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  1. Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti

    Alle origini della storia cristiana in Occidente, nella Roma dei primi secoli dell’Impero, dove la parola dell’uomo di Nazareth giunse via mare e si radicò nelle comunità ebraiche già presenti nella Città Eterna, i veri motori di diffusione furono le Domus Ecclesiae.

    Basilica dei Santi SIlvestro e Martino ai Monti - Altare Maggiore

    Basilica dei Santi SIlvestro e Martino ai Monti – Altare Maggiore

    Privati cittadini di ogni estrazione sociale, patrizi e schiavi raggiunti da una prospettiva diversa sulla storia umana e sul cammino del mondo, praticavano la vera povertà cristiana, ovvero la condivisione, mettendo le proprie case a disposizione di una comunità di persone diffidenti e costrette alla clandestinità per incontrarsi, rendere culto, sostenere i poveri, le vedove e gli orfani, creare fraternità e giustizia.
    Il protocollo che ne derivò è quasi sempre lo stesso: nei secoli successivi, laddove sorgevano questi luoghi di convegno, i fedeli di Cristo fecero erigere le chiese o le basiliche principali come memoria di quanto edificato attraverso le relazioni umane, il mutuo soccorso e le sofferenze delle persecuzioni.
    Gli indirizzi, le case in cui avvenivano le riunioni dei cristiani delle origini erano detti tituli e il genitivo indicava il munifico personaggio che metteva  a disposizione la propria dimora.

    Basilica di San Pietro - affresco di Filippo Gagliardi

    Basilica di San Pietro – affresco di Filippo Gagliardi

    Titulus Equitii era dunque l’antica domus – o comunque una proprietà immobiliare – di Equizio, probabilmente un ricco presbitero che era stato prefetto all’Annona. Questo edificio, da lui donato alla Chiesa di Roma, fu trasformato nel primo quarto del trecento d.C. nella piccola chiesa o luogo di incontro comunitario che poi diverrà la Basilica attuale. Proprio qui una tradizione erronea vuole che il Papa Silvestro I convincesse l’imperatore Costantino a indire il concilio di Nicea “a salvaguardia della pace tra i cristiani”. Il vero ispiratore del concilio niceno fu invece papa Milziade I. Quanto alla dedicazione e al coinvolgimento di papa Silvestro I nell’area interessata, si trattò probabilmente di una correzione successiva e strumentale: la zona del Colle Oppio era infatti abitata anzitutto da barbari di confessione ariana e occorreva una figura di provata fede cattolica a cui affidare una nuova e bonificata memoria. Nel sesto secolo, pertanto, la Chiesa fu ricostruita e ampliata da papa Simmaco e dedicata sia a san Martino di Tour che a papa Silvestro.

    Lampada votiva ricavata dalla tiara di San Silvestro

    Lampada votiva ricavata dalla tiara di San Silvestro

    Pochi sanno che la dedicazione fu ampliata anche a Sant’Ambrogio, anch’egli strenuo difensore della fede dagli attacchi delle dottrine eretiche. I sotterranei della Basilica, gestita dai Benedettini prima e, dal 1299, dai Carmelitani per volontà di Bonifacio VIII, furono quasi certamente adibiti in epoca paleocristiana a magazzini annonari per derrate alimentari – quelle da distribuire ai cittadini diseredati. Con l’avvento dei Carmelitani l’edificio cultuale sovrastante divenne una casa di studio e un faro di irradiamento teologico per tutta la cristianità allora conosciuta.

  2. Una dolce vita?

    “Una dolce vita? Dal Liberty al design Italiano. 1900-1940” è il titolo dell’affascinante mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni che visiteremo insieme il prossimo 9 gennaio 2016.

    Panciotto per Fedele Azari - Fortunato Depero

    Panciotto per Fedele Azari – Fortunato Depero

    La dolce vita del titolo non ha naturalmente nulla a che vedere con via Veneto e con la Roma degli anni Sessanta, ma si rifà piuttosto a quel periodo storico, artistico e sociale che va sotto il nome di Belle Époque: epoca bella, dunque, o vita dolce. Un’espressione che sottolinea la voglia di vivere e l’ottimismo di una fase storica che paradossalmente risulterà invece una delle più tormentate e tragiche della storia dell’umanità. L’arco temporale della mostra si apre con l’Età giolittiana, a pochi decenni dall’unificazione italiana e da quei fermenti politico-sociali che percorsero l’Europa intera facendo tremare e incrinare le fondamenta di tutti gli imperi; e copre, nei quarant’anni indicati dal titolo, tragedie immani come la Prima guerra mondiale, la depressione americana, l’avvento di fascismo e nazismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale con tutti gli orrori che conosciamo.

    Che senso può avere allora, sembra chiedersi la mostra, parlare di “dolce vita” e prima ancora di Belle Époque?

    Vaso a bulbo - Galileo Chini

    Vaso a bulbo – Galileo Chini

    Innanzitutto fu un periodo caratterizzato da un gran numero di straordinarie innovazioni tecniche e tecnologiche che cambiarono in meglio la vita di intere popolazioni. Nel breve volgere di pochi anni l’illuminazione elettrica pubblica delle strade venne a sostituire quella a gas (in Italia prima a Torino e poi a Milano) rendendo più sicure le strade ed allungando così le serate della società borghese, che riempie i teatri di prosa e soprattutto quelli dell’opera.

    In un rincorrersi di invenzioni inimmaginabili fino a pochi anni prima, arrivano poi l’automobile, il cinema, la radio, la macchina per scrivere, i manifesti pubblicitari, l’aeroplano. I grandi transatlantici – di cui il Titanic sarà la tragica epitome – avvicinano le due metà dell’Occidente, il mondo intero è a portata di mano.
    I nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto il cinema e la radio, portano anche alla nascita di un “tipo” umano fino allora sconosciuto: il divo. È un divo, per esempio, Gabriele D’Annunzio, il primo letterato italiano a diventare “personaggio”. Leggere Il Piacere diventa un must, e le pose eccentriche e teatrali del suo autore sono un modello e un’ispirazione per borghesi e aristocratici di successo che cercano di essere alla moda. Ed è un divo anche Giacomo Puccini, il compositore del momento, acclamato dal mondo intero. Con La Bohème consacra uno stile di vita nuovo, più libero, all’insegna dell’arte e del rifiuto delle convenzioni; con La Fanciulla del West – che non a caso debutta in America, al Metropolitan di New York – inventa il musical in stile western.

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto - Umberto Bellotto

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto – Umberto Bellotto.

    La vita migliora e si allunga un po’ per tutti, anche grazie ai progressi della medicina: dalla scoperta dei vaccini alla diffusione della pasteurizzazione, all’introduzione dell’anestesia nelle operazioni chirurgiche, si direbbe davvero che medici e scienziati siano a un passo dal dare scacco alla morte.
    Tra le manifestazioni che meglio sintetizzano quest’epoca – o meglio, questa Belle Époque –, le Esposizioni Universali esaltano le magnifiche sorti e progressive del cammino dell’umanità, lasciando a bocca aperta le folle che gremiscono gli stand avveniristici e ammirano le grandiose costruzioni erette per l’occasione come il Crystal Palace a Londra o la Tour Eiffel a Parigi.

    Ma se da un lato la vita sorride e si sorride alla vita, il mondo occidentale è percorso anche da fortissime tensioni sociali portate dalla seconda rivoluzione industriale e dall’avvento di un capitalismo più che mai aggressivo e spietato. L’America sprofonda nella Depressione, il crollo dell’impero asburgico spinge l’Europa centrale verso il baratro e l’orrore della miseria, con le conseguenze che sappiamo. L’Italia giolittiana constata il tradimento delle tante promesse sbandierate dal Risorgimento e da chi – Garibaldi su tutti – aveva prospettato l’unificazione del paese come soluzione di tutti i mali, compresi i secolari problemi del mezzogiorno. I contadini che avevano sperato nella riforma agraria vedono crollare ogni illusione, gli operai non possono permettersi nemmeno quei generi di prima necessità che concorrono a produrre.

    Pupazzo Campari - Fortunato Depero

    Pupazzo Campari – Fortunato Depero

    Le manifestazioni di piazza sono ormai inevitabili: le più note, “le proteste dello stomaco” che scuotono Milano nel 1898, si concludono tragicamente con l’intervento dell’esercito voluto da re Umberto I. Il generale Bava Beccaris ordina di aprire il fuoco sulla folla: è un bagno di sangue, il cui bilancio definitivo non fu mai comunicato ufficialmente.

    E poiché il mondo si è fatto più piccolo e più vicino, per sfuggire alla fame si parte per le Americhe. Interi paesi si svuotano, nel sud ma non solo, per stivarsi nei sovraffollati comparti di terza classe dei transatlantici e raggiungere gli Stati Uniti, certo, ma anche Canada, Argentina, Venezuela, Brasile. Mete sognate di viaggi in cui rassegnazione e speranza, disperazione e incrollabile ottimismo si mescolano e si confondono.

    Quest’era di paradossi e di contrasti non poteva non trovare un riscontro nell’arte. In Italia, in particolare, sembra prevalere l’ottimismo ad ogni costo – anche a quello, magari, di chiudere un po’ gli occhi per non vedere. Il desiderio, anzi la convinzione che tutto andrà per il meglio. E l’arte diventa Nouveau, diventa Liberty.
    Si reagisce all’algido rigore del neoclassicismo con un ritorno vigoroso della linea curva e sinuosa spesso ispirata direttamente dalla natura: fiori, tralci di foglie, ramages e animali entrano nella decorazione delle architetture e non solo. Ma il mondo dell’arte incontra – ed è la prima volta che accade – anche quello dell’industria: le arti applicate, fino a quel momento considerate di secondo piano, conquistano il centro della scena.
    Oggetti di uso quotidiano, sedie, tavoli, divani, piatti, bicchieri ma anche abiti, giocattoli, strumenti musicali diventano “oggetti d’arte”, atti non solo a svolgere una funzione ma anche ad assolvere il ruolo di oggetto d’arredo così come oggi ancora lo intendiamo.
    Dal liberty e dalle sue sinuose rotondità nasce il design, e in particolare il design italiano, con le prime firme che ne fanno un’eccellenza ammirata ancora oggi dal mondo intero: da Depero a Balla, Bugatti, Cambellotti fino a Gio Ponti. Una forma di creatività inarrestabile che nemmeno la Bahaus e il razionalismo riuscirono completamente a soffocare.
    La bellissima mostra allestita presso il Palazzo delle Esposizioni ci proietta direttamente in questa atmosfera di genialità: oggetti, colori, forme sempre nuove e sorprendenti che comunicano quel senso di meraviglia che è una delle caratteristiche di quest’epoca, come di chi ammiri uno spettacolo di fuochi d’artificio in una notte limpida d’estate.

  3. Gianlorenzo Bernini e Francesco Borromini: un confronto

  4. IMPRESSIONISTI. Tête-à-tête

    Grazie al solido rapporto tra il Musèe d’Orsay di Parigi e il Complesso del Vittoriano, abbiamo l’opportunità di ammirare, in un’eccezionale esposizione dal titolo “IMPRESSIONISTI. Tête-à-tête”, più di settanta opere, di cui dieci sculture, dei grandi maestri dell’Impressionismo.

    L'altalena - Renoir

    L’altalena – Renoir

    Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Berthe Morisot: questi gli artisti protagonisti dell’Impressionismo e della grande mostra.
    Il movimento impressionista irrompe sulla scena dell’arte parigina distruggendo le regole dell’arte da Salon, l’esposizione che si teneva a Parigi con cadenza regolare, prima biennale e poi annuale, e dove esponevano i pittori che aderivano integralmente ai dettami della pittura più classica, quella legata all’Accademia.
    Nel 1863 i tempi, non solo artistici, a Parigi sono tali che moltissime opere sono state scartate dal Salon, perché non sono più in accordo con le regole della pittura classica. Viene quasi naturalmente a crearsi un Salon parallelo: il Salon des Refusés, ovvero il Salon delle opere e degli artisti rifiutati, che viene inaugurato da Napoleone III.
    Ma cosa c’era in queste opere che ne decreta il rifiuto da parte del Salon? Sono opere che, per la prima volta nella storia dell’arte, esprimono in maniera prepotente il desiderio dell’artista di fissare sulla tela, il contemporaneo o la fugacità del momento.

    L'abito rosa - Frederic Bazille

    L’abito rosa – Frederic Bazille

    Si abbandona, per la prima volta, la rappresentazione della scena mitologica, o di quella sacra, del soggetto storico, del potente a cui si è legati e che decreta la fama dell’artista, per concentrare la propria attenzione su altro, ed in questo radicale cambiamento la figura umana viene scelta come mezzo che permette all’artista di esplorare il mondo circostante, tanto che lo stesso Zola afferma, nel 1868: “….sono pittori che amano il loro tempo…cercano prima di tutto di penetrare figure prese dalla vita e le hanno dipinte con tutto l’amore che provano per i soggetti moderni”.

    L’esposizione traccia un ritratto della società parigina della seconda metà dell’Ottocento, attraversata dai grandi mutamenti artistici, culturali e sociali di cui gli impressionisti furono allo stesso tempo potente motore e testimoni.
    Attraverso i volti, gli abiti e gli accessori dei personaggi ritratti, attraverso i luoghi e le ambientazioni in cui i personaggi sono inseriti, la mostra offre la possibilità di ricostruire l’ambiente culturale, i contesti sociali e gli stimoli artistici in cui operarono gli artisti impressionisti, e, soprattutto, di cogliere quella “rivoluzione culturale” e quel rinnovamento stilistico di cui il movimento impressionista fu portavoce.
    I soggetti di queste opere, che sono letterati, pensatori, artisti e personaggi famosi sono ritratti non solo nella loro dimensione pubblica, ma anche in quella più privata della vita e degli affetti, permettendo in questa maniera di avere una percezione, una visione completa della loro “umanità”, come probabilmente mai, in tutta la ritrattistica precedente, era accaduto.

    L'Atellier - Frederic Bazille

    L’Atellier – Frederic Bazille

    E poiché il punto di vista dell’artista sulla vita e sulla sua rappresentazione cambia così radicalmente, cambierà anche la nostra esperienza. Quando vedremo il dipinto intitolato L’atelier di Bazille del 1870, i colori, gli oggetti e la naturalità della scena ci trasporteranno dentro di essa. Potremo sentirci proprio seduti su quel divanetto a due posti, rosa champagne, mentre leggiamo una rivista accompagnati dal suono del pianoforte.

    Un attimo dopo saremo alle spalle della fanciulla in abito rosa che seduta a riposare sul muretto guarda il panorama traendone a sua volta una tranquillità tale che anche noi potremo liberarci degli affanni della nostra vita quotidiana, almeno per un momento.

    Il balcone - Manet

    Il balcone – Manet

    Ritorneremo bambini sull’altalena di Renoir e poi potrà accadere di sentirci ospiti proprio sul quel Balcone di Manet, insieme agli amici più cari dell’artista e magari proprio poco dopo aver tirato la palla al cagnolino che non l’ha ancora raggiunta.

    La visita a questa mostra offre perciò un’occasione davvero speciale che non sta solo nella possibilità di ammirare opere diventate vere e proprie icone dell’impressionismo, ma anche nella possibilità di vivere per il tempo della visita la società borghese della Parigi di fine Ottocento, così come gli artisti, i loro amici ed i loro interlocutori la vivevano.