prima pagina
-
EUR: Ciak si gira!
28 Maggio 2016 by Ornella Massa
-
Passeggiando per colle Oppio: la basilica di San Pietro in Vincoli, le Sette Sale e le terme di Traiano
27 Maggio 2016 by Ornella Massa
Il colle Oppio che, insieme al Cispio e al Fagutale, è una delle tre alture che formano l’Esquilino, può essere considerato una sorta di giardino archeologico.
Ai tempi di Augusto la zona faceva parte della Regio III Isis et Serapis, così chiamata per la presenza di un tempio dedicato alle due divinità egizie, i cui resti sono ancora visibili in via Labicana. Qui, per buona parte, si estendevano la gigantesca Domus Aurea neroniana e le Terme di Traiano e di Tito. E sempre qui, in epoca cristiana, si stabilirono il titulus Eudoxiae e il titulus Equitii, su cui sarebbero sorte le basiliche di San Pietro in Vincoli e di San Martino ai Monti.
Per dare una degna cornice alle superbe rovine delle Terme di Traiano e di Tito, nel 1938 venne realizzato il Parco di Colle Oppio, arricchito all’epoca di portali d’accesso in travertino, fontane e opere di giardinaggio comprendenti 2.500 piante di rose e bellissimi pini dalle grandi chiome che andarono ad accrescere il fascino dell’ambiente, creando un ideale contrappunto alla visione dei ruderi superstiti. Oggi, purtroppo, il parco appare in uno stato di trascuratezza che però non compromette la bellezza di questo straordinario angolo di Roma.L’itinerario parte da San Pietro in Vincoli. Il grande piazzale solitario corrisponde alla cima del Fagutale, la vetta occidentale dell’Esquilino. Qui la moglie dell’imperatore Valentiniano III, Eudossia, fece costruire sopra precedenti edifici una chiesa per conservare quelle che la tradizione indica come le catene di san Pietro prigioniero a Gerusalemme. Consacrata nel 439, la chiesa, che porta anche il titolo di eudossiana, fu più volte restaurata e rifatta. Importanti lavori vi condusse il nipote di Sisto IV, il cardinale Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II. Infine, nei primi del Settecento la chiesa subì una profonda modifica ad opera di Francesco Fontana.
Dall’alto di un’ampia gradinata, domina la piazza, l’elegante portico a pilastri ottagonali, attribuito a Baccio Pontelli o, forse con maggior ragione, a Meo del Caprino: i capitelli recano l’insegna dei Della Rovere. Attraverso un bel portale marmoreo si entra nel vasto interno a tre navate, delle quali la centrale sembra ancora più ampia a causa del soffitto ligneo ribassato che racchiude il grande dipinto del Miracolo delle Catene di G.B. Parodi (1706).
Splendide sono le venti robuste colonne che sui due lati dividono le navate. L’arco trionfale è sostenuto da due antiche colonne di granito; qui ha ampiamente operato nel 1872 Virginio Vespignani, al quale si deve l’altar maggiore con baldacchino e la sottostante confessione in cui, attraverso due sportelli aperti, si vede l’urna dorata che contiene le catene di San Pietro.
La chiesa ha il suo punto focale nel michelangiolesco Mausoleo di Giulio II. Nonostante esso sia solamente la deludente attuazione del grandioso progetto voluto dal combattivo pontefice, e che sia persino privo delle sue spoglie sepolte anonimamente a San Pietro, la macchina scenica realizzata da un contrastatissimo Michelangelo emana un potere suggestivo enorme.
D’altro canto la sola gigantesca statua del Mosè basta a riscattare tutta la triste vicenda della tomba rimasta incompiuta: l’opera è una delle realizzazioni fondamentali di tutta la storia artistica, uno dei sommi capolavori di sempre e sarebbe sufficiente anche da sola ad assicurare gloria a Michelangelo.Attraverso una porta a sinistra del monumento si entra nell’antica sagrestia, riccamente adorna di marmi policromi e di dipinti del Domenichino e della scuola degli Zuccari.
Uscendo dalla basilica ci s’incammina lungo le Sette Sale, l’antica via che si snodava avvolgendo tutta la zona delle terme di Traiano. Il nome deriva da quello che appariva un tempo come un incomprensibile rudere e che era in realtà costituito da sette giganteschi ambienti, gli unici allora visibili dei nove che componevano il deposito d’acqua delle antiche terme. La parte superstite della strada serpeggia fra erte muraglie di antichi conventi e muriccioli che chiudono antiche aree verdi fino a sboccare nell’affascinante spettacolo delle terme di Traiano.
Della colossale costruzione realizzata da Apollodoro in appena cinque anni e inaugurata dall’imperatore Traiano nel 110 d.C. rimangono soltanto alcune esedre la cui imponenza testimonia la grandiosità dell’impianto, che introdusse un nuovo concetto di pubblico servizio polivalente per tutte le esigenze del tempo libero. Le terme erano tecnicamente molto avanzate, come dimostrano il sistema di tubazioni idriche che è stato rinvenuto. La straordinaria ricchezza di opere d’arte e ornamenti che caratterizzavano l’impianto termale, la si può dedurre dalla quantità di statue che vi sono state rinvenute e dai cornicioni e dalle colonne che nel 1594 vennero portati alla Chiesa del Gesù.Ma non tutte le emergenze archeologiche che caratterizzano il grande parco del Colle Oppio sono attribuibili alle rovine delle terme. Alcuni ruderi perimetrali appartengono infatti alla precedente Domus Aurea, salvatisi perché in posizione tale da non richiederne l’interramento, sorte subita invece dalla maggior parte dell’edificio, interramento sul quale venne ricavato il terrazzamento occorrente alle nuove costruzioni.
-
Roma massonica, ovvero la “città degli altri”
22 Maggio 2016 by Ornella Massa
Roma, non basta una vita titolava il grandissimo cultore di romanità Silvio Negro un suo libro-gioiello del 1962, appena ripubblicato dalla casa editrice Neri Pozza.
Incredibili sono le sorprese che l’Urbe riserva anche a chi crede di conoscerla. Demolizioni, allargamenti, ripuliture aiutano moltissimo perché rompono, con il richiamo della novità, l’abitudine dell’occhio. Allora si comincia a capire che cosa rappresenti questa città nella storia del mondo, allora la continuità della sua storia e la grandezza e unicità del suo destino appaiono evidenti: c’è qualcosa a Roma che supera le generazioni e i secoli, li plasma e li ricrea secondo il suo genio, ed è veramente intangibile perché al di sopra della comune ragione degli uomini.
Allora, accanto alle meraviglie classiche e cristiane, ecco che si mimetizzano altre storie, altri miti, altre sensibilità. Insomma, c’è anche la Roma “degli altri”. La Roma massonica, per esempio. Rappresentata da aspetti e luoghi poco conosciuti che compongono, pietra su pietra, un grande edificio di significato occulto e di messaggi sapienziali. Una Roma esaltata e propagandata soprattutto dopo l’avvento dell’Unità d’Italia e di una lunga serie di governi fortemente anticlericali.
La visita che proponiamo è un viaggio alla scoperta del “non svelato”, del genius loci iniziatico e massonico di cui è intessuta la storia della città. L’Urbe, come già sottolineato, è una città che non ti aspetti. A cominciare dal suo stesso nome.L’anagramma di Roma è Amor, in cui l’alfa privativo evoca la “non morte”. Attraverso un labirinto di percorsi simbolici che si snoda tra le piazze, palazzi e chiese della Città Eterna, ricca di suggestioni magiche ed arcane, impareremo a riconoscere i messaggi esoterici che si nascondono dietro un’opera d’arte. Questo sarà lo scopo della visita guidata che ci condurrà alla scoperta delle radici della massoneria operativa e speculativa celate tra le opere di molti artisti noti del ‘600 romano. Simboli esoterici e misteriosi guideranno i nostri passi fino a svelare gli ideali massonici che accompagnarono gli eroi del Risorgimento italiano e i primi governi dell’Italia unita. Itinerario: dai resti dell’Iseo Campense a Campo dei Fiori attraversando i rioni Pigna, Sant’ Eustachio, Parione e Regola.
-
La Suburra, miseria e nobiltà
8 Maggio 2016 by Ornella Massa
Il rione Monti brilla nel ventre topografico della città, come il suo centro perfetto, celebre da sempre, come recita una canzone popolare, per le “arubbacori”, le bellezze monticiane in eterna lite con le trasteverine.
Il luogo, sinonimo di Suburra, trascina inevitabilmente il ricordo di delitti, di zuffe e di bordelli dell’antica Roma (e non solo di quella antica). Dove di notte, Nerone si aggirava travestito da poveraccio per carpire i giudizi del popolino sulle sue gesta. E la famigerata Messalina, sempre al calar del sole, usciva dal palazzo imperiale per provare l’ebrezza della trasgressione.
Plauto, grande autore teatrale latino, definiva le “operatrici del piacere” della Suburra «rifiuti appena adatti a servi coperti di farina, ragazze fameliche dal profumo volgare e appiccicaticcio». Senza dimenticare però che qui era nato Giulio Cesare e il poeta Marziale.
Quartiere di peccatori e delinquenti, la Suburra. Ma anche di santi. Di uno in particolare: Benedetto Giuseppe Labre, un francese che, rifiutato da tutti gli ordini religiosi per la sua salute fragile, giunse a Roma nel marzo del 1777 per servire il suo Signore da mendicante, e condividere quel poco che riceveva in elemosina con i poveri del malfamato quartiere.Labre aveva stabilito la sua dimora in un’arcata del Colosseo e trascorreva tutto il giorno a pregare nelle chiese mariane di Roma. Viste le condizioni di stenti in cui era vissuto, la sua salute peggiorò e il giorno di mercoledì santo del 1783, a soli 35 anni, si sentì male sulle scale della chiesa di Santa Maria ai Monti e fu trasportato nel retrobottega di un macellaio di via dei Serpenti dove nel pomeriggio morì. I suoi funerali videro la presenza di un’enorme folla di ogni stato sociale. Tanta fu l’affluenza di folla che si recò a visitare le sue spoglie a Santa Maria ai Monti, dove il suo corpo fu sepolto. Subito dopo i romani cominciarono a invocarne l’intercessione recandosi in pellegrinaggio presso la sua tomba.
Nei decenni a noi vicini, le percezione della Suburra è profondamente cambiata: i borghesi del centro storico più cool, tra via della Scrofa e via Margutta, fino a quando non hanno dovuto capitolare, ritenevano il quartiere una scelta da “sfigati”. Ora, non è più così, da quando, cioè, le astute agenzie immobiliari hanno fatto lievitare i costi degli appartamenti incastonati nei palazzi medievali e rinascimentali di via Madonna dei Monti o di via Panisperna. Qui, presso l’Istituto di Fisica, dal 1926, operarono Fermi, Pontecorvo, Amaldi, Majorana, Segré e il chimico d’Agostino. O, ancora, via dei Serpenti, dove abitava il grande regista Mario Monicelli.I monticiani ancora lo ricordano, nella sua passeggiata mattutina per il quartiere, vestito come Capannelle, il personaggio dei Soliti Ignoti: cappelletto in testa e sciarpa al collo, con la speranza di non essere riconosciuto.
Qual è la storia della Suburra? Di quest’angolo di Roma, separato, già dall’antichità da un possente muro dalla città dei potenti?
Tutto inizia dall’VIII secolo a.C., nell’ampia e bassa valle a nord-est del Foro Romano, racchiusa tra Quirinale, Viminale ed Esquilino, il colle che ospitava la maggiore necropoli cittadina. Qui si formò una sorta di borgo suburbano della primitiva città situata sul Palatino. Sorsero il quartiere delle Carinae – posto su un’altura, di natura aristocratica e residenziale – e quella della Subura, situata più in basso e spiccatamente popolare. A metà del VI secolo quest’area venne inclusa da Servio Tullio tra le quattro regioni cittadine: Palatina, Collina, Suburana ed Esquilina.
La Subura, il cui nome ha la stessa origine del termine latino suburbium (cioè sottostante alla città, al di fuori dell’urbs, ossia del primitivo stanziamento patrizio sul Palatino), costituiva la parte più popolare di Roma antica: un dedalo di viuzze, botteghe, mercati, catapecchie e insulae, i palazzi a più piani con appartamenti d’affitto. L’area era connessa al Foro tramite l’Argiletum, la via che iniziava nelle vicinanze del tempio di Giano, presso il lato nord-occidentale della Basilica Emilia. Oltre l’Argiletum, corrispondente all’odierna via della Madonna dei Monti, l’area arrivava fino alla Porta Esquilina, oggi nota come Arco di Gallieno.
Nella Subura, abitata da mimi, gladiatori e cortigiane, si trovavano i luoghi più malfamati, le bettole e i vicoli bui teatro di delitti e misfatti.Nella zona vivevano numerosissime le famiglie plebee e si manifestavano tutte le problematiche umane e sociali della capitale dell’impero.
Tuttavia la Subura non era soltanto un luogo di ambigua fama: seppur priva di importanti monumenti o edifici pubblici, era ricca di santuari di devozione popolare, come quello di Giunone Lucina, protettrice delle partorienti. Qui operavano schiavi esperti di scrittura, quasi una sorta di strutture editoriali dell’epoca, che per conto dei loro padroni copiavano e vendevano su ordinazione le più ricercate opere letterarie latine e greche.
Nel periodo tardo-repubblicano e poi in quello imperiale si accentuò la tendenza a ridimensionare notevolmente l’area, che nella parte meridionale, lasciò il posto ai grandi Fori Imperiali e in quella più alta e salubre, a nord-est, vide moltiplicarsi le grandi residenze aristocratiche.
Il Medioevo vide una forte contrazione della sua popolazione, trasferitasi in gran parte nell’area presso la riva del Tevere, e tuttavia la zona del Rione Monti, perché era posta lungo l’itinerario percorso dai pellegrini per raggiungere San Giovanni in Laterano, continuò a vivere e a poter esercitare un ruolo preminente nella politica cittadina.La valorizzazione delle aree collinari nord-orientali operata dai papi del Rinascimento non determinò un incremento della popolazione, che rimase sostanzialmente invariata sino al 1870. Stretta tra i grandi sventramenti e i rinnovamenti di Roma capitale, la zona, come una sorta d’isola nel flusso della storia, riuscì lungamente a conservare la propria secolare impostazione urbanistica e una schietta connotazione popolare. Caratteristica che in gran parte continua a mantenere ancora oggi, sebbene si presenti al tempo stesso come uno dei luoghi più innovativi della città, fervido d’iniziative culturali e ricco di locali, negozi e ristoranti.