dei monumenti di Ostia Antica che si ergono con forza al di fuori di Porta Marina, insieme alle Terme e la cui presenza testimonia l’esistenza in questa parte della città di un vivace ed interessante insediamento urbano, in diretta continuità con quello che si iniziava subito al di là delle mura.

    Sinagoga di Ostia Antica

    Sinagoga di Ostia Antica

    Un insediamento urbano poco studiato, e che oggi si mantiene al di fuori dei percorsi più classici all’interno di Ostia Antica, ma che da sempre ha fatto i conti con l’attività modellante del mare e del fiume, come forse meglio testimonia la domus da cui proviene il famoso ambiente in opus sectile oggi esposto al Museo dell’Alto Medioevo.
    Il percorso che seguiremo nel corso della passeggiata parte dal Foro, il cuore di ogni città romana, si dirige verso la porta Marina e raggiunge la sinagoga indagando alcuni degli edifici più interessanti posti sul percorso e cercando di descrivere come la storia della città si adattò al modificarsi della linea di costa e all’azione non sempre benevola del Tevere.

  3. Racconti

    Alle Terme di Caracalla

    AA.VV.

    Per la loro mole, per il fatto di sorgere pressoché isolate in un luogo caratterizzato da folta vegetazione e legato ai miti delle Ninfe e del Bosco magico in cui esse vivevano, le Terme di Caracalla sono state la meta di molti viaggiatori italiani e stranieri tra l’Ottocento e il Novecento.Delle Terme essi hanno scritto nei diari o da esse hanno tratto ispirazione per i versi o le prose.
    Vi proponiamo qui qualche pagina di questi scritti.

    “…Nessun luogo desolato fu mai né più sublime, né più bello. Il muro perpendicolare è un seguito di precipizi ricoperti da alberi in fiore.

    Shelley mentre scrive il "Prometeo Liberato" alle Terme di caracalla - Joseph Severn

    Shelley mentre scrive il “Prometeo Liberato” alle Terme di Caracalla – Joseph Severn

    A ogni posto pinnacoli aerei di pietre si raggruppano in combinazioni del più strano effetto; quel muro sembra proprio un altro colle boschivo. [….]  Questo poema (il “Prometeo liberato”) fu scritto per la maggior parte sulle scoscese rovine delle Terme di Caracalla, tra le floride radure e le macchie di odorosi alberi in fiore che formano sinuosi labirinti sulle loro immense spianate e sugli archi vertiginosi sospesi nell’aria. Il luminoso cielo azzurro di Roma, e l’effetto della vigorosa primavera, che ridestandosi in quel clima divino impregna di nuova vita gli spiriti fino a inebriarli, ispirarono questo dramma…”.
    Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822)
    continua…

  4. Alle terme di Caracalla

    Luogo carico di leggende, quello della Valle delle Camene, sottostante il Celio.

    Terme di Caracalla - visione d'insieme

    Terme di Caracalla – visione d’insieme

    Frequentato dalle Ninfe, le mitiche abitatrici delle fresche sorgenti che sgorgavano dalle sotterranee vene del Colle. Proprio qui sorgeva la Porta Capena delle mura repubblicane, dalla quale usciva la via Appia. L’attuale ampia strada fra i pini mediterranei intitolata “Viale delle Terme di Caracalla” corrisponde al percorso urbano della via Appia in epoca imperiale, quando le nuove mura sorsero più a sud.
    Il nome di “Passeggiata Archeologica” non è registrato dalla toponomastica ufficiale, ma resta come toponimo non scritto nella storia culturale di Roma dalla fine dell’Ottocento in poi. Fu infatti all’insegna di questa espressione che venne combattuta un’aspra battaglia da parte di alcuni romanisti, preoccupati che l’espansione della capitale potesse travolgere alcune fra le più importanti vestigia del passato, fino a quel momento custodite dall’abbandono secolare in cui era caduta questa parte di Roma. Protagonisti dell’insistente campagna che martellò per decenni l’opinione pubblica e la classe politica furono gli accademici e uomini politici Ruggero Bonghi e Guido Baccelli.
    Una prima legge fu approvata dal Parlamento il 17 luglio 1887. Ma esiguità di fondi, sabotaggi più o meno palesi da parte degli interessati costituiti, difficoltà di ogni genere costrinsero i lavori a tanta lentezza che di leggi ne occorsero almeno cinque prima che, dopo un deciso riavvio delle opere nel 1907 si potesse arrivare alla conclusione dell’impresa nel 1914.

    Terme di Caracalla - ricostruzione

    Terme di Caracalla – ricostruzione

    Anche se è stato osservato che la pur bella Passeggiata non è molto archeologica perché gli scavi sono stati limitati e si è preferito creare un grande parco in mezzo a monumenti di singolare importanza, l’impresa resta pur sempre una delle più importanti della “terza Roma” e ha costituito un grande esempio per l’attuazione del Parco Archeologico dell’Appia Antica che costituisce la prosecuzione della Passeggiata Archeologica.
    Da ricordare che l’idea di un Jarden du Capitol era stata abbozzata fin dall’epoca della dominazione napoleonica a Roma.
    E dunque, la valle che scende dal piccolo Aventino è dominata dall’imponente complesso di ruderi nei quali si possono facilmente individuare le diverse parti delle terme che, su modello di quelle traianee, furono costruite per volere di Caracalla a partire dal 212 d.C., come mostrano i bolli laterizi. In quello stesso anno fu creato un ramo speciale dell’Acqua Marcia, l’Aqua Antoniniana Iovia, che oltrepassava l’Appia sul cosiddetto Arco di Druso, poco prima della Porta San Sebastiano (questo, prima della costruzione della porta, costituiva in un certo modo l’ingresso monumentale della città). I lavori dovettero prolungarsi fino al 216 d.C., quando avvenne la dedica. Ma vi si lavorò fino ad Alessandro Severo e vi si fecero restauri fino a Teodorico.

    Toro Farnese - Museo Archeologico di Napoli

    Toro Farnese – Museo Archeologico di Napoli

    Le Terme di Caracalla furono create soprattutto al servizio della cosmopolita popolazione del Porto Fluviale e furono estremamente lussuose e arricchite da opere d’arte, generalmente di dimensioni gigantesche. Riemersero soprattutto durante la campagna di scavo condotta nel XVIII secolo. Provengono da queste terme grandi vasche di granito che si trovano a piazza Farnese; i reperti più significativi sono quelli che hanno finito per prendere il nome dei Farnese stessi (il Toro Farnese, la Flora Farnese e l’Ercole Farnese che si trovano al Museo Archeologico di Napoli), oltre al Mosaico degli Atleti, scoperto nel 1824, che si trova ai Musei Vaticani.
    Il complesso termale, le cui dimensioni furono superate solamente dalle Terme di Diocleziano, misuravano 337 metri per 328 (ma la curva delle esedre si allargava oltre i 400 metri). Il corpo centrale era di 220 metri per 114, che raggiungevano i 140 con la maggiore ampiezza della sala del calidarium.
    Tale ambiente, assai decorato e ricco di opere d’arte, offriva, oltre ai bagni veri e propri, le solite possibilità di ginnastica, di lettura nelle biblioteche, d’intrattenimento nei portici perimetrali e lo svolgimento di gare nello stadio che si trovava nel fondo, le cui strutture nascondevano alla vista l’insieme delle cisterne d’acqua. L’acqua era fornita da un’apposita diramazione dell’Acquedotto Antoniniano che superava la via Appia sull’Arco di Druso. I servizi, che si avvalevano di una rete sotterranea di grandi ambienti e di strade percorribili con carri, erano per 1.600 persone. Negli stessi sotterranei, poco dopo la costruzione delle terme, fu ricavato un Mitreo di cui ancora si osservano le strutture caratteristiche.

    Flora Farnese - Museo Archeologico di Napoli

    Flora Farnese – Museo Archeologico di Napoli

    Le terme restarono in totale abbandono dopo che Vitige ebbe tagliato i condotti d’acqua (VI secolo); tuttavia, per quanto spogliate e squassate, si rivelarono pressoché indistruttibili, giungendo ancora maestose fino a quando la creazione della Passeggiata Archeologica le liberò dagli acquitrini dei dintorni e dalla febbre malarica lasciandole immerse in zone verdi.
    Di fronte a tanta solennità è il caso di ricordare l’atto di grande rilievo storico che si lega allo stesso nome di Antonino Caracalla: la concessione della cittadinanza romana a tutti i sudditi dell’impero. Nel marzo del 212 d.C. la promulgazione della Costitutio antoniniana concluse il lungo percorso storico di unificazione del mondo romano ed europeo, condotto attraverso la graduale concessione dei diritti del cittadino romano alle diverse città e alle diverse genti. Cento anni più tardi, con la pace concessale da Costantino nel 313, la Chiesa di Roma avrebbe avviato un nuovo processo storico per l’unificazione religiosa del mondo romano. Si sarebbe parlato di una civitas, una fides et commune jus.