prima pagina
-
L’Ara Pacis di Augusto e Fausto Delle Chiaie
25 Ottobre 2015 by Ornella Massa
-
Incontri
Il museo chiude quando l’artista è stanco
di Ornella Massa
by Ornella Massa
Durante la bellissima visita all’Ara Pacis, guidata da Simone Foresta alla scoperta dei suoi luoghi, dei suoi colori e dei suoi significati, c’è stato l’emozionante incontro con Fausto Delle Chiaie. Ornella Massa in questo scritto cerca di riassumere le emozioni e le stimolazioni che dall’incontro con Fausto Delle Chiaie sono emerse.
Appare come una contraddizione di termini o almeno una stranezza, questa affermazione.
Quando mai siamo abituati ad un museo il cui orario di apertura dipende dalla stanchezza dell’artista?
Il museo è luogo istituzionale ed istituzionalizzato, aperture, chiusure, scioperi, mostre, opere in prestito, in restauro, mai esposte. Ma qui è tutto diverso.
Il museo è all’aperto, le opere esposte sono oggetti della quotidianità più quotidiana e dipinti, possono cambiare ogni giorno o di tanto intanto e poi a ben guardare, a saperlo cercare, c’è pure l’artista.
E questa è l’altra grande stranezza di questo museo. Nei musei in effetti si incontrano tanti artisti. Ne incontriamo l’animo, i sentimenti, i pensieri, attraverso la scelta dei soggetti, l’uso dei colori, il rosso di Tiziano, il blu di Mirò o di Van Gogh, oppure la maniera di appoggiare il pennello sulla tavola o sulla tela. Dobbiamo interpretare, scavare, lasciarci coinvolgere, il punto di vista, la prospettiva, ma mai ci è capitato di incontrare l’artista che ci guida al suo museo. -
Lo yarn bombing di Roma Felix
16 Ottobre 2015 by Ornella Massa
Fare associazione vuol dire anche relazionarsi gli uni agli altri condividendo non solo interessi, ma anche momenti.
Roma Felix vuole provare a fare anche questo iniziando con un’azione molto ludica, ma dal forte carattere sociale: lo “yarn bombing”.
Espressione inglese quasi intraducibile in italiano il “bombardamento con il filato” è una forma di street art che riveste gli arredi urbani, ma anche statue e alberi o svolge ruolo di denuncia di situazioni di degrado urbano utilizzando un mezzo poverissimo: coloratissime pezze di lana, realizzate sia ai ferri che all’uncinetto.
Lo yarn bombing è quindi un’attività creativa quando non artistica, divertente e colorata, alla quale ognuno può dare il suo contributo lavorando quel che più gli piace.
A noi di Roma Felix piacerebbe fare dello “yarn bombing”.
Le modalità sono tutte da inventare. Si tratta, infatti, di un progetto in divenire che può prendere molte direzioni diverse a seconda delle situazioni che via via verranno a crearsi, e che soprattutto dipenderà dal numero di persone che aderiranno all’iniziativa.
L’idea infatti è quella di riunirsi periodicamente per lavorare insieme, condividere il tempo, elaborare idee e far crescere l’iniziativa.
Non è necessario saper già lavorare a maglia perché le più esperte insegneranno alle principianti o ai principianti, perché le pezze sono semplicissime da fare costituendo un ottimo allenamento per chi è agli inizi.Avete letto bene. Anche ai principianti, cioè ai signori uomini che volessero misurarsi con lana ferri ed uncinetto. Ce ne sono diversi che già lo fanno trovando il lavoro a maglia un’attività molto rilassante. Quindi se i signori soci volessero cimentarsi…bhe saremmo davvero liete di poterli accogliere.
Magari i primi lavori che realizzeremo non saranno perfetti, ma una sciarpa di lana può fare comodo a chi vive in strada ora che si va verso l’inverno, o con i diversi riquadri di lana si può fare una coperta che può essere donata ad Emergency o al Bambin Gesù, e che daranno calore a chi ne avrà bisogno.
Insomma ogni nostra azione ludica potrà avere una ricaduta sociale.
Quindi se volente imparare o volete riprendere dopo anni di inattività, o volete imparate ad usare i ferri circolari, o siete esperte e lo yarn bombig vi titilla il ferro, venite con LE MAGLIARDE. -
Gianlorenzo Bernini e Francesco Borromini: l’anima felice e l’anima dolente del barocco romano
15 Ottobre 2015 by Ornella Massa
Diversi come il giorno e la notte, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini incarnano le due indoli del
barocco romano: l’uno quella gioiosa e trionfante, l’altro quella dolente, tormentata e cupa. Sono loro i grandi registi di quella nuova sensibilità artistica e culturale che, per tutto il XVII secolo, avrebbe trasformato profondamente il volto di Roma.
Quando, nel 1629, il destino li fa incontrare, Bernini è già una star di prima grandezza. Borromini, svizzero di nascita e italiano di adozione, è invece il primo assistente di suo zio Carlo Maderno ai cantieri perennemente attivi della basilica di San Pietro.
Gian Lorenzo sa fare tutto: lo scultore, il decoratore, il pittore e l’architetto. Francesco è un architetto, sublime e rivoluzionario che utilizza la scultura come parte integrante dell’architettura. E se Bernini – uomo di mondo, espansivo e brillante – come i suoi colleghi rinascimentali, considera la pittura e la scultura una adeguata preparazione per l’architettura, Borromini – perfezionista e visionario – giunge all’architettura come un abile specialista, un costruttore e un tecnico di prim’ordine.
Quasi esattamente contemporanei, Bernini a soli ventitrè anni è già considerato il primo artista di Roma, incaricato delle più invidiabili commissioni, mentre l’altro, a trent’anni suonati, è ancora privo di un riconoscimento. Quando s’incontrano al cantiere di Palazzo Barberini, Berninisi avvale in pieno delle cognizioni di esperto del Borromini. Per quest’ultimo, perciò, quegli anni dovettero essere un’esperienza degradante, che gli avrebbe bruciato dentro per sempre.
La visita che proponiamo intende mostrare le differenze tra i due artisti proprio sul terreno dell’architettura, attraverso due capolavori assoluti quali la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale del Bernini e la chiesa del San Carlino alle Quattro Fontane del Borromini. Senza trascurare Santa Maria della Vittoria con il celeberrimo gruppo scultoreo berniniano, ospitato nella Cappella Cornaro, l’Estasi di Santa Teresa d’Avila e Palazzo Barberini, dove sono facilmente rintracciabili gli interventi dell’uno e dell’altro artista.
Si partirà da Sant’Andrea al Quirinale, commissionata al Bernini dal cardinale Camillo Pamphilji per i novizi dell’ordine dei gesuiti. A pianta ovale, la chiesa, all’interno, è concepita in modo da indurre lo sguardo dello spettatore a seguire la linea ininterrotta di pilastri giganti, fino ad incontrare l’edicola a colonne di fronte alla nicchia dell’altare. Qui, la pala d’altare, raffigurante sant’Andrea mentre s’innalza al cielo su una nuvola, attira su di sé tutte le linee dell’architettura. L’attenzione del visitatore è così assorbita dal drammatico avvenimento, che deve la sua forza di suggestione al modo con cui domina le severe linee architettoniche. Mediante l’edicola, unicoesempio a Roma, Bernini riesce a dare un posto di predominio all’altare. Tradotto in termini psicologici, la chiesa ha due centri spirituali: lo spazio ovale, dove la Congregazione dei gesuiti partecipa al miracolo della salvezza del santo, e l’altare, accuratamente separato ed inaccessibile ai laici, dove il mistero è consumato.
All’esterno, il movimento è uguale e contrario rispetto all’interno. Il cornicione sembra andare verso il visitatore che si avvicina. Il portico arioso non va considerato solo come un abbellimento che invita il passante ad entrare, ma costituisce un elemento dinamico d’importanza vitale nella complessa organizzazione dell’edificio.
All’interno la distribuzione degli spazi e la comunicazione sono di tono completamente diverso. Il visitatore, attratto dalla forme esterne rassicuranti della chiesa, una volta entrato, ha la percezione che il mistero sublime che si consuma sull’altare, gli sia precluso, e vive sospeso in un gioco che alterna l’ “esclusione” e l’ “inclusione”.
Non lontana da via del Quirinale, ecco via Quattro Fontane. Qui si erge la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane di Francesco Borromini.
L’occasione di progettarla si presentò all’artista nel 1634 quando, il procuratore generale dei trinitari scalzi spagnoli gli commissionò la costruzione di un convento e di una chiesa su un terreno piccolo e tagliato irregolarmente, distante circa duecento metri da Palazzo Barberini. Nella realizzazione del progetto Borromini dimostrò immediatamente la sua maestria nel razionale sfruttamento di spazi limitati.
Nel 1638 fu posta la prima pietra della chiesetta, che, ad eccezione della facciata, fu finita nel maggio del 1641 e consacrata nel 1646. Dedicata alla SS. Trinità e a san Carlo Borromeo è detta “San Carlino” per le sue ridotte dimensioni.
Subito dopo la chiesa dei Santi Martina e Luca di Pietro da Cortona, eretta negli stessi anni, San Carlinoalle Quattro Fontane deve essere considerata uno degli “incunaboli” del barocco romano per via delle rivoluzionarie soluzioni architettoniche mai viste prima di allora. Definite, ai tempi, “bizzarre”.
In San Carlo, Borromini basa i suoi disegni su unità geometriche, rinnegando il principio classico di progettare in termini di moltiplicazione e di divisione di un’unità aritmetica di base (per esempio, il diametro di una colonna). Il suo sistema di pianificazione geometrica è sostanzialmente medievale, e ci si domanda quanto della tradizione del vecchio muratore egli avesse assorbito prima di andare a Roma. In questa chiesa, l’artista dà straordinaria importanza all’elemento scultoreo delle colonne: esse sono raggruppate per quattro sull’asse longitudinale e trasversale. Mentre quelle a gruppi di tre sono unificate dalle pitture scure con cornici dorate.
La massa predominante delle colonne dentro un così piccolo spazio aiuta ad unificare una forma tanto complessa. L’alternanza delle tre colonne possono essere considerate come il ritmo di fondo che crea un’instancabile ricchezza e fascino della disposizione; o, per usare una similitudine, si possono paragonare alla trama della materia del muro. In termini musicali tutta la disposizione fa pensare alla struttura di una “fuga”. Mirabile la cupola, decorata con un labirinto di cassettoni incisi in forma ottagonale, esagonale e a croce.
Quando la chiesa fu terminata il procuratore generale dei trinitari scrisse che l’edificio «era così raro alparer di tutti, che pare non si trova altra simile nello artificioso et capriccioso, raro, et straordinario in tutto il mondo».
La facciata non fu contemporanea alla chiesa, ma fu l’ultimo lavoro del Borromini, iniziato nel 1665 e completato nel 1682. Essa può essere ripartita in più settori diversi: sotto, i due settori esterni concavi e il settore centrale convesso sono legati dalla robusta trabeazione; sopra, i tre settori sono concavi e la trabeazione si svolge in tre segmenti separati.
La compattezza di questa facciata, con il minimo spazio di muro, fittamente riempito di colonne, sculture e decorazioni, che non lascia mai all’occhio la possibilità di posarsi a lungo, è tipica del barocco.
Probabilmente qui si coglie meglio la stretta fusione tra architettura e scultura che esiste nell’arte di Borromini e che il Bernini non riuscirà mai a concepire poiché egli non riuscì mai a togliere alla scultura i connotati narrativi e perciò non la sostituì mai all’architettura.
Quello qui sopra proposto, è il primo itinerario che ha come obiettivo il confronto tra i due architetti che così profondamente hanno segnato il barocco romano: Bernini e Borromini.
Questo primo itinerario comprende:Sant’Andrea al Quirinale
Santa Maria della Vittoria
San Carlino alle Quattro Fontane
Facciata di Palazzo BarberiniSarà poi seguito da altri due itinerari:
II.
Sant’Ivo alla Sapienza
Sant’Agnese in Agone
Piazza NavonaIII.
Sant’Andrea delle Fratte
Palazzo della Propaganda Fide